La città fantasma



I ricordi, “echi protratti senza voce”, scrive Ungaretti, in questo percorso sono alimentati dalla fotografia, la cui essenza (dice Barthes) non è il “rappresentare, ma il rimemorare”. Emozioni, stati d’animo a volte impalpabili, tutto un pulsare di immagini conservate da qualche parte nella memoria e, improvvisamente, in primo piano. Quanto elaborato non vuol essere un’opera di nostalgia, ma il recupero di quella “identità” che è di luoghi e spazi ben determinati, senza di cui la nostra storia di cittadini annaspa, si perde dietro suggestioni vaghe e nebulose. Un restyling, per così dire, quanto mai necessario oggi che la memoria tende ad azzerarsi e, tra tanti rumori, non sappiamo più bene “chi siamo e da dove veniamo”. Un percorso che ci riporta alle nostre radici e fa leva sui nostri sentimenti e ci aiuta a riconoscerci meglio.




1 Il manicomio: La promulgazione della legge 3 giugno 1937 n. 847 soppresse le Congregazioni di carità e, in loro luogo, istituì in ogni Municipio un Ente comunale di assistenza. L’Orfanotrofio femminile Ottavia Caraciotti, insieme all’Ospedale Psichiatrico di Teramo rientrò nell’ambito delle competenze della nuova struttura comunale. Nella foto, risalente al 1940, un gruppo di suore infermiere in posa, insieme ad una bambina con un mazzo di fiori in mano.




2 La banca: Passeggiando in via della Verdura, tra birrerie, negozi, pizzerie e internet point, capiterà di imbattersi, all’incrocio con via del Mercato, con Ufficio Commercio: un ufficio postale di Teramo. Pochi sanno, però, che il maestoso palazzo in cui dagli anni '50 si trova la sede teramana della Banca Nazionale del Lavoro, negli anni ’60, è stato abbattuto per poi essere ricostruito con una struttura più moderna.


3 La bottega: Secondo le stime della FAO, il consumo di carne annuo in Italia ammonta a circa 90 kg pro capite (un italiano mangerebbe 237 g di carne di ogni tipo al giorno). Questa crescita smisurata del consumo di carne iniziò già tra gli anni ‘20 e gli anni ‘40, come testimoniato da questo scatto degli anni ’40, in cui la macelleria di Antonio Mosca, situata un tempo in via della Verdura, nello stabile della Curia Vescovile, appare affollata da volti sorridenti.


4 Il cinema Apollo: Queste sono le immagini di come appariva il Cinema Apollo. Un’entrata centrale, due laterali con piccole porte, di legno e vetro, e colonnine. I gruppi di persone fotografate ci fanno pensare a delle occasioni speciali, in quanto il piano superiore del cinema era adibito a ristorante e ospitava matrimoni e cerimonie. Costruito nel 1912 su disegno di don Ovidio Bartoli, “Iucunda oblivio vitae” era scritto sul frontale, un invito a dimenticare guai ed affanni. I programmi che i proprietari Cugnini e Vanarelli offrivano al pubblico erano “quanto mai perfetti… e a poco prezzo”, almeno così assicurava la réclame.


5 La sala dell' Apollo: L’edificio passò attraverso una prima ristrutturazione nel 1956 e una seconda, forzata per via di un grave incendio doloso, nel 1969. Negli anni Settanta, l’Apollo visse il periodo di maggior splendore, con picchi di spettatori che ne fecero un vero e proprio boom, con oltre 330mila presenze in un anno, oltre la metà dei complessivi registrati assieme all’altro cinema cittadino, il Comunale.


6 Il teatro: L’iniziativa di edificare un nuovo grande teatro fu presa nel gennaio del 1840 dall’intendente Franccesco Statella. Il teatro fu denominato inizialmente Teatro Re e inaugurato nella primavera del 1868 con un Ballo in maschera. La platea, una volta tolte le poltroncine, e il palcoscenico si trasformavano nella più capace e confortevole sala da pranzo in grado di accogliere centinaia e centinaia di commensali.


7 Il palco del teatro: La platea, una volta tolte le poltroncine, e il palcoscenico si trasformavano nella più capace e confortevole sala da pranzo in grado di accogliere centinaia e centinaia di commensali. Il teatro non sapeva che un giorno avrebbe lasciato il Corso per far posto alla Standa, che avrebbe perso i grandi portoni e le grandi finestre, che non avrebbe più visto i teramani in fila per un biglietto, ma piuttosto in fila per uno scontrino, che non avrebbe più indossato l’antico ed elegante vestito ma una vestaglia di mattoncini.

8 La pergamena: In opposizione con il senso di superstizione diffusosi tra la popolazione teramana circa la presunta imminente fine del mondo profetizzata dall’astronomo Falb, la sera del 31 dicembre 1900 dentro al Teatro “Comunale” di Teramo si compiva un gesto pieno di ottimismo e di speranza per il futuro: la stesura di un messaggio per i teramani del secolo successivo, quelli del 2000. L’idea, nata dalla Giunta comunale e accolta con entusiasmo, si materializzò nella realizzazione di una pergamena, sulla quale furono apposte, insieme a qualche riga di saluto, le firme delle autorità cittadine, tra le quali quella del sindaco Luigi Paris. Si decise dunque di conservare la pergamena nell’atrio del Teatro “Comunale”, forti della convinzione che cent’anni nel futuro l’edificio sarebbe ancora stato lì, saldo al suo posto. Nell’ottimista slancio immaginativo della Giunta, la pergamena sarebbe stata aperta il 31 dicembre dell’anno 2000. Ciò, tuttavia, non avvenne mai. La pergamena, dimenticata dai più, si perse nelle macerie del teatro.