Fare audiovisivo significa cercare immagini, storie e linguaggi capaci di emozionare. Ma le immagini non nascono soltanto davanti a una videocamera o su un monitor: nascono dalla vita reale, da luoghi e situazioni che hanno il potere di trasformare lo sguardo.
Con questa sezione, Oltre lo schermo, voglio raccontare ciò che alimenta la mia visione creativa: le passioni e le esperienze che mi hanno insegnato a guardare il mondo in modo diverso, e che oggi sento sempre più vicine al mio lavoro.
Da adolescente mi sono avvicinato al teatro e all’intrattenimento dal vivo, in contesti semplici ma molto formativi. Non avevo maestri né insegnanti: ho dovuto imparare da solo, “cavarmela” passo dopo passo. Ho scoperto come usare un mixer audio e un banco luci, come preparare un palco e gestire microfoni e scenografie. Ma non è stato solo un esercizio tecnico: è lì che ho capito quanto la luce possa essere racconto, quanto il suono possa diventare emozione fisica, quanto ogni dettaglio scenico sia parte di un linguaggio.
In quegli stessi anni, i parchi a tema hanno iniziato ad affascinarmi. A Gardaland, le dark ride come Valle dei Re e I Corsari non erano per me solo attrazioni spettacolari: ci ritrovavo le stesse soluzioni che avevo intuito da solo nelle esperienze teatrali di paese. Scenografie, luci e suoni che costruivano un mondo immersivo erano la conferma che quel linguaggio che stavo scoprendo apparteneva davvero a un orizzonte più grande, capace di parlare a tutti.
Parchi a tema: un laboratorio di emozioni
Tra le passioni che hanno alimentato la mia visione creativa, i parchi a tema occupano un posto speciale. Ho sempre preferito le attrazioni con tematizzazione e narrazione a quelle puramente adrenaliniche: mi affascinano le scenografie spettacolari e i dettagli nascosti, quelli che molti non notano ma che rendono un’esperienza davvero memorabile.
Le prime emozioni di questo tipo le ho vissute a Gardaland – come già citato – grazie a dark ride come La Valle dei Re e I Corsari(ormai perdute), capaci di immergere il visitatore in un racconto visivo e musicale. Solo più tardi ho scoperto che molte di quelle meraviglie erano state create dai fratelli Mazzoli, scenografi di livello internazionale: un dettaglio che mi ha fatto capire come il bello, quando è progettato con cura, diventi la chiave stessa dell’emozione.
Negli anni ho visitato anche altri grandi parchi europei come Europa Park ed Efteling, e lì ho trovato una qualità progettuale e scenografica straordinaria, alla quale in Italia non siamo abituati.
Naturalmente ho voluto esplorare anche il panorama italiano oltre a Gardaland. All’apertura, Cinecittà World mi era sembrato un progetto con un potenziale enorme: la possibilità di unire cinema e spettacolo in un parco tematico davvero unico nel suo genere. Purtroppo, negli anni, quella promessa iniziale si è in gran parte smarrita: troppe scelte fuori fuoco hanno fatto perdere al parco la sua identità originaria, lasciando l’impressione di un’occasione mancata.
Al contrario, Movieland sul Garda mi ha sempre sorpreso positivamente. Lo considero uno dei migliori parchi italiani per la capacità di restituire un’atmosfera originale, con attrazioni spesso curate e con un carattere tutto suo. Tuttavia, anche lì si avverte a volte lo stesso rischio: la tentazione di proporre attrazioni banali, non sempre coerenti con il tema del cinema, che finiscono per diluire la forza del racconto e lasciare un po’ di amaro in bocca.
In un parco nulla è lasciato al caso: ogni elemento diventa parte di una regia collettiva che può insegnare molto anche a chi lavora con l’audiovisivo. I parchi sono infatti un manuale vivente che insegna a:
scrivere con lo spazio, come fosse una sceneggiatura da percorrere;
usare la luce come drammaturgia, non solo come illuminazione;
comporre il suono come esperienza fisica, capace di avvolgere lo spettatore;
curare i dettagli con la stessa precisione di un primo piano cinematografico.
La scoperta californiana
Il mio viaggio in California nel 2023 è stato un punto di svolta. Visitando due dei parchi più celebri al mondo, Universal Studios Hollywood e Disneyland, ho capito quanto possa essere diversa la filosofia che sta dietro a un progetto apparentemente simile.
Da un lato, Universal Studios Hollywood: un parco bellissimo e spettacolare, ma in cui si percepisce chiaramente la vocazione aziendale. È un luogo che nasce per mostrare la “fabbrica del cinema”, per trasformare i grandi effetti speciali in attrazione, per intrattenere con efficienza e spettacolarità. Una vera macchina commerciale, capace di stupire ma sempre riconducibile a una logica industriale.
La parte che mi ha colpito di più è stata senza dubbio The Wizarding World of Harry Potter, con la sua immersione totale nel mondo dei maghi. In particolare, la fila tematizzata di Forbidden Journey non è un’attesa, ma un racconto che si vive passo dopo passo. Entrare nel castello di Hogwarts significa attraversare ambientazioni curate in ogni dettaglio: quadri parlanti, l’ufficio di Silente, aule animate. È un percorso commovente per la precisione con cui riesce a trasformare un corridoio in una sequenza narrativa. Prima ancora di salire sul ride, si è già immersi nella storia: un esempio perfetto di come la tematizzazione, se fatta con cura, possa diventare parte integrante dell’esperienza.
Dall’altro lato, Disneyland: non solo un parco, ma il frutto diretto della visione di Walt Disney. Qui si avverte ancora oggi che non si tratta soltanto di un prodotto aziendale. Molti dettagli, molte scelte architettoniche e scenografiche non rispondono alla logica del profitto, ma a una filosofia artistica e narrativa. Walt volle realizzare qualcosa che andasse oltre l’intrattenimento, un luogo in cui il visitatore potesse entrare in una narrazione continua, coerente e viva.
Oggi la parte che forse più incarna questo spirito visionario è la recente Star Wars: Galaxy’s Edge. Non è semplicemente un’area tematica, ma un mondo intero: il villaggio di Batuu, con i suoi mercanti, droidi, astronavi a grandezza naturale, e un’atmosfera sonora e visiva che ti fa sentire davvero dentro la saga. Le attrazioni principali, Millennium Falcon e Rise of the Resistance, non sono giostre nel senso tradizionale, ma esperienze che ti trascinano dentro un racconto: dal cockpit del Falcon alle battaglie della Resistenza. Qui la magia non è un effetto speciale, ma una filosofia progettuale.
Il confronto tra i due parchi è rivelatore:
Universal Studios mostra la potenza di un’azienda che sa fare business spettacolare, intrattenendo con precisione industriale.
Disneyland California conserva l’anima di un’opera d’autore: il sogno di Walt che ha osato immaginare un mondo in cui la bellezza e la narrazione contano più della convenienza economica.
Camminare per quei viali significa accorgersi che non tutti i parchi sono uguali: alcuni divertono, altri emozionano. E quando dietro c’è una visione autentica, non si è più semplici visitatori, ma protagonisti di una storia.
L’illuminazione al Puy du Fou
Pensavo di aver visto tutto nei grandi parchi americani, e invece nel 2024, in Francia, ho scoperto qualcosa che mi ha davvero cambiato lo sguardo. Al Puy du Fou non ho trovato solo divertimento o immersione, ma un’esperienza emotiva di rara intensità. Non era meraviglia effimera: era commozione autentica.
Questo luogo può essere definito, per un europeo, il ristorante stellato dei parchi a tema. Non si limita a intrattenere, ma porta l’esperienza a un livello superiore, fatto di artigianalità, arte e autenticità. Ogni spettacolo è una creazione unica, costruita con cura maniacale per i dettagli, con scenografie che sembrano opere d’arte e con una qualità narrativa che non teme confronti.
Qui non ci sono attrazioni “di serie” replicate in catena: c’è un lavoro quasi artigiano, che mette insieme competenze teatrali, musicali, scenografiche e tecnologiche per creare un’opera totale. È un parco che parla il linguaggio del teatro classico e insieme quello del cinema contemporaneo, mescolandoli in una sinfonia visiva e sonora che avvolge il visitatore.
Al Puy du Fou il pubblico non assiste, partecipa. Si ritrova coinvolto in una regia dello spazio in cui ogni ingresso, ogni piazza, ogni movimento della folla diventa parte integrante della narrazione. È un teatro diffuso, che ti sorprende in ogni momento e che trasforma la tua presenza in scena.
Il risultato è una commozione rara: mi sono trovato con gli occhi lucidi, non per nostalgia o malinconia, ma per la bellezza pura di ciò che accadeva davanti a me. Un’esperienza che dimostra come i parchi a tema possano andare oltre lo spettacolo, diventando luoghi d’arte vivente, capaci di emozionare al pari di una grande opera teatrale o di un capolavoro cinematografico.
Una lezione per l’audiovisivo
Queste esperienze hanno cambiato il mio modo di guardare all’audiovisivo. Se un parco riesce a coinvolgere con tanta forza, vuol dire che i suoi principi possono ispirare anche il racconto per immagini.
Sfondare la quarta parete: non rivolgersi a un pubblico distante, ma costruire un dialogo diretto.
Scrivere con lo spazio: usare ambienti e percorsi come fossero inquadrature in sequenza.
Usare la luce come drammaturgia: non solo per illuminare, ma per raccontare.
Comporre il suono come esperienza fisica: trasformare il suono in emozione corporea, non solo uditiva.
Curare i dettagli: ogni costume, ogni oggetto, ogni scorcio può diventare un’inquadratura.
Un invito ai videomaker
Per anni i parchi a tema sono stati guardati, nel mondo dell’audiovisivo, con una certa sufficienza. Troppo “popolari”, troppo legati al turismo di massa per essere considerati terreno serio di riflessione creativa. Io credo invece che sia arrivato il momento di capovolgere questa prospettiva.
Chi lavora con le immagini e con le storie dovrebbe mettersi in gioco di fronte a questi luoghi. Perché non sono solo intrattenimento, ma laboratori narrativi a cielo aperto, capaci di insegnare come nessun manuale il rapporto tra spazio e racconto, tra emozione e linguaggio visivo.
I parchi dimostrano che il pubblico non vuole soltanto guardare: vuole vivere la storia, sentirsi parte di essa. Ed è proprio qui che ogni videomaker ha tutto da imparare: osservare come architettura, musica, luce e movimento vengano intrecciati per costruire un’esperienza totale significa arricchire il proprio bagaglio professionale e creativo.
Non serve liquidare questi mondi come evasione: al contrario, sono maestri di coinvolgimento. A noi spetta il compito di riconoscerlo, di lasciarci sorprendere e di portare quella lezione dentro i nostri lavori. Perché, in fondo, c’è solo da guadagnarci: imparare a parlare con il pubblico in maniera più profonda, più diretta e più emozionante.