Rivascolarizzazione Miocardica con metodi alternativi

Esistono solo il Bypass e l'Angioplastica?

La malattia aterosclerotica coronarica ostruttiva non rappresenta solo la maggiore causa di morte nei paesi industrializzati, ma anche la causa di grave disabilità. E’ stato calcolato che il dolore anginoso limita l’attività fisica e quindi la qualità di vita di circa 6.75 milioni di americani con la previsione prospettica di un incremento nei prossimi anni (1)

Da una recente review della letteratura internazionale sull’esperienza clinica con terapia farmacologica convenzionale emerge che questa può alleviare i sintomi a molti ma non a tutti i pazienti sofferenti per ischemia miocardica.

Gli approcci interventistici sono generalmente più efficaci della terapia medica nel determinare un miglioramento dei sintomi clinici a breve termine e una protezione da un infarto acuto. Tuttavia questi risultati vanno bilanciati con i rischi di maggiore morbilità e mortalità (2). Inoltre la protezione a breve termine dall’infarto miocardico e dalla morte cardiaca si annulla a distanza di 10 anni, tranne nei casi in cui la malattia coronarica sia particolarmente severa.

Data la complessità dei risultati clinici, la valutazione dei relativi rapporti costo/beneficio di questi diversi approcci terapeutici richiede un attento bilanciamento dei costi di diagnostica e di reintervento, di rischi di mortalità operatoria e di miglioramento della qualità di vita.(3)

Vi sono poi situazioni estreme in cui un approccio interventistico convenzionale come il bypass aorto-coronarico o l’angioplastica percutanea, non sono più attuabili a causa di condizioni anatomiche sfavorevoli o di controindicazioni specifiche a queste procedure. Che fare allora in questi casi?

Prima dell’avvento del bypass aortocoronarico determinatosi alla fine degli anni '60 grazie a Favaloro ed Effler (4,5), i pazienti con ischemia miocardica che pure rappresentavano una percentuale importante della patologia cardiologica, venivano trattati con metodi cosiddetti “indiretti” in quanto non si interveniva “direttamente” sull’albero coronarico per aumentare l’apporto di sangue e di ossigeno al muscolo ischemico ma si sfruttavano altre vie non sempre ortodosse e talvolta empiriche. Alcune di queste tecniche sono state abbandonate, tuttavia al di là del sapore storico, è utile ricordarle per la loro “attualità” e originalità nel preconizzare concetti ed ipotesi fisiopatologiche.

Metodiche di rivascolarizzazione indiretta

Talcaggio del pericardio (1935)

Il talcaggio del pericardio venne proposto nella metà degli anni ‘30 da Beck. Questa tecnica si basava sull’idea che il muscolo cardiaco ischemico, per effetto del basso valore di ossigenazione sulla sua superficie, potesse estrarre direttamente l’ossigeno attraverso le tenaci aderenze pericardiche che l’aspersione del talco determinava (figura 1).

Il cuore ischemico è, come noto, vascolarizzato dalle coronarie stenotiche, mentre il pericardio riceve una vascolarizzazione da dei collaterali della arteria mammaria interna (rami pericardio-frenici) che ammalano molto meno facilmente di arteriosclerosi. Pertanto basandosi su questa considerazione, tra superficie epicardica e pericardio si dovrebbe instaurare un gradiente in termine di volumi di ossigeno che dovrebbe consentire una certa estrazione di quest’ultimo da parte del muscolo cardiaco ischemico (6).

In alcuni casi per aumentare l’apporto di tessuti bene vascolarizzati era applicato sul cuore l’omento o anche i muscoli pettorali peduncolizzati e trascinati nel mediastino (omentopessia, mio-miocardiopessia). Quest’ultimo intervento richiama alla mente un altra procedura che nel corso degli anni ‘80 è stata attuata nella cardiomiopatia dilatativa, ovvero la Cardiomioplastica. In questo caso un muscolo scheletrico (il latissimus dorsi) viene peduncolizzato e avvolto come una sciarpa intorno al cuore dilatato per aiutarlo nella contrazione e prevenirne la dilatazione.

Viene a questo punto spontanea una considerazione: i migliori risultati a distanza con l’impiego di questa tecnica sono stati dimostrati nelle forme dilatative post-ischemiche piuttosto che in quelle idiopatiche. Probabilmente uno dei meccanismi che hanno influito nel miglioramento della dinamica cardiaca al di là dell’effetto meccanico potrebbe essere proprio quella rivascolarizzazione indiretta ottenuta con un muscolo che porta sangue “fresco” e bene ossigenato ad un muscolo ischemico...”Nihil novi sub sole”

Denervazione del plesso periaortico (1950)

Verso la fine degli anni ‘40 alcuni importanti progressi in campo neurologico hanno permesso la definizione di alcuni meccanismi di conduzione degli impulsi nervosi. Un chirurgo francese, Arnulf, ispirandosi a quegli studi, ottenne un miglioramento dell’angina eliminando le vie di conduzione dello stimolo algogeno (7). Dopo incisione del pericardio ed esposizione del cuore e dei grossi vasi, l’intervento consisteva nella esposizione, tramite disavventizzazione dei nervi dei plesso periaortico che conducono gli stimoli afferenti algogeni e nella successiva alcolizzazione.

In tal modo il paziente era possibile una riduzione della sintomatologia dolorosa, ma anche di un importante campanello d’allarme per lo stato ischemico! L’idea che togliere questo “campanello” sia un fatto negativo in realtà non è da tutti condivisa. Infatti lo scopo che ci si propone nel paziente coronaropatico, è quello di migliorare la sopravvivenza ma anche la qualità della vita con la terapia medica o chirurgica.

I grandi trials prospettici randomizzati policentrici eseguiti in Nord America negli anni ‘80 (CASS, Veterans,...), ci hanno mostrato che se confrontiamo i risultati dei pazienti operati per bypass e quelli trattati con terapia farmacologica, un miglioramento sicuramente significativo nella sopravvivenza lo possiamo osservare solo nei casi più gravi (malattia del tronco comune, trivasali,...). Questo dato deve fare riflettere su un punto importante: l’intervento chirurgico (compreso il bypass aorto-coronarico) non rappresenta una procedura “guaritiva”, definitiva e salvavita in tutti i casi. Spesso interveniamo su pazienti per migliorarne la loro qualità di vita in termini di capacità lavorativa e liberarli da sintomi fortemente handicappanti come l’angina pectoris.

Nella nostra scuola una metodica simile a quella sopra esposta ma più radicale con disavventizzazione oltre che della aorta ascendente, anche della cava superiore, dell’arteria polmonare e delle vene polmonari è stata attuata in numerosi casi, anche in associazione ad altre tecniche indirette o dirette (8) (figura )

Doppia legatura delle arterie mammarie interne (1955),

A Torino nel corso degli anni ‘50 venne rivista e ampiamente impiegata una tecnica proposta alcuni anni prima da Fieschi. L’artefice di questo “revival” era un chirurgo della scuola di Achille Mario Dogliotti, il Dr Battezzati (9). La tecnica eseguibile a torace chiuso con due piccole incisioni sotto claveari, consisteva semplicemente nella doppia legatura delle arterie mammarie interne qualche centimetro al di sotto della loro origine per aumentare il flusso di sangue sul loro primo collaterale. Questo infatti è un ramo pericardio-frenico che, teoricamente dovrebbe ricevere maggiore flusso di sangue dopo questa procedura, e quindi dovrebbe aumentare l’apporto di ossigeno a livello della superficie epicardica ischemica. (figura )

Questo intervento associato al talcaggio e alla denervazione e ad una pericardiectomia della lamina fibrosa era definito come “quadruplice intervento di rivascolarizzazione secondo Dogliotti”, proposto ed attuato nel corso degli anni ‘50 e ‘60 dalla nostra scuola.

Intervento di Vineberg (1946)

Arthur Vineberg intorno alla seconda metà degli anni ‘40 intuì che la fitta rete di sinusoidi di cui è dotato il muscolo cardiaco, consentiva di potere portare sangue direttamente nello spessore del muscolo senza produrre ematomi (10). Infatti dagli studi sperimentali di peduncolizzazione e impianto nel muscolo cardiaco dell'arteria mammaria sinistra sul cane Vineberg passò ben presto al suo impiego clinico sull’uomo con risultati che fino all’avvento del bypass sono parsi più che soddisfacenti, tanto da fare “tuonare” in anni successivi alcuni cardiologi su prestigiose riviste specializzate sulla opportunità di “...abbandonare metodiche ormai sicure come la tecnica di Vineberg, per altre ancora poco affidabili e con elevati rischi di fallimento...(il bypass aorto-coronarico)” .

La tecnica consisteva nell’aprire il torace per via sternotomica e preparare l’arteria mammaria scheletrizzandola e quindi una volta peduncolizzata impiantarla nello spessore del muscolo cardiaco, generalmente sulla parete anteriore a livello del setto (mammaria sinistra) o anche la parete inferiore e laterale (mammaria destra) (figura & 2 foto)

I risultati a lungo termine riportati da Vineberg stesso, che ha eseguito il maggiore numero di queste procedure apparivano molto buoni, anche se ovviamente un confronto con altre tecniche non appare oggi possibile per i limiti di ordine metodologico (selezione dei pazienti, valutazione della criticità delle lesioni, sintomi clinici preoperatori). Inoltre va detto che la scarsezza dei mezzi farmacologici di cui si disponeva all’epoca rendeva candidati al trattamento chirurgico un numero maggiore di pazienti, anche con lesioni non significative. Ciò non di meno questa tecnica è da considerarsi geniale per la relativa semplicità di esecuzione.

Nella nostra scuola è stato possibile ottenere i risultati a distanza di 28 anni circa sopravvivenza e stato clinico di diverse decine di casi trattati con tale metodica.

Agopuntura miocardica (1965)

A Bombay in India, il Dr Sen esaminando l’anatomia dei cuori di rettili, intuì che non essendo dotati di un albero coronarico, questi dovevano rifornirsi di sangue direttamente dalla cavità ventricolare (figura ). Infatti da una valutazione istologica è possibile apprezzare come siano presenti delle fini trabecolature che vanno dalla cavità cardiaca sino alla superficie epicardica, rendendo il muscolo simile ad una spugna che si rifornisce direttamente durante l’attività contrattile. Partendo da tali presupposti il Sen ipotizzo che fosse possibile ricreare anche nell’uomo una condizione simile con un particolare strumento da biopsia. Il principio era quello di creare dei tunnels trans-ventricolari epicardio-endocardici, grazie ai quali il sangue poteva affluire direttamente dalla cavità ventricolare al tessuto miocardico ischemico (11).

Nella nostra scuola un intervento analogo impiegando uno strumento simile ad un tre quarti mandrinato (figura & foto) è stato impiegato per ottenere lo stesso scopo su una trentina di pazienti, in alcuni casi in associazione ad una rivascolarizzazione secondo Vineberg (12)

Trans Myocardial Laser Revascularization (1978)

La rivascolarizzazione con l’impiego del Laser (TMR) ha avuto inizio sperimentalmente grazie agli studi e sperimentazioni di Miroshemi nei primi anni ‘80 (13), ma è stata a lungo lasciata in “letargo” per i maggiori interessi che la rivascolarizzazione diretta determinava e per i risultati sempre migliori che venivano da questa tecnica. In realtà solo recentemente è ripreso un certo interesse verso questa metodica, probabilmente anche a causa del progressivo peggioramento della malattia coronarica e della necessità quindi di trovare strade alternative per ottenere una rivascolarizzazione.

Il vantaggio che l'impiego del Laser offrirebbe rispetto al tagliente impiegato da Sen, sarebbe secondo alcuni una minore azione lesiva sulle strutture biologiche che vengono coinvolte nella creazione del tunnel con conseguente minore rischio di chiusura dei neo-canalicoli (Frazier). Su questo punto tuttavia vi sono alcune perplessità, sia per quanto riguarda i meccanismi di azione che per la reale necessità che i canalicoli restino pervi nel tempo come vedremo più avanti parlando dei possibili meccanismi di azione e della pervietà dei canalicoli nel tempo.

Fattori della crescita e angiogenesi miocardica

Nel corso degli ultimi anni una serie di fattori della crescita sono stati documentati promuovere l’angioneogenesi, lo sviluppo cioè di nuovi vasi sanguigni nel periodo post embrionale. Tra questi l’acid fibroblast growth factor, il basic fibroblast growth factor, il vascular endotelial growth factor, l’hepatocite growth factor ed altri ancora. Senza dubbio questi fattori regolano l’angiogenesi, il mantenimento vascolare e l’omeostasi, tuttavia poco si sa circa il ruolo fisiologico di questi fattori e le loro interazioni. Sembrerebbe che questi fattori funzionino attraverso una complessa cascata regolata dalla ischemia o dall’insulto miocardico similmente ai fattori della coagulazione.

In una serie di lavori compiuti nel corso di una decade alcuni ricercatori hanno cercato di esplorare le proprietà angiogenetiche dei vari fattori della crescita sopra citati nel promuovere la rivascolarizzazione miocardica nel cane. Il basic fibroblast growth factor è apparso il più promettente e pertanto è entrato nello stadio di investigazione I in pazienti ischemici nell’ambito del National Heart, Lung and Blood Institute. Nell’animale si è osservata la capacità di questi peptidi ad essere attivati in presenza di ischemia; qualsiasi dosaggio di peptide nel miocardio sano non ha effetto angiogenetico. In contrasto nel miocardio ischemico questi fattori inducono una angioneogenesi e questo appare essere il requisito fondamentale per l’impiego di questi peptidi. (14)

Dal momento che il laser induce un danno miocardico localizzato, l’impiego di fattori della crescita al momento della TMR dentro ai canali o vicino ad essi, potrebbe migliorare la perfusione miocardica. La sinergia tra interventi indiretti e angioneogenesi indotta da fattori della crescita rappresenta a nostro avviso un eccitante e promettente area di ricerca futura.

Elettrostimolazione midollare

L’impiego di stimolatori midollari in campo antalgico risale ad alcuni anni or sono e l’efficacia di questa metodica soprattutto in campo vascolare, nei casi di ischemia periferica non altrimenti trattabile chirurgicamente, ha spinto a tentare l’utilizzo anche nell’angina pectoris.

“Togliere il dolore anginoso non significa certo togliere l’ischemia” potrebbe essere obiettato. Tuttavia alcuni studi sembrerebbero dimostrare che una volta eliminato lo stimolo algogeno e ridotto il tono simpatico quello che si determina è un miglioramento anche della ischemia miocardica a medio termine, oltre naturalmente al miglioramento della qualità di vita per la riduzione o scomparsa degli attacchi anginosi.

L’impianto di qusti stimolatori è abbastanza semplice e richiede una breve ospedalizzazione durante la quale viene inserito il catetere in anestesia locale. Viene quindi collegato uno stimolatore esterno temporaneo per il “settaggio” più corretto per il paziente e quindi uno stimolatore definitivo che viene inserito in una tasca sottocutanea come un pacemaker.

(gad)