Confraternita Gesù, Maria e Giuseppe

Chiesa di San Giuseppe

Vibo Valentia


Verso i primi del 600 è stata costruita la Chiesa di S. Giuseppe sul Corso Umberto I, dove ora è il Palazzo sede della Sip, senza però il corpo avanzato con le arcate a loggia costruito dopo il 1806 quando fu chiusa per ordine del Maresciallo Reynier, comandante delle truppe francesi, per farne un teatro per i soldati (l’interno sarà trasformato a forma di ferro di cavallo e restaurato nel 1858 per opera del Sotto Intendente    Gaetano Cammarota).

In questa chiesa vennero ospitati i PP. Riformati desiderosi di stabilirsi anche a Monteleone. Ma sorta la difficoltà di convivenza per la questua delle Messe domenicali, i Frati Riformati si costruirono il loro convento dove sorge l’attuale convitto Nazionale con la chiesa degli Angeli.

 

Il regio assenso della Confraternita rimonta al 13 febbraio 1777, sotto il titolo di Gesù, Maria, Giuseppe. Dal Regio assenso però risulta già esistente nel maggio 1764 e potevano fare parte di essa soltanto i falegnami. Nel 1801 si domanda a Ferdinando IV di potere accettare confratelli di altro mestiere.

Nel 1892 la Confraternita contava 230 fratelli e 300 sorelle; il Priore era Lorenzo Scrugli. Si soleva fare celebrare all’altare di S. Giuseppe Agonizzante, sette Sante Messe nel momento dell’agonia del confratello ed altre cento messe dopo la sua morte. Le feste celebrate erano quelle di S. Giuseppe   il 19 marzo, dello Sposalizio e del Patrocinio.

Memorabile è la processione di Maria Desolata la sera del Venerdì Santo, a tarda notte, tra enorme folla di fedeli. Importante era il regolamento della Confraternita e specie i seguenti articoli: 

Art. XVI - Gli infermieri debbono invigilare se vi sia fratello ammalato, subito avvisare il Prefetto (capo della confraternita) il quale deve andare con gli altri ufficiali a visitarlo e nella prima visita daranno una libra di dolci, ed essendo povero, carlini dieci, e ciò sia col danaro della congregazione; mancando a tale avviso siano mortificati.

Art. XVII - Li visitatori delle carceri devono tenere un libro in cui notino   l’introito e lo esito delle elemosine che si fanno alli carcerati   ed alla fine di ogni pranzo diano conto al Prefetto. Si devono fare cinque pranzi alli carcerati, cioè a Pasqua di Resurrezione, Ottava dell’Assunzione di Maria, la prima domenica di novembre, la domenica di settuagesima e nel giorno del del S. Natale. 

Art. XX - Tutti i fratelli e novizi saranno chiamati alla Congregazione col solito segno delle campane ed al terzo tocco devono essere in congrega per recitare l’Ufficio della Madonna; siano obbligati in ogni terza domenica del mese a confessarsi. 

Art. XXI - Li mastri falegnami pagheranno per ognuno carlini cinque, mentre altri fratelli che non siano dell’arte pagheranno carlini nove. 

Art. XXII - Se qualcuno nostro fratello passa all’altra vita si dovrà, a spese della congregazione, somministrare il funerale e fare l’accompagnamento. Subito che morisse il fratello deve il Prefetto mandare il sagrestano maggiore a sonare il solito segno della campana acciò i fratelli venissero in congregazione per l’accompagnamento. Indi dovrà portare alla casa del defunto un quarto di rotolo di cera e accendessino avanti al cadavere vestiti col proprio sacco e mozzetta, nel quale accompagnamento deve intervenire il Capitolo dell’insigne Collegiata di questa città   a spese della congregazione. Si devono celebrare Messe cento unita al cantata sopra il corpo del cadavere nella chiesa dove si seppellirà; come altresì dovrà farsi sonare quattro campane con quella della   parrocchia, quella di S. Michele, di S. Agostino e di S. Maria del Gesù e quella della congregazione. I fratelli in processione vestiti come sopra colla torcia in mano e il Baguglio si porteranno in casa del morto e da ivi l’accompagnamento nella chiesa dove il cadavere sarà seppellito ed i consultori della congregazione dovranno portare li quattro pizzi della coperta insino alla chiesa. 


Dal citato R. Assenso risulta che nel 1768, colla espulsione dei Padri della Compagnia di Gesù, rimanendo chiusa la loro chiesa di S. Ignazio, i fratelli dell’Oratorio dello stesso Santo, eretto nella medesima chiesa, tentarono di unirsi alla confraternita dei falegnami nella chiesa di S. Giuseppe sita nel territorio della Parrocchia dello Spirito Santo, ed il parroco vi si oppose “perché i fratelli falegnami non hanno oratorio separato, ma una chiesa e no si deve permettere inoltre l’ampliazione del’ antica adunanza dei falegnami”.

La divisa era: sacco di tela bianca con su cappuccio, mozzetta in seta celeste col suo piccolo cappuccio nel giallo ed orlato di colori cremisi. Nel 1792 cambiò abito: sacco in tela bianca col suo cappuccio con l’effige di Gesù, Maria e Giuseppe. Nel 1794 le S. Messe da cento furono ridotte a trenta colla cantata. La confraternita di Gesù, Maria e Giuseppe chiese ed ottenne, dopo il 1806, dal Vescovo, di trasferirsi nella chiesa di S. Ignazio degli espulsi PP. Gesuiti.  

In detta chiesa fu trasferito nel 1810, dall’antica chiesa di S. Giuseppe, il capolavoro di Tommaso di Florio, la Sacra Famiglia, che si osserva tuttora sulla volta, il secondo dei due quadri a partire dalla porta d’ingresso.

Così descrive il bellissimo quadro E. Scalfari (A proposito di un quadro): “Quella tela ad olio rappresenta la visione che ha il Bambino Gesù del suo futuro martirio. Egli, nel mezzo in basso, ha alla destra Maria, sua madre, la quale anche ella ha la visione del Figlio, e alla sinistra S. Giuseppe. Alle spalle del bambino un po’ in alto c’è lo Spirito Santo sotto forma di Colomba che copre dei suoi raggi il divino infante, e più in alto, a destra del Padre Eterno e a sinistra una gloria d’angioletti che additano al Bambino Gesù una pesante croce.

La composizione del quadro è viva e vera, improntata al più schietto realismo non solo per l’umanità delle sue figure, ma ancora per quella certa azione, la quale caratterizza la pittura moderna, cioè la pittura dopo il cinquecento.

In quanto al disegno e al colorito sembrami in ogni sua parte corretto, massime per la prospettiva per la quale le figure si staccano tutte dalla tela. Non dico della naturalezza degli atteggiamenti e dei panneggi, della conoscenza anatomica e della compiutezza del tocco delle linee senza le quali il pittore non avrebbe potuto così interamente incarnare il suo concetto sulla tela”. Questo quadro porta scritto al lembo destro: Thomas di Florio - 1675 -. Appartengono a questa chiesa, il notevole quadro di Ludovico Mazzanti:

l’Apparizione di Cristo a S. Ignazio, i quadri del Rubino: Storia di S. Francesco Saverio, il quadro dei Curatoli: lo sposalizio di S. Giuseppe, bello per freschezza di colorito, forme castigate, disegno grandioso.Le statue di S. Nicola da Tolentino, di S, Agostino, di S. Francesco di Paola e dei Santi Cosma e Damiano con molti   preziosi arredi sacri, furono dati dalla chiesa dai PP. Agostiniani Calceati, con atto notarile del 6 - 6 - 1879.  

Nel luminoso interno, a navata unica con cappelle laterali intervallate da pitture di scene sacre, si erge l'altare maggiore in stile barocco realizzato in marmi policromi dal vibonese Giuseppe Mantella. E' sovrastato da una nicchia che contiene il gruppo statuario ligneo del Patriarca col Bambino e quattro angioletti, opera attribuita ad un artista napoletano della scuola di Giuseppe Sammartino del '700. 

 Vi fu seppellito l’illustre P. Tromby che scrisse la storia - critico-cronologica - diplomatica del Patriarca S. Brunone e del suo Ordine.

Era stato inumato nella Cappella di S. Francesco Saverio, 1788, nella tomba da lui stesso costruita per sé e per sua sorella. Sulla tomba si leggeva l’iscrizione:

Post varios casus, tot discrimina ponti

Tandem tanquam in Patriae portum appellens

Requiem nactus est aptissiman

P. Benedictus Tromby


Processione di Maria Desolata  Venerdì  Santo

07 - 04 - 2023


REGIO DECRETO 17 gennaio 1935-XIII  n.121

Da IL DIVOTO  DI SAN GIUSEPPE 1882

Il_divoto_di_S_Giuseppe-pagine-6,219-221.pdf