Storia del trattamento della coronaropatia

Data pubblicazione: 15-ott-2009 6.11.22

50 ANNI DI RIVASCOLARIZZAZIONE DIRETTA DELLE CORONARIE. L'ESPERIENZA PIONIERISTICA ITALIANA Video Coronaropatia

Il 2014 ha rappresentato l'anno nel quale si sono celebrati i cinquant'anni del primo bypass aortocoronarico eseguito con successo sull'uomo. Infatti nel 1964 il chirurgo russo Vassili Kolesov eseguì il primo bypass coronarico su umano impiantato l'arteria mammaria sinistra sul ramo discendente anteriore della coronaria sinistra a cuore battente.

Vassili Kolesov e una seduta operatoria a Leningrado nel 1965 con CEC

Questo intervento eseguito senza l'ausilio della circolazione extracorporea veniva eseguito a Leningrado in maniera abbastanza sistematica ma con scarsi risultati nell'immediato nonostante l'impiego di mezzi tecnici e di strumentari estremamente interessanti ed innovativi. (1)

Particolare pinza utilizzata per consentire di mantenere la perfusione coronarica attraverso la mammaria durante l'esecuzione della anastomosi.

Prima di allora, negli anni '50 e '60 le tecniche di rivascolarizzazione si basavano principalmente su metodiche indirette di cui in Italia il "Quadruplice intervento secondo Dogliotti" rappresentava la sintesi: 1) Legatura delle mammaria 2) denervazione del plesso di Arnulf 3) decorticazione della lamina viscerale pericardica 4) pericardiopessia sec Beck.

Quadruplice intervento di rivascolarizzazione sec Dogliotti

La legatura delle arterie mammarie al disotto della origine dei rami pericardiofrenici era un intervento spesso utilizzato nella insufficienza coronarica. A Torino nel corso degli anni ‘50 venne rivista e ampiamente impiegata questa tecnica proposta alcuni anni prima dal Fieschi. L’artefice di questo “revival” era un chirurgo della scuola di Dogliotti: Battezzati che divenne in seguito Direttore a Genova. La tecnica eseguibile a torace chiuso con due piccole incisioni sotto claveari, consisteva semplicemente nella doppia legatura delle arterie mammarie interne qualche centimetro al di sotto della loro origine per aumentare il flusso di sangue sul loro primo collaterale (ramo pericardico). Questo ricevendo un maggiore flusso di sangue avrebbe dovuto aumentare l’apporto di ossigeno a livello della superficie epicardica ischemica (2).

La denervazione cardiaca era anche impiegata in quegli anni. Verso la fine degli anni ‘40 alcuni importanti progressi in campo neurologico permisero la definizione di alcuni meccanismi di conduzione degli impulsi nervosi. Arnulf ispirandosi a quegli studi, ottenne un miglioramento dell’angina eliminando le vie di conduzione dello stimolo algogeno. La tecnica consisteva, dopo l’apertura del pericardio e l’esposizione del cuore e dei grossi vasi, nella disavventizzazione dei nervi dei plesso periaortico che conducono gli stimoli afferenti algogeni e nella successiva alcolizzazione. In tal modo il paziente era possibile una drammatica riduzione della sintomatologia dolorosa (3).

A Torino Actis Dato mise a punto una tecnica più radicale con disavventizzazione oltre che della aorta ascendente, anche della cava superiore, dell’arteria polmonare e delle vene polmonari associata ad alcolizzazione per ottenere un effetto pià duraturo. Questa tecnica venne impiegata in numerosi casi in associazione ad altri metodi indiretti o diretti (4)

Denervazione totale mediante disavventizzazione dei grossi vasi

La decorticazione della lamina viscerale pericardica aveva come razionale quello di mettere a contatto del muscolo ischemico strutture ben vascolarizzate. Le successive aderenze che si formano contribuiscono alla formazione di neovasi che rivascolarizzano il muscolo dalla superficie epicardica. In alcuni casi per aumentare l’apporto di ossigeno al cuore venivano peduncolizzati e trascinati nel mediastino l’omento o i muscoli pettorali (omentopessia, mio-miocardiopessia). La miocardiopessia appare concettualmente simile ad un altra procedura che nel corso degli anni ‘80 è stata attuata in alcune cardiomiopatie: la cardiomioplastica. In questo caso un muscolo scheletrico (il latissimus dorsi) veniva avvolto intorno al cuore dilatato per aiutarlo nella azione contrattile e per ridurne la dilatazione. I risultati a distanza con l’impiego di questa tecnica si sono dimostrati indubbiamente migliori nelle forme post-ischemiche che in quelle idiopatiche. Una ragione di ciò potrebbe essere l’effetto di rivascolarizzazione indiretta ottenuta con un muscolo scheletrico bene ossigenato posizionato sul cuore ischemico.

Il talcaggio del pericardio venne proposto nella metà degli anni ‘30 da Beck. Questa tecnica si basava su una interessante teoria: il pericardio è vascolarizzato da alcuni collaterali della arteria mammaria interna (rami pericardici e pericardio-frenici) meno soggetti alla arteriosclerosi. Dopo aspersione di talco nel sacco pericardico si formano delle tenaci aderenze tra pericardio ed epicardio. Il cuore ischemico presenta un basso valore in volumi di ossigeno sulla sua superficie, quindi tra superficie epicardica e pericardio ci dovrebbe essere un gradiente di volumi di ossigeno tale da consentire una estrazione di quest’ultimo da parte del muscolo cardiaco ischemico (5).

Negli stessi anni in cui a Leningrado si sperimentavano le prime tecniche dirette a Cleveland Donald Effler e Renè Favaloro erano fortemente conivolti nella chirurgia della ischemia cardiaca e avevano sposato appieno le teorie di Arthur Vineberg divenendo i principali esecutori del suo intervento di impianto diretto delle mammarie nello spessore del muscolo cardiaco ischemico (6) oltre ad eseguire la endoarteriectomia coronarica e riparazione con patch.

Arthur Vineberg, Donald Effler e Renè Favaloro

Arthur Vineberg intorno alla seconda metà degli anni ‘40 aveva intuito che la fitta rete di sinusoidi di cui è dotato il muscolo cardiaco, consentiva di potere portare sangue direttamente nello spessore del muscolo senza produrre danni al cuore (7).

La tecnica da lui ideata consisteva nell’aprire il torace per via sternotomica, isolare l’arteria mammaria scheletrizzata e peduncolizzata, e infine impiantarla nello spessore del muscolo cardiaco. Generalmente la mammaria sinistra veniva impiantata sulla parete anteriore a livello del setto mentra la mammaria destra alla parete inferiore o laterale.

I risultati a lungo termine riportati da Vineberg stesso, che ha eseguito il maggiore numero di queste procedure apparivano buoni.

Ovviamente un confronto con il bypass non è possibile per limiti di ordine metodologico: differente selezione dei pazienti, differente valutazione della criticità delle lesioni e della sintomatologia preoperatoria. Inoltre va detto che la scarsezza dei mezzi farmacologici all’epoca rendeva candidati al trattamento chirurgico un numero maggiore di pazienti, anche con lesioni poco significative. Ciò non di meno questa tecnica è da considerarsi ancora oggi geniale ed innovativa.

Link per la visualizzazione dell'intervento di Vineberg (Actis Dato 1971)

Infine un'altra tecnica che veniva impiegata nei primi anni '60 era la cosiddetta "agopuntura miocardica". A Bombay in India, Sen esaminando l’anatomia dei cuori di alcuni rettili, intuì che questi, non essendo dotati di un albero coronarico ricevevano il sangue direttamente dalla cavità ventricolare. Dall’esame istologico in questi animali è infatti possibile apprezzare la presenza di fini trabecolature che vanno dalla cavità cardiaca sino alla superficie epicardica. Questo particolare anatomia rende il muscolo simile ad una spugna che si rifornisce direttamente dalla cavità durante l’attività contrattile. Partendo da queste osservazioni Sen tentò di ricreare anche nell’uomo una condizione simile a quella dei rettili utilizzando un biotomo. Il principio era quello di creare dei tunnels trans-ventricolari epicardio-endocardici, grazie ai quali il sangue potesse affluire direttamente dalla cavità ventricolare allo spessore del tessuto miocardico ischemico (8).

A Torino Actis Dato operò con la tecnica di Vineberg da sola o in associazione con l’agopuntura miocardica circa un centinaio di pazienti nel corso del periodo 1960-1980 utilizzando degli originali strumenti da lui ideati a tale scopo per facilitare l'intervento (9).

3/4 originali impiegati per la tecnica di Vineberg e di Sen

Volendo perseguire altre strade nel 1968 Effler e Favaloro svilupparono l'idea di Vassili Kolesov e, utilizzando dello strumentario di precisione, eseguirono i primi bypass coronarici impiegando segmenti di vena safena autologa. Fu un successo e standardizzando la tecnica chirurgica, questa rimane ancora oggi quella che viene utilizzata senza sostanziali differenze per eseguire questo intervento. (10)

Anche in Europa, subito dopo la pubblicazione dei dati di Effler e Favaloro vengono eseguiti i primi interventi sulle coronarie in Francia, Inghilterra e Svizzera. In particolare a Ginevra Charles Hahn (11) appena rientrato da un viaggio a Cleveland dove aveva assistito ad un intervento di rivascolarizzazione diretta con bypass eseguito da Favaloro, alla fine del 1969 operava il primo paziente svizzero con questa tecnica. A questo intervento Hahn invitava ad assistelo Angelo Actis Dato cui era legato da amicizia e collaborazione professionale.

Rientrato a Torino Actis Dato nel febbraio del 1970 eseguiva il primo intervento di questo tipo su un paziente di 38 anni: un viticoltore valdostano affetto da angina che presentava una stenosi critica sulla coronaria destra, presso la Clinica Villa Pia gestita allora dalle suore. L'intervento veniva eseguito in circolazione corporea utilizzata come supporto ma senza arrestare il cuore. Un segmento di vena safena prelevata dalla coscia del paziente veniva innestato a ponte sulla coronaria destra con successo. Il paziente a distanza di più di 45 anni è ancora vivente.

Link per la visualizzazione del primo intervento di Bypass (Actis Dato 1970)

Certamente uno degli aspetti più importanti nella chirurgia delle coronarie era rappresentato dalla diagnostica. A tale proposito in Italia in quel periodo vi era un personaggio pavese di primissimo piano che era Vincenzo Baldrighi.

Ecco un passo tratto da una biografia di Giuseppe Pellegrini, cardiologo clinico pavese e maestro di Baldrighi che ne delinea bene i tratti (12):

...Pellegrini fonda una Scuola prestigiosa e molti allievi, proseguendo l’indirizzo scientifico del maestro, diventeranno a loro volta capiscuola. ..... L’allievo forse più affine alla testa di Pellegrini è Baldrighi, Vincenzo o Carlo che sia. Baldrighi studia da geometra e, dopo il diploma, diviene sergente in un battaglione tedesco. Alla fine della guerra, quando tutto va alla malora, Baldrighi “ruba” all’esercito una cassetta di ferri chirurgici. Si caccia in mente di fare il medico; frequenta l’anno integrativo, supera la maturita, si iscrive a Medicina e si laurea in tempi rapidi. Intelligentissimo e vivacissimo, rivela da subito una manualita eccezionale, fuori da ogni canone comune; con la sigaretta in bocca, alla Humphrey Bogart, davvero dimostra di muovere le mani come nessun altro. Lo chiamano persino per i parti difficili; è capace di tutto, anche di aprire il torace per massaggiare il cuore. Con il piano Marshall arriva dall’America un seriografo biplano per le prime aortografie; Baldrighi, vede, per la prima volta, le coronarie e, con Lucio Di Guglielmo e Carlo Montemartini, intuisce che si possono incanulare. Il successo è straordinario. Baldrighi non disdegna il buon guadagno; unico fra gli allievi di Pellegrini, si compra un macchinone, una potente Alfa coupe, con la quale ama conquistare il gentilsesso al punto da essere soprannominato “el dutur calabrache”. E’ un lavoratore instancabile Baldrighi: contemporaneamente è assistente al S. Matteo, medico condotto al suo paese, consulente medico-chirurgo in Casa di Cura, radiologo ad ore alla mutua. Eclettico, spregiudicato, fumatore accanito, Baldrighi è divorato dalla voglia di arrivare prima degli altri. Passa una vita di corsa, come i purosangue; muore di morte improvvisa, una sindrome che ha studiato per tutta la vita. (Luigi Bonandrini)

Vincenzo Baldrighi a sinistra e studio coronarografico del 1970

In effetti i Baldrighi erano due fratelli; Carlo e Vincenzo, entrambi medici, ma il secondo aveva capacità e carisma superiori al primo. La grande manualità sui vasi arteriosi e venosi Vincenzo Baldrighi in realtà l'aveva sviluppata, come confidò in seguito, durante il secondo conflitto mondiale, quando come attendente di sanità sul fronte russo al seguito delle armate tedesche aveva dovuto affrontare le situazioni drammatiche che la guerra aveva determinato. In particolare durante l'avanzata dei panzer tedeschi. La tattica della armata rossa per bloccare il nemico era quella di fare disporre un soldato armato di lanciafiamme in delle buche scavate apposta e al sopraggiungere del panzer, questi sbucavano fuori all'improvviso sparando con il lanciafiamme nelle bocche di aerazione del carro armato poste tra i cingoli. Questo determinava delle ustioni gravissime al carrista guidatore che imponevano una volta trasportato al posto di soccorso l'immediato riscorso a trasfusioni di sangue e plasma che dovevavo essere somministrati attraverso accessi vascolari. In quelle circostanze Baldrighi divenne abilissimo ed estremamente rapido a isolare e incannulare qualsiasi tipo di vaso...

Nei primi anni '70 inizia quindi una collaborazione tra Actis Dato e Baldrighi che si concretizza con la esecuzione di diversi interventi sulle coronarie presso le Cliniche Gavazzeni di Bergamo dove collaborava con Baldrighi anche Mario Viganò rientrato dalla esperienza in Francia presso la cardiochirurgia diretta da Dubost in quel periodo, che sarà uno dei pionieri della chirurgia coronarica in Italia negli anni '70.

Viganò, Guilmet e Baldrighi negli anni '70

Il percorso della cardiochirurgia e in particolare della rivascolarizzazione miocardica proseguirà in maniera vorticosa fino ai giorni nostri con l'avvento e lo sviluppo della interventistica, ma la tecnica del bypass coronarico nella sua essenza possiamo dire che sia fondamentalmente rimasta la stessa.

Quello che vi proponiamo è una Monografia pubblicata più di 40 anni fa nel 1972 che riassume in maniera eccezionale il progresso nel trattamento delle coronaropatie in una arco di 20 anni, dalla origine della cardiochirurgia e che in alcuni tratti mantiene una notevole originalità e consente di trarre degli spunti ancora attuali (13).

(1972 - Monografia sulla Chirurgia delle Coronarie)

Bibliografia

1. Konstantinov IE, Vasilii I. Kolesov. A Surgeon to Remember. Tex Heart Inst J. 2004; 31(4): 349–358.

2. Battezzati M, Tagliaferro A, De Marchi G. La legatura delle due arterie mammarie interne nei disturbi di vascolarizzazione del miocardio. Min Med 1955;46:1178.

3. Arnulf G. La resection du pléxus pré-aortique dans l’angine de poitrine. J Chir 1950;66:97.

4. Actis Dato A. Nuova tecnica chirurgica per una denervazione cardiaca totale nell’angina pectoris. Cardiologia Pratica 1967;18:55-60

5. Beck CS. The development of a new blood supply to the heart by operation. Ann Surg 1935;102:801-13.

6. Favaloro RG, Effler DB, Groves LK, Fergusson DJ. Revascularization of the left ventricle by double internal mammary artery implant. Geriatrics. 1969 Apr;24(4):95-100

7. Vineberg AM. Development of an anastomosis between the coronary vessels and a transplanted internal mammary artery. Can Med Assoc J 1946;55:117-9.

8. Sen PK, Udwadia TE, Kinare SG, Parulkar GB. Transmyocardial acupuncture: a new approach to myocardial revascularization. J Thorac Cardiovasc Surg 1965;50:181-9.

9. Actis Dato A. La "agopuntura" del miocardio nelle coronaropatie. Min Med 1969; 60: 820-22

10. Favaloro RG, Effler DB, Groves LK, Sheldon WC, Riahi M. Direct myocardial revascularization with saphenous vein autograft. Clinical experience in 100 cases. Dis Chest. 1969 Oct;56(4):279-83.

11. Rutishauser W. The early development of cardiology in Zurich – a personal account. Cardiovascular Medicine 2014;17(9):256–265

12. Biografia Giuseppe Pellegrini: http:// www.ordinemedicipavia.it

13. Actis Dato A, Viganò M, Baldrighi V, Panero GB. La chirurgia di rivascolarizzazione miocardica. Nostra esperienza e risultati. La Chirurgia Toracica 1972: 245-290

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