Simposio della cattedra di Studi sul Mediterraneo

“Ripensare concretamente all’immigrazione” questo il tema del Simposio organizzato a Mazara del Vallo il 9 e il 10 Novembre 2017, per affrontare un problema molto attuale nella nostra società verso cui dovremmo avere tutti la curiosità di informarci, anche partecipando a seminari e a momenti di approfondimento sul fenomeno.

Essere curiosi, partecipi, . . . soprattutto ben informati

È stata proprio la mia curiosità, oltre al mio particolare interesse, a spingermi nel secondo focus del Simposio, dal titolo "Accoglienza e Immigrazione". A coordinare la discussione il Professore Ennio Cardona dell’Università di Palermo, il quale ha aperto i lavori facendoci riflettere sui dati dell’immigrazione in entrata e in uscita dall’Italia, dove nell’ultimo anno 144.000 Italiani sono emigrati all’estero e 122.000 stranieri provenienti da duecento nazionalità differenti sono arrivati. Sono dati da non sottovalutare, al contrario occorre un’attenzione particolare, perché molti Italiani giovani emigrano per lavorare all’estero e in Italia arrivano sempre più immigrati.

Capire i dati e gli eventi.

Per molti di noi, come ha sottolineato Valerio Landi, della Caritas di Agrigento, gli immigrati sono un problema, un’emergenza a cui far fronte, un pericolo.

Ma siamo sicuri che ci troviamo di fronte ad un’emergenza o ad un’invasione?

In realtà, la maggior parte dei rifugiati si riversa negli Stati limitrofi al proprio, spesso poveri anch'essi, perché spera di tornare al più presto a casa o perché sono Paesi culturalmente e/o linguisticamente più vicini a quello di origine. Non a caso i flussi migratori africani avvengono all’interno del continente stesso, così come in Medio Oriente, mentre solo una piccola percentuale è diretta verso l’Europa.

I Paesi che hanno più immigrati e più richieste di asilo sono l’Inghilterra, la Germania, la Francia . . . non l’Italia. Molti dei richiedenti asilo hanno come obiettivo i Paesi del Nord Europa come la Svezia e la Norvegia, dove sanno che il sistema di asilo è migliore e più garantista, e quasi nessuno ha l’Italia come sua meta. Data la sua posizione geografica, però, l’Italia finisce per essere una tappa obbligata per coloro che devono attraversare il Mar Mediterraneo. Gli arrivi, tuttavia, non avvengono solo via mare e molti raggiungono l’Europa attraverso le frontiere terrestri passando per altri Stati.

Un’emergenza nell’emergenza: i minori non accompagnati

Giuseppina Tumminelli dell’Osservatorio Migrazioni dell’Istituto di Formazione Politica “Pedro Arrupe” di Palermo ha affrontato il tema dei minori non accompagnati.

Per noi Italiani i minori sono coloro che hanno un’età inferiore ai 18 anni, quindi tutti i migranti con un’età compresa tra i 14 e i 17 anni per noi sono minori. Questi, pertanto, vengono inseriti in un percorso di accoglienza diverso rispetto a quello destinato agli adulti, percorso che non permette di iniziare ad avere un lavoro in breve tempo e, spesso, dopo il compimento dei 18 anni li lascia in balia del loro destino.

Dobbiamo invece considerare che questi ragazzini sono diversamente adulti, in quanto rispetto ai nostri adolescenti hanno avuto esperienze di vita che li hanno resi adulti in fretta: i loro familiari spesso si indebitano per farli partire in cerca di una situazione migliore. Per loro il distacco è forte, fortissimo, perciò, non appena arrivati in Italia, il loro unico pensiero è quello di trovare un lavoro ed aiutare la loro famiglia di origine a ripagare i debiti e a vivere dignitosamente, ma nel nostro Paese, proprio perché considerati minori, il loro percorso di inserimento è lunghissimo e non vengono spesso capite le loro esigenze: dolore della separazione, bisogno di elaborare il distacco, separazione dalla cultura di origine.

Pertanto, sottolineava la Professoressa Tumminelli, ci sarebbe bisogno di più specialisti in materia di minori non accompagnati e di percorsi più brevi per i minori migranti, che mirino all’inclusione del minore nella società, attraverso lo studio e l’approccio ad un mestiere che gli possa garantire un futuro dopo il diciottesimo anno di età.

Forse questa “emergenza” creata e mantenuta serve?”

Ad evidenziare il tema dell’emergenza, così come viene spesso definita dai mass media, è stato anche Giacomo Peretto della Caritas di Vicenza, il quale ha posto un’altra domanda: “Perché questo caos, perché questo gridare continuamente all’emergenza? Forse questa “emergenza” creata e mantenuta serve?”

Sì, proprio così. Lo stato di emergenza lascia il posto all’“eccezione” ed è funzionale a creare una situazione in cui si può derogare allo stato di diritto, in cui la legge ordinaria non trova applicazione, in cui le regole possono non essere rispettate e in cui si dà spazio alla discrezionalità e quindi alla speculazione.

Un’emergenza è qualcosa di imprevisto, qualcosa che non si può prevedere, ma i flussi migratori sono ormai da anni regolari e costanti, sono un fenomeno strutturale e ampiamente prevedibile.

L’arrivo di queste persone non è più un’emergenza, emergenziali sono i modi con cui vengono affrontati.

Il sistema di accoglienza in Italia.

Sulla base dei problemi e degli interrogativi si è discusso molto sul sistema di accoglienza in Italia, insieme si sono poste ulteriori domande e trovate alcune risposte.

Esiste un sistema in cui l’accoglienza sia dignitosa, rivolta a un numero piccolo di persone e caratterizzata da percorsi di inclusione personalizzati, da progetti e servizi che vadano al di là della pura assistenza materiale? Un sistema affidato a professionisti con competenze specifiche e qualificate? Sì!

Esiste un sistema di accoglienza in cui l’erogazione dei fondi sia controllata, vincolata e subordinata a rigidi criteri di selezione? Sì!

Esiste un sistema in cui i controlli – sui servizi e i percorsi di inclusione e sulle risorse - siano reali e severi e dove tutto deve essere rendicontato? Sì!

Tale sistema è lo SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) che, per essere attivato, necessita della volontà e della partecipazione degli enti locali. In questo modo si ha un’accoglienza integrata, diffusa, capillare e il numero delle persone viene stabilito sulla base del numero degli abitanti.

Vi è un fondo ordinario specifico, in cui confluiscono anche fondi europei, con una commissione che valuta le domande e i progetti. Tutto rendicontato. Nessuna invasione, nessuna speculazione.

Cosa succede se l’ente locale non aderisce alla rete SPRAR? Qual è l’altro sistema di accoglienza previsto? In questo caso ogni decisione passa alla Prefettura e si fa affidamento ai CAS (Centri di accoglienza straordinaria), i quali,come si può immaginare dal nome stesso, sono dei centri nati per l’insufficienza di posti nel sistema SPRAR e, in teoria, i CAS dovevano essere temporanei. Queste sono strutture di vario tipo, individuate sempre dalla Prefettura e, in mancanza di altri centri o appartamenti, a volte si richiede la disponibilità di posti agli albergatori o si collocano i migranti in vecchi hotel di zone periferiche. La loro natura “temporanea” fa sì che nei CAS si debbano semplicemente soddisfare le “esigenze essenziali”, i finanziamenti non vanno a progetto ma pro-capite e sono assegnati con un gioco al ribasso, secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Dunque, gli SPRAR sono la regola, i CAS sono l’eccezione. O almeno, così dovrebbe essere. Cosa succede in realtà? Succede che siamo in Italia e più del 70% delle persone si trova invece nei CAS.

In ogni caso, l’accoglienza nei CAS dovrebbe essere limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento dei richiedenti asilo negli SPRAR o ai tempi burocratici relativi agli esiti della domanda di asilo. Il periodo di accoglienza previsto negli SPRAR è invece di sei mesi dal momento della notifica del riconoscimento della protezione internazionale o della concessione della protezione umanitaria con possibile richiesta di proroga in alcuni casi particolari.

Dopodiché, i migranti escono dal circuito dell’accoglienza e diventano indipendenti ed autonomi, spesso allontanandosi dai territori in cui erano stati trasferiti.

Sensibilizzare i soggetti politici ovvero i cittadini

Questi sono stati gli spunti di discussione e riflessione a cui anche noi partecipanti abbiamo cercato di rispondere in base alle nostre esperienze, il focus avrebbe richiesto ancora altri momenti di condivisione, perché il tema è così vasto che quasi tre ore di discussone sono sembrate veramente poche. Il focus si è concluso ponendoci la domanda che era il tema del seminario: “Ripensiamo concretamente all’immigrazione?”. Questa domanda probabilmente non troverà risposta nell’ immediato. L’ auspicio è quello che si possa far concretamente qualcosa per questo fenomeno. C’è bisogno di più informazione corretta, di incontri mirati a spiegare il sistema di accoglienza dei migranti e soprattutto di sensibilizzare tanti soggetti, per la maggior parte politici affinché si sappia far fronte nel migliore dei modi all' immigrazione nel nostro territorio.

Maria Cristina Massaro