di Pia Finoli (2A LS) e Piergiorgio Cecchini (3A LS) (A.S. 2020/21)
Quei gesti che fino ad un anno fa ci sembravano superflui e quotidiani, sono quelli di cui oggi sentiamo maggiormente la mancanza. Le nostre vite sono state stravolte a causa della pandemia ed ogni giorno ai telegiornali sentiamo quanto essa abbia influito sull’economia e sulla società, ma si sente sempre poco parlare di quello che il covid ha significato per noi giovani, di quanto abbia influito sulle nostre vite e soprattutto di cosa abbia comportato nel nostro modo di relazionarci con gli altri e con il mondo che ci circonda. A settembre abbiamo iniziato il nuovo anno scolastico con la percezione di avere un nuovo inizio: una seconda vita, con la speranza che la DAD potesse essere solo un lontano ricordo, un incubo dal quale ti svegli intimorito, ma senza ricordarti nulla se non vaghi aspetti; ci siamo invece ritrovati, ogni mattina, per chi ovviamente ne ha avuto la possibilità, davanti allo schermo, tra solitudine e preoccupazione, titubanti sul come affrontare quelle giornate così monotone. Il covid ci ha cambiati: fino a diciotto mesi fa vedevamo nella scuola il nostro più grande oppressore, ogni studente vedeva nella scuola la rovina della propria vita sociale; adesso, invece, vediamo in essa uno scoglio a cui aggrapparci per tornare alla normalità, l’unico luogo che ci permette di passare un po’ di tempo con gli altri, di socializzare, di staccare gli occhi da uno schermo e vedere cosa si trova dietro a quest’ultimo. Ci troviamo negli anni più belli della nostra vita: quelli dei primi errori, delle prime volte, quelli delle feste, delle uscite, dei primi amori e, perché no, anche dei primi veri litigi, quelli delle amicizie e dei viaggi, quelli delle nottate in spiaggia e dei campeggi sperduti in montagna; non abbiamo avuto e ancora non abbiamo la possibilità di viverli a pieno, li abbiamo visti scivolare dalle nostre mani come il filo di un palloncino che vola in aria, lasciandoci i segni del nastro sulle mani assieme all’ansia e alla paura di non poterli mai vedere tornare indietro. Sentiamo la necessità di avere delle certezze, che noi da soli non siamo capaci di costruirci, perché in fin dei conti siamo ancora troppo piccoli per qualcosa di così grande. Abbiamo bisogno che qualcuno ci dica che possiamo recuperare gli errori non fatti, le parole non dette, le scelte non prese… ci troviamo nella stessa condizione di Ulisse: dobbiamo affrontare il nostro viaggio verso Itaca, ma la nostra nave è ancora alla deriva, abbiamo bisogno del vento che dispieghi nuovamente le nostre vele, che ci faccia prendere il largo nel pieno della nostra vita e non ci faccia più voltare indietro. Quando tutto ha avuto inizio, ci siamo sentiti dire “Restiamo distanti oggi, per abbracciarci più forte domani”, ma la realtà è che non sarà cosi, perché quando tutto avrà fine, ci troveremo in stallo, incerti su come tornare alla normalità, avremo timore di fare quelle azioni che un tempo erano sciocche e banali, perché prevarrà ancora la paura di ricadere nell’incubo. In questo anno e mezzo abbiamo dimenticato cosa significa avere una vita sociale, abbiamo dimenticato il calore di un abbraccio e la tenerezza di un bacio, abbiamo abbandonato i sorrisi spensierati che ci caratterizzavano e gli occhi luminosi. Ci siamo chiusi in una bolla che non permette a nessuno di avvicinarsi troppo, anche se ne avremmo bisogno. Avremmo bisogno di qualcuno che ci insegni come non sentirci soli quando non possiamo circondarci di altri, di qualcuno che ci aiuti ad abbattere le barriere; non abbiamo bisogno di adulti che dicono di capirci, perché non abbiamo necessità di essere capiti da persone che hanno vissuto la loro adolescenza e che ora credono di poterci dire come affrontare la nostra: questo ci crea solo frustrazione. Abbiamo il bisogno di essere ascoltati, di essere presi in considerazione: abbiamo bisogno di AIUTO. Abbiamo il timore di non essere più capaci di stare con gli altri, di non riuscire a vivere più con la spensieratezza che dovrebbe contraddistinguere la nostra età. Abbiamo accarezzato la paura e siamo stati rocce, anzi, ci piace dirlo, siamo stati le gemme della pandemia, capaci di strappare un sorriso anche nel dolore, orgogliosi dei nostri eroi in trincea. Sentiamo il bisogno di ritrovare il sorriso, di eventi che illuminino le nostre giornate rendendole piene. Molte persone definiscono la nostra generazione frivola, ma la realtà è che in questo momento ci sentiamo come se avessimo un macigno troppo grande da portare senza poter chiedere aiuto a nessuno. Desideriamo solo guardare al futuro con speranza, tornare ad inseguire i sogni con gli occhi di chi ha visto quelli di tanti altri scomparire. Non solo per noi, ma anche per chi non può più.