10 aprile 2020

La reazione sociale alla pandemia


Osservo la strada sottostante al mio balcone spoglio e non vedo che una distesa deserta alla quale talvolta fanno accesso persone bardate di mascherine. Gli sguardi dei pochi che raramente si incrociano, si abbassano reciprocamente, come se il virus fosse trasmissibile così, a colpo d’occhio. La mia visione, ammetto, è limitata. Sono, con oggi, ventotto giorni che non metto piede fuori casa, se non per svuotare il bidone della carta o dell’organico, alternando l’onere e onore con mio fratello. Eppure, quello che riesco a percepire di questa situazione è molta confusione. Troppe informazioni, l’unico argomento che continua a ripetersi, giustamente, ad ogni tg regionale o nazionale che sia, i meme, i post, le storie Instagram, hanno tutti lo stesso argomento di fondo, ormai sottinteso. Il mondo della maggior parte delle persone è in pausa forzata. Forse sono io confusa, a forza di respirare la stessa aria giorno e notte. Ma lo si fa, perché è la cosa giusta da fare.

Io ho il privilegio di annunciarlo, sono da ventotto giorni a casa. La scelta, che diventa sempre più rafforzata con l’aumentare della possibilità di ricevere sanzioni impegnative, ma non per questo meno spontanea, la maggior parte delle persone la possono fare. Forse rinunciando a socialità e “normalità”, ma anche alla possibilità più consistente di contrarre il virus. La maggioranza però non significa tutti. E non mi riferisco a chi ha deciso che la restrizione non fa al caso loro trasgredendo le direttive, mi riferisco a chi, una casa, non la ha. Chi la restrizione non la può rispettare perché dorme su panchine e scatoloni, o chi vive in centri di accoglienza in situazioni di continuo assembramento. E allora, noncuranti o forse inconsapevoli delle situazioni di chi sta peggio, si scorgono tramite post e messaggi, diverse reazioni alla pandemia, la prima di queste, che mostra la quarantena come la possibilità di ricongiungersi con i propri famigliari, con la lentezza della vita, di riscoprire passioni e bellezza, uno scongiuro della situazione sempre più buia al di fuori delle proprie quattro mura, un diversivo, forse per qualcuno di particolarmente fortunato, anche una verità.

Ma se non la si vede con questa prospettiva di vita riportata ai ritmi lenti della natura, una visione alternativa è quella bellica e post apocalittica. Tra le frasi più quotate negli ultimi tempi c’è quella dell’eroismo di “noi” che stiamo a casa, un grande sacrificio, un impegno per la comunità. Io fatico a vederla in questo modo, considero eroismo quello del personale sanitario che rischia la propria salute giorno e notte per la nostra, considero impegno sociale quello dei volontari che si prestano a fare la spesa per anziani, a servire nelle mense dei poveri, a fare anche solo una chiamata per tenere compagnia ai più soli. Quello di stare a casa è un dovere sociale, è l’unico piccolo “grazie” sincero che possiamo porgere a chi, per noi, sta mandando avanti la propria attività indispensabile alla società intera.

La rinnovata ventata di patriottismo poi, la terza grande reazione all’argomento che si sta alzando da un mese a questa parte, non è che il grido di una società che necessita di unione. La solitudine non fa paura? L’insicurezza della situazione, non solo la salute fisica, ma quella economica e sociale incombe come un’ombra alle nostre spalle e la mancanza di una data di scadenza di questa eterna quarantena rende il pensiero più pesante e negativo. E le bandiere italiane, gli inni, i cori, gli #andràtuttobene, cosa sono se non la tentata estensione del braccio invisibile dell’uno verso l’altro? Questo, dicono alcuni, è il fittizio tentativo di non restare soli, cosa può interessare davvero a un ragazzino delle scuole superiori dell’unità nazionale? Quando l’emergenza sarà finita, cosa rimarrà di questa vena patriottica? Forse niente, forse sarà costretta. Le frontiere barricate per evitare di far circolare ulteriormente il virus, ricadranno anche sull’economia. Ammesso che lo stato di emergenza si esaurisca entro l’estate, le ferie e i viaggi, le escursioni e le gite fuori porta, rimarranno nei confini nazionali. Ma il patriottismo non basta per fare ripartire l’economia, come non serve a nulla, oltre ad essere pericoloso, cercare di trovare un nemico oltre al virus. Prendersela con l’Europa perché non è in grado di agire come ogni stato vorrebbe, con la Germania che non approva i “coronabond” o la Cina dalla quale è partito il virus, non aiuterà nessuno. Il bisogno di vicinanza reciproca che ogni individuo sta sentendo sulla propria pelle, si può trasformare in un bisogno di unione collettiva, mondiale. Il patriottismo non ha mai portato a nulla, ma la solidarietà internazionale, il pensiero legato non al piccolo ma a una visione più ampia potrà forse permettere un reciproco aiuto e un’indulgenza collettiva.

Al termine della pandemia, molto sarà cambiato, ma non solo in Italia. E le affermazioni che si captano celate e a bassa voce del “in situazioni come queste, verrebbe quasi da sperare che ad altri stati vada peggio che a noi”, riguardanti la preoccupazione del futuro economico, non sono che la conferma che forse, qualcosa nella società e nell’economia mondiale andrebbe cambiato. Il sogno di un sostegno umanitario sempre più ampio, la visione positiva di uomini in grado di ripartire insieme. Una collettività vera, una solidarietà reale.

Forse è solo un sogno, forse sono io confusa, a forza di respirare la stessa aria giorno e notte.


Letizia Chesini


Articolo di dicembre 2019

Quante volete l'approccio all'arte contemporanea si è limitato al commento pungente e provocatorio dell'osservatore? Il concetto di bellezza si sviscera, trasformandosi da estetica a idea.

Articolo di gennaio 2020

Genialità o pazzia? Ci sono basi scientifiche dietro a questa antica correlazione?

Articolo di febbraio 2020

Il ciclo mestruale è un normale processo fisiologico, ma è visto così? Ancora troppe donne sono sottoposte a pericolose pratiche e a condizioni igieniche precarie rischiando la vita per qualcosa che dovrebbe essere il garante della possibilità di una vita futura.

Racconto di marzo 2020

Un velocissimo sorso di caffè per assaporare l'infinità che esiste tra una persona e il proprio computer. In fin dei conti, anche lo spazio è relativo.

Essere o non essere- Letizia Chesini

Articolo di maggio 2020

Sai chi sei? Sai cosa vuoi? Ma poi la vera domanda è: esisti? C'è un te stesso, oppure sei solo un'intersezione di maschere? Come Pirandello e Goffman suggeriscono, sei un attore perfetto, hai mille facce, ma conosci il tuo vero volto?

letizia.chesini.ilcardellino@gmail.com