Musica: diamo i numeri!
di
Diego Marri e Francesca Boldini
Nell’ultimo decennio, la tecnologia si è evoluta smisuratamente e, insieme a essa, anche il mondo della musica: se dieci o vent’anni fa per ascoltare il proprio cantante preferito era necessario comprare il cd, la cassetta o il vinile in negozio, oggi basta cercare le canzoni online sul proprio dispositivo. Spesso e volentieri le troviamo gratuitamente su YouTube. In molti casi servono a sponsorizzare l’artista; infatti, per poter accedere ai brani o ad album interi senza pubblicità o con un sound chiaro e pulito, è necessario abbonarsi a servizi di streaming quali Spotify, Apple Music, Tidal, SoundCloud. Da qualche anno sono comparsi anche Amazon Prime e YouTube Premium, mentre su iTunes è possibile comprare singoli brani o album. Con pagamenti mensili, annuali o una tantum si possono ascoltare migliaia di canzoni: sono numerosissimi i cantanti e non solo, che hanno voluto fare del loro hobby un vero e proprio mestiere.
Il digitale ha permesso di superare ogni limite in termini di quantità di brani a disposizione degli appassionati di musica; con qualche click, si possono scaricare sul pc o sul telefono infiniti brani di ogni genere (dal jazz, al rap, al pop, alla musica classica).
Attualmente il cantante con maggiori ascoltatori mensili su Spotify è Ed Sheeran che arriva a raggiungere 63 milioni di fruitori ogni mese. Sotto di lui, Post Malone ne conteggia 56 milioni, mentre il terzo posto è occupato da Camila Cabello, che è ascoltata da 55 milioni di persone. La classifica va avanti: al quarto posto si trova J Balvin (54 Mio); al quinto Khalid (53,8 Mio), i Maroon V occupano il sesto posto (50 Mio), mentre Ariana Grande si trova un gradino sotto, con 500 mila ascoltatori in meno rispetto alla band statunitense. L’ottavo, nono e decimo posto sono detenuti rispettivamente da Justin Bieber (48 Mio), Shawn Mendes (47,3 Mio) e Billie Eilish (47,2).
Le canzoni più riprodotte, da quando la piattaforma è stata lanciata sul mercato, sono “Shape of You” di Ed Sheeran, che in quasi 3 anni ha accumulato 2,300 miliardi di streams. Super hit anche “Rockstar” di Post Malone con 1,730 miliardi di riproduzioni e “Closer” dei The Chainsmokers, che con questo brano ne hanno totalizzato ben 1,613 miliardi. Scendendo al decimo posto, la classifica include canzoni come “One Dance” e “God's Plan” di Drake, “Havana” di Camila Cabello, “Perfect” e “Thinking out Loud” di Ed Sheeran, “Say You Won't Let Go” di James Arthur e “Believer” degli Imagine Dragons: tutte con più di un miliardo di ascolti.
Per quanto riguarda invece iTunes, se consideriamo le canzoni più acquistate dal 2010 a oggi, si può dire che è Adele a dominare la top ten, sebbene Ed Sheeran sia un competitor non da poco: entrambi hanno infatti tre canzoni in classifica. I primi due posti se li è guadagnati Adele con “Rolling In the Deep” e “Someone Like You”, che sono state acquistate rispettivamente 15 e 14,5 milioni di volte. La terza posizione, con 13 milioni di sales, è occupata da “Happy” di Pharrell Williams. La graduatoria, dal 4° al 10° posto, comprende le canzoni “Set Fire To The Rain” di Adele, “Somebody That I Used to Know” di Gotye, “All of Me” di John Legend, “Shape of You”, “Perfect” e “Thinking out Loud” di Ed Sheeran e “Diamonds” di Rihanna.
YouTube, super popolare tra i giovani, offre la sua piattaforma ai cantanti per pubblicizzare i propri album, attraverso la pubblicazione di video musicali. Se consideriamo i video più visti in 24h, il record è detenuto dal gruppo coreano BTS che, collaborando con Halsey, ha conquistato 74 milioni e mezzo di visualizzazioni grazie a "Boy with Luv", uscito lo scorso aprile.
La lista dei video più visti di sempre invece è composta da “Despacito” di Luis Fonsi, in collaborazione con Daddy Yankee: il loro video a oggi conta 6 miliardi e mezzo di views. Al secondo posto si trova l’immancabile Ed Sheeran con “Shape of You” (4,5 Mrd). “See You Again” di Wiz Khalifa feat Charlie Puth è il terzo video più visto (4 miliardi di visualizzazioni). La top ten prosegue con “Uptown Funk”, canzone prodotta da Mark Ronson e cantata da Bruno Mars (3,7 Mrd), “Gangnam style” di Psy (3,4 Mrd), “Sorry” di Justin Bieber (3,2 Mrd), “Sugar” dei Maroon V (3 Mrd), “Roar” di Katy Perry (2,9 Mrd), “Counting Stars” degli OneRepublic (2,8 Mrd) e al decimo posto ancora Ed Sheeran con “Thinking Out Loud” (2,8 Mrd).
Le cifre sopra citate sono davvero elevate, ma basterà attendere qualche anno per vedere tutti questi record infranti da nuove canzoni o da nuovi artisti; infatti dal gennaio 2018 al gennaio 2019, gli utenti online sono cresciuti del 9% (366 Mio), determinando oscillazioni nelle scelte e nei gusti musicali emergenti.
Il ritorno di Marracash
di
Mario Cassetta
Dopo qualche anno di silenzio (non si sentiva da Santeria) e l’ennesima crisi, Marracash è tornato. Lo ha fatto con un disco in cui si è messo a nudo a partire dal titolo, che, non a caso, è Persona. Oltre a una copertina che è un esplicito omaggio a Ingmar Bergman, il rapper ha deciso di abbinare ad ogni traccia una parte del corpo, scomponendosi in tutte le sfaccettature che rappresentano l’individuo che è diventato. Molti, e notevoli, i featuring. Per tutte queste ragioni ho deciso di parlarvene, raccontandovi le mie impressioni su ogni traccia.
1. BODY PARTS – I denti
Canzone che funge da introduzione, elencando tutte le parti del corpo presenti nell’album.
Voto: 7+
2. QUALCOSA IN CUI CREDERE – Lo scheletro (feat. Gué Pequeno)
"Qualcosa in cui credere" ci riporta alla musica hip-hop di qualche anno fa; ovvia la collaborazione di Gué Pequeno, che in un lavoro di Marracash non può mai mancare (e viceversa).
Voto: 8
3. QUELLI CHE NON PENSANO – Il cervello (feat. Coez)
Citazione - sia nel titolo che nella base – della storica canzone-manifesto di Frankie HI-NRG MC. Si tratta di un brano chiaramente old school, cui Coez si adatta alla perfezione.
Voto: 8-
4. APPARTENGO – Il sangue (feat. Massimo Pericolo)
Pezzo che tratta della vita di strada, contesto in cui i due autori si identificavano abitualmente prima del successo. Marracash sottolinea il fatto di essere stato un delinquente dicendo: “sono un randagio ora come prima, a disagio con la polizia”; Massimo Pericolo, nella sua strofa, parla di analoghe tematiche: “ se anche la legge è uguale per tutti, nessuno è uguale”.
Voto: 8.5
5. POCO DI BUONO – Il fegato
Una delle più belle dal punto di vista della produzione, con bassi utilizzati al meglio e completati da un sapiente uso di suoni elettronici. Vi è una critica, dal punto di vista sociale, all’attuale Italia. Voto: 7
6. BRAVI A CADERE – I polmoni
Canzone molto orecchiabile, nota per essere stata cantata da Marracash a X-Factor in qualità di ospite.
Voto: 7+
7. NON SONO MARRA – La pelle (feat. Mahmood)
Peggiore brano dell’album a parere di chi scrive; Mahmood sembra rifugiarsi nella propria zona di comfort usando una melodia arabeggiante.
Voto: 5
8. SUPREME – L’ego (feat. Tha Supreme & Sfera Ebbasta)
Anche questa è una traccia molto orecchiabile grazie al ritornello di Tha Supreme. Sfera - anche in questa canzone - non dice nulla di nuovo, per un risultato un po’ deludente.
Voto: 7+
9. SPORT – I muscoli (feat. Luchè)
Un pezzo con un approccio molto “aggressivo” sia da parte di Marracash, che tira fuori scenari e verità disarmanti, sia da parte di Luchè, che nella sua strofa si dipinge come “re di Napoli”. Voto: 8
10. DA BUTTARE – Il ca**o
Brano che parla di attualità, con una conclusione lapidaria: “2000 anni di storia da buttare”.
Voto: 7.5
11. CRUDELIA – I nervi
La mia canzone preferita dell’album: parla di una relazione ormai conclusa tra Marracash e una ragazza. Outro toccante, con parole molto forti.
Voto: 9.5
12. G.O.A.T – Il cuore
Se sei triste e senza autostima, sostiene Marra, c’è sempre una via d’uscita. E, dopo “Crudelia”, è inserita a pennello.
Voto: 7
13. MADAME – L’ anima (feat. Madame)
A detta di molti è la canzone migliore del disco. Qua Marracash parla alla sua anima, che per l’occasione viene rappresentata da Madame. La quale, per inciso, è una ragazza di soli 17 anni che ha un talento unico.
Voto: 8
14. TUTTO QUESTO NIENTE – Gli occhi
La base parte con un sax in stile molto Jazz. Senza dubbio una delle tracce più belle del disco, in cui emergono particolarmente le doti di scrittura dell’autore.
Voto: 8.5
15. GRETA THUNBERG – Lo stomaco (feat. Cosmo)
Forse non il miglior brano, ma chiude il disco con leggerezza e spensieratezza. E con una punta di cinismo.
Voto: 6.5
*VOTO ALL’ALBUM: 8
Why Don't We: una band alla ribalta
di
Chiara Tonioli e Jacqueline Macchia
I Why Don’t We (conosciuti anche come WDW) sono una boy-band in attività dal 2016, nonché una delle band più in voga in questo momento. Sono famosi in tutto il mondo, potendo contare su un pubblico che spazia tra USA, Europa, Asia, Australia, India e Indonesia. Non solo: la loro fama sta crescendo sempre di più.
I componenti sono giovanissimi e molto seguiti dai loro fan, tanto che ogni membro del gruppo può vantare due milioni di seguaci sui social media.
Ciascun musicista, prima di entrare a far parte della band, aveva iniziato una carriera da solista pubblicando cover e singoli su Spotify e YouTube. I ragazzi rispondono ai nomi di:
Jonah Marais
È il più grande del gruppo, nato il 16 giugno 1998 (21 anni) a Stillwater in Minnesota. Ha tre sorelle: Zebulon, Svea and Esther. È diventato famoso postando su “YouNow” dei video in cui cantava e da lì ha iniziato a guadagnare popolarità.
Corbyn Besson
È nato il 25 novembre 1998 (21 anni) a Fairfax, in Texas. Ha un fratello, Jordan, e una sorella, Ashley. Come Marais, è diventato famoso su “YouNow”.
Daniel Seavey
È nato il 2 aprile 1999 (20 anni) a Portland, in Oregon. Ha una sorella, Anna e due fratelli, Tyler e Christian. La sua notorietà è iniziata con la quattordicesima edizione di “American Idol”, (programma musicale americano), quando, a soli 14 anni, si è classificato al nono posto.
Jack Avery
È nato il primo luglio 1999 (20 anni) a Burbank, in California. Ha tre sorelle, Sydnie, Isla e Ava. Inoltre ha già una figlia, Lavander May Avery, insieme alla sua giovane compagna influencer, di soli 18 anni, Gabriela Gonzales. Ha iniziato la sua carriera condividendo delle cover online.
Zach Herron
È nato il 27 maggio 2001 (18 anni) a Dallas in Texas. Ha un fratello, Ryan, e una sorella, Reese. Anche lui ha iniziato la sua carriera postando cover online.
Come è nato il nome della band?
La traduzione della frase significa semplicemente ‘Perché non noi?’. Questo è stato il pensiero che ha dato il via alla collaborazione. Del resto, come si deduce dalla scelta del nome, la band privilegia la spontaneità in ogni decisione.
Le origini
I Why Don’t We si sono formati ufficialmente il 27 settembre del 2016. Qualche settimana dopo il gruppo ha pubblicato il singolo di debutto, ‘Taking you’.
La musica
I Why Don’t We hanno pubblicato 4 Ep:
•Nel 2016 il debutto con “Only the Beginning”
•Nel 2017 “Something different”, “Why Don’t We Just”, “invitation” e “A Why Don’t We Christmas”
Nel 2018 hanno pubblicato il loro vero e primo album di successo, ‘8 Letters’. A ciò va aggiunta la pubblicazione del loro primo libro, ‘In the limelight’ (‘Sotto i riflettori’) uscito il 29 agosto 2019.
E per il 2019?
Per quest’anno il gruppo ha deciso di pubblicare una canzone ogni mes,e per poi uscire nel 2020 con un nuovo album e con tante novità.
La prima volta in Italia
Sono venuti per la prima volta in Italia nel giugno del 2018, soggiornando due giorni a Milano per promo e concerti.
Collaborazioni
Hanno collaborato con Ed Sheeran, artista mondiale che per loro ha scritto due brani (‘Trust Found Baby’ e ‘What Am I’). Inoltre hanno scritto una canzone con Maklemore,‘I Don’t Belong In This Club’, e con il famoso youtuber Logan Paul, con cui hanno realizzato ‘Help Me Help You’.
Se a venire fuori è una lacrima o un sorriso
di
Giacomo Gherardi
Ci sono canzoni cantate a voce alta, accompagnate da adrenalina e felicità; ci sono canzoni appena sussurrate quando la malinconia ci affianca; ci sono canzoni che, involontariamente, fanno riaffiorare in noi ricordi dimenticati. Il potere delle parole, accostato a note opportunamente in accordo, è in grado di esercitare diversi influssi, dal non farci sentire soli, all’insegnarci cose che diversamente non saremmo riusciti a capire. D’altro canto la musica non ha solo scopi riflessivi o intimi: se usata nel modo giusto può influenzare intere generazioni, cambiando il pensiero comune e svelando un’altra faccia della realtà.
In questo senso l’Italia è madre di molti cantautori che, solo grazie al proprio pensiero, ci hanno fatto e ci fanno tuttora riflettere anche a distanza d’anni. Celebri gli esempi di Battisti, l’intellettuale dissidente, Fabrizio De Andrè, autore indiscusso del libero pensiero o Lucio Dalla, che attraverso le sue parole ha strappato più di un sorriso. Tanti altri, permettendoci l’immedesimazione nelle loro storie, ci hanno aperto un mondo fatto di emozioni contrastanti.
Tra i bran classici consiglio:
- “La guerra di Piero” (Fabrizio De Andrè): è la vicenda di Piero, un soldato che, incrociando il nemico esita, nello sparare. Il gesto gli costerà poi la vita;
https://www.youtube.com/watch?v=KoYw0LHEWLM
- “Disperato Erotico Stomp” (Lucio Dalla): vi si racconta, in chiave ironica, il susseguirsi di eventi dopo una delusione d’amore vissuta in prima persona dallo stesso Dalla.
https://www.youtube.com/watch?v=JDNGvuXBAaY
Tra i più recenti, invece:
- “Ti regalerò una rosa” (Simone Cristicchi): è un testo di riflessione su una storia d’amore nata tra le buie celle di un ospedale psichiatrico.
https://www.youtube.com/watch?v=x8RiA5ZRKMs
Tutti questi brani suscitano in me un senso di immedesimazione, come se le loro storie in qualche modo potessero essere anche mie. Per questo consiglio a tutti di trovare il tempo di fermarsi e ascoltare una canzone da soli riflettendo sul suo significato. Tanto meglio se a venire fuori è una lacrima o un sorriso.
Dal rap alla trap: passaggio del testimone?
di
Leonardo Acciari
La cultura hip-hop ha avuto inizio negli anni Settanta in America. Da allora, nei decenni seguenti, si è assistito alla nascita di diversi generi musicali a essa connessi. In particolare, è emerso il ruolo centrale del rap: alle origini trattava argomenti di forte denuncia sociale, a partire dall’emarginazione nei ghetti delle persone di colore. Il genere nel corso degli anni ha però subìto molte trasformazioni: sia per quanto riguarda gli artisti che ne fanno parte, poiché anche chi non aveva bisogno di comunicare un disagio sociale ha iniziato ad interessarsene, sia per quanto riguarda le sonorità, che erano e sono in continua evoluzione. La nascita del rap italiano si è avuta più tardi, negli anni Ottanta: la principale fonte di ispirazione era inevitabilmente il rap americano.
Curiosamente, si tratta della stessa dinamica che si è verificata con la trap, sottogenere, nato egli U.S.A. nei primi anni del nuovo millennio, i cui testi non hanno niente a che vedere con ciò che si era sentito prima. Anche la trap è arrivata in Italia solo un decennio più tardi. Non solo: gli influssi che la trap americana esercita su quella italiana rivelano delle similitudini con le influenze che ha avuto il rap americano sul rap italiano. Ciò si nota nelle riprese dello stile dei beat americani (o anche direttamente del beat stesso). Lo stesso vale per frasi o modi di dire in slang, campionati e riportati nei brani.
Per capire i condizionamenti del rap americano su quello nostrano, basterà fare alcuni esempi. Il noto rapper bolognese Fabiano Ballarin, detto Inoki, nella sua celebre traccia “Giorno e Notte” inserisce una frase che chiude il brano: “livin’ in the ghetto trying to get the hell out”. Il nesso è preso da Supa Star, traccia del duo americano “Group Home”, attivo negli anni ’90. Inoki intende così far presente all’ascoltatore che, come nei ghetti di New York, anche in Italia, nelle città, ci sono quartieri dai quali le persone cercano disperatamente di scappare a causa della povertà (appunto “trying to get the hell out”). Fabrizio Tarducci, in arte Fabri Fibra, nel brano “Ringrazio” parla del suo rapporto con la madre in un modo che ricorda molto il modo in cui lo fa Eminemin in “Cleanin’ out my closet” del 2002.
Passando all’ambito trap – e agli influssi su intere basi e sullo slang –, non mancano le analogie. A volte interi mixtape, album o EP presentano canzoni le cui basi sono totalmente prese da rapper/trapper americani come il mixtape “QVC7” di Gemitaiz, artista romano, nel quale brani come “A me mi” o “Gigante” (con beat originali rispettivamente di Drake e Travis Scott) dimostrano che anche i rapper più affermati possono parlare di argomenti “più leggeri” e meno impegnati aiutandosi con dei beat più conosciuti, la cui melodia rimane immediatamente impressa nella mente. Le parole più utilizzate derivanti dallo “slang” nella trap italiana sono la stessa parola “trap”, con declinazioni che hanno in ogni caso a che vedere con la vendita di stupefacenti (“trapping” o “traphouse”); seguono “gang”, per indicare il proprio gruppo di amici e conoscenti, e “glock” cioè la classica arma da fuoco in dotazione dei giovani americani al giorno d’oggi.
La cosa interessante è come le parole più diffuse non siano quelle più “hip-hop”, ma lo siano invece parole come “love” o “game”, come spiega una statistica del noto sito “The Pudding”: il genere trap proprio per questo essere fuori dagli schemi e dalle regole sta riscuotendo un successo che per molti era inaspettato.
Chi conosce i Led Zeppelin?
di
Federica Angotzi
Vi dice niente l’hard rock? Probabilmente è uno dei generi musicali meno noti a giovani orecchie abituate alla solita trap di Sfera Ebbasta.
Tedua, Capo Plaza, DrefGold, Izi, Rkomi, Dark Polo Gang, ASAP Rocky, Cardi B, Tyga, Travis Scott: sono tutti nomi che è improbabile, per gli adolescenti del 2020, non aver sentito almeno una volta guardando YouTube, la televisione o semplicemente ascoltando la radio.
E i Led Zeppelin? Sono oggi dimenticati? Se possiamo considerarli come un gruppo, anzi IL GRUPPO sicuramente presente nei ricordi di una ex-gioventù ora adulta, non va misconosciuta la loro importanza come band iniziatrice dell’hard rock per eccellenza. La loro mescolanza di rhythm and blues insieme al rock and roll ha fatto scalpore negli anni Settanta, date le particolarità moderne del nuovo sound, le cui radici affondano ancora nel blues, folk e rockabilly. Non passa molto tempo prima che il complesso diventi modello di ispirazione per altri.
I Led Zeppelin, dalla nascita nel 1968 fino allo scioglimento, avvenuto nel 1980 in seguito alla morte di Bonham, sono composti da Robert Plant (voce e prima chitarra), John Paul Jones (basso e tastiera), John “Bonzo” Bonham (percussioni e batteria) e Jimmy Page (chitarra).
La loro storia apre il sipario nella lontana estate del 1966, quando il non ancor famoso Jimmy Page, chitarrista e session man britannico, facente parte degli Yardbirds (una band inglese rhythm e blues) abbandona il gruppo ormai agli sgoccioli della carriera per coronare il sogno di fondare una nuova band tutta sua. Nascono così i New Yardbirds, formati dai membri citati in precedenza, che, al rientro dal loro primo tour in Scandinavia, rinominano la band “Led Zeppelin”.
Il successo arriva prestissimo, soprattutto in America, dopo l’uscita del primo disco registrato nel 1968; altrettanto clamore provoca, l’anno successivo, la seconda uscita, chiamata semplicemente “II”, scritta in soli sei mesi durante le brevi pause del loro tour tra Londra, New York, Vancouver e Los Angeles.
Interamente composto da materiale basato su idee nate nelle stanze d’albergo, assoli fatti nei corridoi, amalgamati e mixati in soli due giorni negli studi di New York, troviamo ad aprire il disco il più noto singolo dell’intero album: Whole Lotta Love.
La canzone rockeggiante, di grande impatto sonoro, tra assoli di chitarra e colpi di percussioni, lascia spazio a un orecchiabile testo, il cui contenuto è discutibile (descrive infatti il desiderio di un rapporto sessuale con un’ipotetica ragazza).
Per quel che attiene alla traccia successiva, dopo un inizio melodico e blueseggiante, la musica esplode in un vero e proprio rock 'n' roll, per poi riprendere la melodia rilassante dell’inizio: è questa la famosa What Is and What Should Never Be.
Terza canzone dell’album è The Lemon Song, sicuramente una delle composizioni più blues dei Led Zeppelin, in cui sentiamo il basso e la chitarra, che entra per seconda, come protagonisti. Per quel che attiene al contenuto, allude anch’essa a riferimenti sessuali.
Segue poi la strappalacrime e sentimentale Thank You, la canzone che più di tutte trasmette pathos e forti emozioni.
Si ritorna in seguito al deciso ed esemplare colpo di chitarra tipico del rock 'n' roll alla sua massima potenza con Heartbreaker e Living Loving Maid, la cui parte centrale è composta da notevoli scale ascendenti, che accompagnano Robert Plant nel suo impeccabile cantato fino all’ottimo assolo.
Siamo ormai arrivati alla fine con Ramble On e Moby Dick, quest’ultima solo strumentale, che ci traghetta alla chiusura con Bring It On Home, dal sapore inizialmente molto country.
È un album sicuramente di grande impatto, anche per una ragazzina del Ventunesimo secolo, tuttavia molte canzoni mi sono parse davvero simili tra loro dal punto di vista melodico. Spiccano, a mio parere, due tracce: essendo un’intramontabile romanticona, ho apprezzato l’appassionata Thank You, una canzone che ricorda momenti tristi, ma significativi di un passato che non puoi più riavere, e Whole Lotta Love, che trasmette adrenalina e dinamicità fin dal primo ascolto.
Il White Album: un mashup in salsa Beatles
di
Ludovica Bargilli
I Beatles furono una famosa rock band britannica, composta da Paul McCartney, John Lennon, Ringo Star e George Harrison, nata a Liverpool nel 1960.
A causa della morte del loro manager nel 1967, delle ribellioni giovanili del 1968 e del loro viaggio in India, compiuto con lo scopo di ritrovare se stessi, il gruppo visse un momento difficile, da cui nacque il White Album (uscito il 22 novembre 1968), disco nel quale cominciano a emergere le personalità dei singoli componenti della band, che, da quel momento in poi, andrà verso una progressiva dissoluzione. Da molti critici, quest’album è considerato il loro ultimo capolavoro, poiché McCartney, Lennon e Harrison avevano già cominciato a comporre e incidere separatamente le proprie canzoni.
Durante le registrazioni, ci furono diversi litigi tra i componenti, al punto che Ringo il 22 Agosto abbandonò la sessione, per dedicarsi a una vacanza in Sardegna con la famiglia; nel tentativo di sciogliere le tensioni, i restanti Beatles gli fecero trovare, al ritorno, la batteria decorata da vari festoni di fiori con la scritta “Bentornato Ringo”.
Il White Album, che all’inizio avrebbe dovuto chiamarsi A Doll’s House, è conosciuto anche come The Beatles. Il titolo più celebre deriva probabilmente dalla copertina: tutta bianca, se si eccettua la scritta col nome della band.
Il disco è composto da trenta brani registrati tra il 30 maggio del ‘68 e il 14 ottobre dello stesso anno. È un mix tra rock 'n' roll e vaudeville (“Honey Pie”), con accenti psichedelici (“Cry Baby Cry”) e alcune ballate (“Martha My Dear”).
La canzone “Why We Don’t Do It In The Road?”, esplicita e spudorata, è composta da un’unica frase, ripetuta svariate volte da Paul McCartney, accompagnato dalla batteria di Ringo Starr.
I testi dell’album trattano in alcuni casi di delusioni d’amore (“Sexy Sadie”), in altri possono essere ironici (“Back In The USSR”) e in altri ancora si offrono come celebrazioni della natura (“Mother Nature’s Son”).
Il White Album è considerato un disco privo di un genere definito, una specie di album da decodificare. Venne accolto positivamente dalla critica e ne furono vendute moltissime copie (quattro milioni in meno di due mesi).
A mio parere, dopo Abbey Road, questo è uno dei dischi più belli della band. Alcune canzoni mi trasmettono tranquillità e altre mi danno molta carica, in altre ancora, invece, riesco a immedesimarmi al punto di commuovermi. Credo che sia proprio questo l’effetto che debba fare la buona musica.
Il più grande evento musicale della storia
di
Giulia Cavallo e Allegra Tacoli
È il 13 luglio del 1985. Tra il Wembley Stadium di Londra e il John F. Kennedy Stadium di Philadelphia si svolge quello che passerà alla storia come il Live Aid. I due stadi vengono riempiti rispettivamente da circa 72.000 presenze per lo stadio londinese e circa 90.000 per quello americano. Questo grande successo di pubblico fa del Live Aid il più importante collegamento via satellite e la più celebre trasmissione televisiva di tutti i tempi: è infatti sicuro che circa due miliardi di persone in 150 paesi abbiano assistito alla trasmissione in diretta.
Il concerto, organizzato da Bob Geldof e da Midge Ure, aveva come obiettivo quello di raccogliere fondi da destinare alla popolazione che dal 1983 al 1985 aveva sofferto per la grande carestia etiope. Un anno prima, lo stesso Geldof aveva scritto il brano “Do they know it’s Christmas?”, con l’intento di coinvolgere diversi cantanti per la stessa causa: era nata, così, quella che verrà chiamata “Band Aid”. Dal momento della registrazione del singolo, che vide coinvolti i più celebri artisti britannici degli anni ‘80, la collaborazione da parte di ogni artista fu tale da lasciare entusiasta il cantautore, a quel punto invogliato a organizzare qualcosa di ancora più grande: il più grande concerto rock mai visto, Il Live Aid appunto.
È così, quindi, che alle 12.00 del 13 Luglio 1985, al Wembley Stadium di Londra, ha inizio uno dei concerti più importanti della storia della musica. L’evento, iniziato a mezzogiorno, è terminato alle 22.00 con la magica esibizione della Band Aid,
I partcipanti del Live Aid britannico sono stati: Status Quo, Style Council, Boomtown rats, Adam Ant, Ultravox, Nik Kershaw, Sade, Sting, Phil Collins, Howard Jones, Bryan Ferry (con David Gilmour dei Pink Floyd alla chitarra), Paul Young, Alison Moyet, U2, Dire Straits, Queen, David Bowie, The Who, Elton John, Wham!, Paul McCartney, Band Aid.
Tra questi artisti, però, la parte del leone è stata svolta dai Queen, giudicati come il gruppo con la miglior performance del concerto. L’euforia di Freddie Mercury, infatti, e la sua capacità di coinvolgere il pubblico al massimo durante l'esibizione hanno lasciato a bocca aperta gli spettatori. Il cantante, accompagnato da Brian May, Roger Taylor e John Deacon, si esibì in “Bohemian Rhapsody”, “Radio Ga Ga”, “Hammer To Fall”, “Crazy Little Thing Called Love”, “We will rock you” e “We are the champions”, che, intonata da tutti, diventò un vero e proprio inno. I Queen furono talmente tanto apprezzati che lo stesso Elton John dichiarò un’intervista: “Quel giorno Freddie Mercury ha rubato la scena a tutti”. E questo accadde non solo per l’energia positiva che riusciva a emanare, ma anche perché fu una delle sue ultime esibizioni: come molti sanno, infatti, tempo prima gli era stato diagnosticato l’AIDS.
Il Live Aid è anche stato ricreato nel film-biografia dei Queen Bohemian Rapsody, uscito nel 2019; inoltre i Global Citizen (organizzazione mondiale di cittadini attivisti) hanno previsto per il 26 settembre 2020 la produzione di un concerto sul modello del Live Aid, di proporzioni simili a quello del 1985! A riportare la notizia è stata la CNN americana: si tratterà di un evento della durata di dieci ore, trasmesso in cinque continenti, per supportare gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite ed eliminare la carestia nei paesi più poveri del mondo. Insomma 35 anni dopo, sarà possibile rivivere ancora una volta emozioni simili a quelle provate durante lo storico Live Aid e donare dei soldi per il miglioramento della vita sul pianeta.
Al momento non si sa ancora con certezza quali artisti canteranno al nuovo mega-concerto.
Nel caso voleste ascoltarla, a questo link potete trovare l’esibizione dei Queen al Live Aid:
https://youtu.be/TkFHYODzRTs
La ribellione musicale dei Pink Floyd
di
Giulia Lelli e Sabrina Santangelo
I Pink Floyd, band inglese degli anni Sessanta, hanno riscritto lo stile della musica pop e rock di quegli anni, diventando uno dei gruppi musicali più rinomati fino ai giorni nostri. Sono considerati i precursori della musica psichedelica, caratterizzata da sonorità ipnotiche e da una componente visiva integrata a quella sonora.
La loro storia inizia quando tre studenti di architettura, Roger Waters, Nick Mason e Rick Wright, insieme a uno studente di pittura, Syd Barrett, abbandonano i libri per dedicare il resto della vita alla musica rock.
Roger Waters diventerà il futuro bassista della band, Nick Mason il batterista, Rick Wright il tastierista e Syd Barrett il cantante, chitarrista e leader, poi sostituito da David Gilmour nel 1968, a causa della propria instabilità psichica.
Le loro esibizioni hanno inizio nel ‘66, all’interno dei club della Londra underground, con un repertorio musicale che comincia ad acquisire una propria identità, grazie ai primi brani composti da Syd Barrett.
Dopo l’uscita di album quali The Dark Side of the Moon (1973), Wish You Were Here (1975), The Wall (1979), il gruppo attraversa un periodo di conflitti e separazioni, segnato dall’abbandono del bassista Waters (1985). Due anni dopo, la band, in questa nuova formazione priva di uno degli storici componenti, produce l’album A momentary lapse of reason. In seguito a un lungo periodo di silenzio, i Pink Floyd si riuniscono a Londra nel 2005 per tenere il loro ultimo concerto live.
The Wall è sicuramente uno degli album più conosciuti e apprezzati dei Pink Floyd; inoltre è molto amato per il profondo ed emozionante significato che si nasconde dietro al titolo.
I brani ruotano attorno a un personaggio immaginario, la rockstar Pink, che, a causa di difficili esperienze di vita, si costruisce attorno un muro, al riparo del quale trova rifugio dal mondo esterno.
L’intero album è scritto principalmente da Roger Waters e i 26 brani che lo compongono sono in gran parte ispirati a esperienze significative e segnanti della sua esistenza, come per esempio la morte del padre, l’oppressione scolastica, una madre soffocante e, più in generale, una vita di eccessi.
Sicuramente uno dei brani più rappresentativi è “Another Brick in the Wall”, che racconta la ribellione di alcuni studenti contro un sistema scolastico omologante. Questo è evidente da una delle prime strofe: “We don’t need no education / we don’t need no thought control” (“non abbiamo bisogno di educazione, non abbiamo bisogno del controllo del pensiero”), indubbiamente leggibile come un grido di ribellione degli alunni, che, finalmente, dicono la loro.
Il messaggio è reso ancor più chiaro dal video, in cui dei ragazzi, vestiti allo stesso modo, marciano come fossero dei soldatini. La ribellione degli studenti, che iniziano a rompere i banchi, a strappare i fogli dai libri di testo e ad appiccare un incendio dentro al quale gettano gli oggetti distrutti, è sottolineata dalla musica che si fa sempre più forte.
L’intero album porta in sé una forza sovrannaturale: è pungente, ma allo stesso tempo dolce e fragile. È completamente un altro genere di musica rispetto a quella attuale: è vera, non “autotunizzata”.
Senza dubbio i Pink Floyd sono uno di quei gruppi che ha segnato la storia della musica, per il semplice fatto che sono riusciti a distinguersi dalla massa, andando contro gli standard di quegli anni, sconvolgendo completamente il panorama musicale dell'epoca e ottenendo un notevole successo.
Ai giorni nostri, nella vita come nella musica, chi si distingue dalla massa viene mal visto ed escluso dalla società: se non ascolti il genere di musica che ascoltano tutti, sei strano; se invece sei una specie di “copia-incolla” della maggioranza, allora sei un ragazzo forte. Penso che oggigiorno bisognerebbe lasciar spazio alla propria creatività, ai propri istinti, senza aver paura di essere sé stessi.
Servirebbe un altro gruppo come i Pink Floyd, che stravolga nuovamente l’intero edificio della musica attuale e il pensiero dominante, come fecero loro negli anni Sessanta.
Cronistoria e caratteri della musica K-pop
di
Chiara Tonioli e Aurora Gambacorta
Origini
Il K-pop (abbreviazione di Korean pop, pop coreano) è la musica popolare della Corea del Sud. Le origini del genere vengono fatte risalire all'ultimo ventennio del 1800, quando alcune popolari canzoni occidentali vennero riscritte in coreano. La ripresa dell'economia al termine della Guerra di Corea, negli anni Cinquanta, fece fiorire la scena musicale locale, e i contatti con gli americani e il movimento hippy portarono alla ribalta una produzione più scanzonata non condizionata dal conflitto e dall'oppressione giapponese.
La nascita di una cultura moderna
La forma moderna del genere emerse con la formazione - nel 1992 - dei "Seo Taiji and Boys", le cui sperimentazioni con diversi stili e generi e l'integrazione di elementi provenienti dall'estero aiutarono a modernizzare la scena musicale del Paese. Nel 1996 ai cantanti tradizionali si affiancò la figura del cosiddetto Idol (di cui si dirà più avanti), con il debutto degli "H.O.T.": da lì il K-pop divenne una subcultura in grado di riunire enormi fandom (http://www.treccani.it/enciclopedia/fandom_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/) di adolescenti e giovani adulti. Il K-pop non resta ancorato al solo genere musicale, ma diviene una vera e propria cultura che viene seguita nei minimi dettagli, dall’abbigliamento al taglio dei capelli, molto spesso colorati ed in tinta con i vestiti.
Il ricorso all'inglese
Il K-pop moderno è caratterizzato dal suo uso di frasi in inglese. Society ha scritto che ciò potrebbe essere dovuto all'influenza "dei coreano-americani e/o dei coreani che hanno studiato negli Stati Uniti, che si avvantaggiano della propria scioltezza con l'inglese e delle risorse culturali che non si trovano comunemente tra chi è stato cresciuto ed educato in Corea"
Coreografie
Dopo alcuni tentativi fallimentari di incorporare il ballo nelle esibizioni canore durante gli anni Settanta e Ottanta, esso è diventato parte integrante del K-pop nel 1992, con i "Seo Taiji and Boys": essi portarono al declino delle esibizioni statiche in favore di gesti, passi di danza e acrobazie tipiche della breakdance. La coreografia K-pop include spesso la cosiddetta point dance, ovverosia una sequenza di movimenti avvincenti e ripetitivi che ricalca il contenuto del testo del brano. Gli anni 2010 hanno visto l'emergere di un diverso tipo di coreografia, la concept coreography, nella quale testo, costumi di scena e danza vengono uniti in un'esibizione onnicomprensiva per raccontare una storia.
L'allenamento e la preparazione necessari per sfondare nell'industria e ballare con successo sono intensi, per questo esistono centri di formazione che sviluppano le abilità di ballo. Poiché le coreografie eseguite dai gruppi K-pop sono energiche, l'allenamento fisico è uno dei maggiori obiettivi delle scuole, e deve continuare anche dopo aver firmato un contratto. Le etichette ospitano centri di formazione molto più grandi per coloro che sono stati scelti.
La moda
Il ruolo della moda nel K-pop è cresciuto di pari passo con la digitalizzazione del mercato musicale nel XXI secolo, che ha aumentato la concorrenza e reso necessaria l'adozione di strategie per lasciare un'impressione nel pubblico che fosse il più duratura possibile. I cantanti hanno iniziato ad essere interpretati come marchi e per ciascuno è stato creato uno stile composto da elementi visivi di diverso genere che uniscono il design degli album, dei video musicali e delle esibizioni a trucco, acconciature e costumi di scena per definire l'identità dell'artista. Tale fenomeno, mescolando la musica alla cultura pop, è inedito sia nell'industria musicale statunitense che in quella giapponese. Il K-pop ha un'influenza significativa sulla moda asiatica, dove le tendenze avviate dagli Idol vengono seguite dal pubblico giovane.
I fandom
I fandom sono svariati e sono anche molto grandi. Dal momento che il K-pop sta diventando molto famoso anche all’estero, spesso i fandom si dividono in fan "coreani" e fan "internazionali" (come nel caso delle "ARMY", fans dei "BTS"). Nel Regno Unito, i "BTS" sono stati i primi artisti K-pop a entrare nella UK Album Charts, comparendo in posizione 62 nell'ottobre 2016 con "Wings". Il gruppo ha fatto registrare anche il miglior piazzamento di sempre per un cantante coreano, quando l'EP "Map of the Soul: Persona" è risultato primo in classifica nell'aprile 2019.
Gli Idols
Le persone che animano il K-pop rispondono al nome di Idols. Sono ragazzi e ragazze che, già in giovane età, iniziano un percorso di apprendistato (dall’infanzia all’adolescenza), in cui vengono preparati nella musica, nella danza e nelle lingue, per poi arrivare al debutto come Idol, in quanto artisti in grado di fare un’esibizione "completa".
Bologna in ballo
di
Leonardo Acciari e Arianna Roncarati
A Bologna nel dopoguerra si ballava veramente dappertutto: nelle case private, nei cortili, e, naturalmente, nelle sale da ballo. Questo aspetto rivelava una voglia estrema di tornare ad una vita spensierata ed il ballo era una forma semplice ed economica con cui tutti si potevano divertire. Si seguivano solitamente sequenze precise: tre pezzi e poi una pausa, il "riposino", che permetteva di rifiatare a suonatori e ballerini, mentre i camerieri potevano servire consumazioni.
I locali da ballo potevano essere classificati come "balere", dove si ballava ogni tipo di musica. Erano dotati dell'essenziale: pista, sedie attorno alla pista e spazio per i suonatori; "sale da ballo" più raffinate, con i tavolini ed i camerieri per le consumazioni ed i "Night Clubs".
Una delle discoteche più amate dai bolognesi era senz'altro "La vipera”. Divenne famosa sul finire degli anni '80 e fu uno dei primi locali della città a sdoganare la tematica dell'omosessualità. Negli anni '90, quando iniziò a diventare un luogo di culto, cambiò nome in “Sole Luna” e divenne una discoteca “generalista”. Da metà anni 2000 è stato tramutato in un garage per autovetture. La discoteca “Bel Castello”, che dal 1973 alternava orchestre e disc jokeys, passò nel 1974 ad una proposta musicale curata solo dal Dj.
Un altro locale che esiste tuttora è lo "Chalet dei Giardini Margherita". Nato come piccolo chiosco all'interno nei Giardini già nel 1879, ora è una discoteca dove una serata «di tendenza» comprende musica house e Dj conosciuti in tutti i templi del ballo d'Europa. Purtroppo però, tra risse e proteste dei residenti, le forze dell'ordine sono dovute intervenire ben 17 volte dal 2001. Il 25 febbraio 2005 il Questore ordinò la chiusura temporanea del locale: 15 giorni di "cartellino rosso" per la violazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Al giorno d’oggi invece i giovani bolognesi frequentano differenti tipologie di discoteca. Tra queste spiccano il "Link" (in origine "L'Isola Nel Kantiere"), già considerato il tempio della Techno di Bologna e attualmente uno dei migliori club d’Italia, il "Numa Club", dove hanno suonato grandi artisti come Solomun e Ilario Alicante, e il "Matis Dinner Club", che ha fatto la storia della vita notturna italiana sin dalla sua apertura negli anni '90.
Il panorama sembra comunque in continua evoluzione: l'elenco dovrà, senz'altro, essere aggiornato a breve.
Il funambolico Dardust, in bilico tra musica classica ed elettronica
di
Jacqueline Macchia
Dario Faini, pianista, compositore e producer elettronico, è conosciuto col nome d’arte Dardust, crasi del suo nome Dario e della parola “Dust”, in omaggio sia al famoso personaggio Ziggy Stardust, creato da David Bowie, vera e propria ispirazione di tutto l’immaginario “spaziale” di Faini, che al duo Dust Brothers, divenuti noti come Chemical Brothers negli anni ’80 e ’90 del secolo precedente.
Quest’eclettico musicista si contraddistingue per il suo stile neoclassico, che unisce il mondo del piano tradizionale con quello della musica elettronica, creando atmosfere eteree con chiare influenze nord-europee, a cui si ispira anche per la sua trilogia, composta per l’appunto da tre dischi per altrettante città nordiche: Berlino, Reykjavík e Londra.
Nato nel ’76 ad Ascoli Piceno, nel 2014 Faini dà vita a un ensemble, composto da un trio di archi e un polistrumentista, creando un progetto tutto italiano, ma il cui soffio vitale è europeo. Berlino è, infatti, l’ispirazione per il loro primo concept album, intitolato “7”: questo numero ha, peraltro, un’importanza specifica, poiché sta a indicare sette brani, registrati in sette giorni e prodotti in sette mesi. Il disco vede la luce proprio nella capitale tedesca, al Funkhaus studio, ex-sede della radio della DDR, dove hanno registrato artisti come A-ha, Sting e The Black Eyed Peas.
Dal grande successo dei primi concerti, che uniscono musica e impressionanti scenografie luminose, nasce il film-concerto “7”, che mette insieme immagini dal vivo delle sue esibizioni e riprese girate a Berlino.
Il singolo “Sunset on M.” arriva in vetta alle classiche di iTunes; in questo video sono palesi la simbologia “spaziale” e l’omaggio a Bowie. In esso, infatti, si racconta di un astronauta che perde i suoi ricordi tornando bambino – un chiaro riferimento al film “L’uomo che cadde sulla Terra”, che vede come protagonista proprio Bowie.
Nel 2015 Dardust ottiene una nomination agli “Italian Mtv Music Awards” per la categoria “Best New Generation” e un’altra nomination agli “Mtv Digital Days” per la categoria “Best New Generation Electro”. Il tour che segue gira tutta l’Italia e arriva anche in location particolari come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma e conta persino la collaborazione di artisti come i Bluvertigo.
Come anticipato, il secondo album “Birth” si ispira e viene inciso a Reykjavík nei Sundlaugin Studio, casa e studio di registrazione del gruppo post-rock islandese Sigur Rós, dove ha registrato anche Damien Rice.
Anche qui si uniscono lo stile neoclassico e quello elettronico, ma in maniera più estrema e diversa dal precedente “7”. “Birth” si divide, infatti, in due parti: una slow, che si ricollega al clima berlinese di “7”, e una loud, che ci trasporta direttamente nel terzo album di ispirazione londinese.
Primo disco del compositore marchigiano ad avere l’etichetta Sony Music sul mercato internazionale, l’ultimo capitolo della trilogia di Dardust s’intitola “S.A.D. Storm And Drugs” ed esce il 17 gennaio di quest’anno. È il risultato di un viaggio tra Londra ed Edimburgo. Anche in quest’occasione, Faini collabora con musicisti e compositori internazionali, tra cui il tedesco Nils Frahm, l’islandese Ólafur Arnalds e l’italiano Ludovico Einaudi. Come nei precedenti, pure in quest’album il piano minimalista si fonde con le atmosfere electro. Il suo scopo è evidentemente quello di ampliare il pubblico di questo genere musicale. E sempre confermando la sua volontà di collaborazione con altri artisti, per questo tour Dardust si avvale dell’apporto di Salmo.
Nel 2017 Faini va ad Austin, in Texas, dove partecipa al SXSW, ovvero al “South by Southwest”, un festival musicale e cinematografico, nel quale suona nella serata dedicata ai Modern Composers, arrivando al terzo posto nella Top Ten di “The Austin Buzz”, la classifica degli artisti più nominati su Twitter e Facebook.
La sua carriera vede, inoltre, la collaborazione, come autore e produttore, con altri artisti pop e rap italiani tra cui Jovanotti e Tommaso Paradiso. Nel 2019 scrive la canzone “Calipso” insieme a Charlie Charles, mentre precedentemente lavora con Fabri Fibra, Sfera Ebbasta e Mahmood (dal cui sodalizio nasce “Soldi”, brano vincitore del Festival di Sanremo 2019). Del resto neanche quest’anno si fa mancare Sanremo, poiché collabora alla stesura di due canzoni: “Eden” di Rancore – insieme al quale si esibisce per la cover di “Luce” di Elisa – e “Andromeda” di Elodie.
Dardust si definisce libero e creativo: cerca di essere indipendente dalle pressioni delle etichette discografiche, di scrivere senza darsi limiti, sia per il pop sia per l’indie, che ritiene sia di grande aiuto per superare la crisi del pop italiano.
Trovo che ogni brano susciti emozioni contrastanti tra loro: se prendiamo, per esempio, la traccia “Sublime”, dall’album “S.A.D. Storm and Drugs”, notiamo un alternarsi di piano e musica elettronica, che trasmettono rispettivamente nostalgia e vivacità. Anche ascoltando “Birth”, dall’album “The new loud”, pur partendo da una nostalgia iniziale, il suono del piano ci guida verso una rinascita, come sottolineato dalle parole “I’m ready to stay, I’m ready to fall, ready to start”.
L’enigma-Liberato
di
Matilde Caneva
Liberato è cantante neomelodico napoletano, che inizia a spopolare nel febbraio 2017.
Credo che la cosa che ci incuriosisce tutti sia scoprire la vera identità di questo ragazzo: nessuno sa chi sia, né che faccia abbia. Un fenomeno simile si è già visto, per esempio, con i Daft Punk, che portano sempre un casco per non farsi conoscere. La cosa di cui siamo più certi riguardo all’identità di questo personaggio è che sia un grandissimo tifoso del Napoli e che sia orgoglioso di provenire da questa città, come possiamo vedere anche dal suo profilo Instagram "Liberato1926", chiamato così per celebrare la data di nascita del club bianco azzurro.
Ci sono varie ipotesi riguardo all’enigma concernente la sua identità, ma quella alla quale mi piace credere è che sia un ragazzo che vive a Nisida. Nisida è un’isola del golfo di Napoli, che ospita il carcere minorile. I motivi per credere a questa teoria sono molto semplici: in alcune delle sue canzoni, infatti, fa riferimento a luoghi di Napoli, che si vedono molto bene dall’isola.
Al suo primo concerto, il 9 maggio 2018, sul lungomare di Napoli, il cantante è arrivato con un gommone affiancato da un’imbarcazione della polizia; sia all’inizio che alla fine del concerto ha fatto suonare una sirena a manovella che riproduce il suono dell’allarme delle carceri in caso di evasione. Alla fine del concerto, Liberato è tornato sul gommone seguendo la direzione per Nisida. Il 9 maggio è una data molto importante per i fan di Liberato: alcuni pensano sia il giorno della sua incarcerazione o liberazione, ma per i suoi ammiratori è soprattutto il giorno del suo primo concerto oltre che il titolo di una canzone.
Nel suo primo album, in tutti i video musicali, Liberato appare incappucciato con una felpa con su scritto per l’appunto «Liberato» e ovviamente la sua faccia non viene mai inquadrata.
Penso che il primo album piaccia così tanto a noi adolescenti oltre che per il ritmo neomelodico moderno anche per i testi, visto che viene raccontata una storia d’amore tra un ragazzo dei quartieri popolari di Napoli, che s’innamora di una ragazza dei quartieri ricchi, cosa di solito improbabile, vista la diversa personalità dei due e le due diverse provenienze sociali. Questo tipo di amore è classificato dal cantante come un amore impossibile. La storia che ho appena citato viene raccontata nella canzone “Tu t’e scurdat’ ‘e me”. Dopo pochi giorni dall’uscita di questo primo brano, esce anche “Intostreet”, secondo “capitolo” della storia, incentrato però, al contrario del precedente, sulla vita del ragazzo, invece che su quella della ragazza.
I dubbi sull’ipotesi della sua provenienza da Nisida provengono dal fatto che in molti si chiedono come sia possibile che un ragazzo riesca a far uscire delle canzoni da un carcere, ma la risposta è semplice: nelle carceri minorili vengono fatti molti progetti per tenere accesa la vitalità dei ragazzi detenuti. Attualmente, infatti, tra le preoccupazioni dei fan, c’è quella incentrata sul raggiungimento della maggiore età da parte del cantante: nel caso in cui si trovi veramente a Nisida, compiuti i diciotto anni potrebbe essere spostato in un altro carcere, dove progetti simili non sono più concessi.
Personalmente mi piace ascoltare questo cantante per i testi delle canzoni, che trattano argomenti molto attuali e affrontano problematiche interessanti per gli adolescenti; i cantanti più popolari di questo periodo solitamente toccano temi “aggressivi e scomodi”, come droga, soldi e prostituzione, mentre Liberato suona corde diverse.
"Se i miei fossero ricchi non sarei chi sono"
di
Leonardo Acciari
Chi è Massimo Pericolo? Innanzitutto partiamo dal fatto che il “Massimo” dello pseudonimo c'entra poco con il suo vero nome (che è Alessandro Vanetti), ma serve in sostanza a creare un gioco di parole con il termine “pericolo”: un nome d'arte che serve da “cartolina di benvenuto” per il mondo dell'artista. Alessandro è un ragazzo le cui doti musicali sono emerse più lentamente rispetto ad alcuni suoi colleghi: ha raggiunto la notorietà a ventisei anni, mentre al giorno d'oggi è più facile vedere emergere artisti decisamente molto più giovani. Ma sono state proprio precise “esperienze di vita” a far sì che Massimo Pericolo potesse trasformare i suoi pensieri in musica.
Gli inizi
La base operativa degli esordi era Brebbia, un piccolo paese in provincia di Varese dove Alessandro si trasferì all'età di diciassette anni. Nato a Gallarate, andò ad abitare a Malgesso, nel Varesotto, e poi due anni a Treviso: lì sua madre trovò una casa e un lavoro, ma purtroppo, per il fallimento della ditta a cui era legata, lo perse. La famiglia si trasferì quindi a Catania, dove il ragazzo trovò un po' di respiro e scoprì la sua passione per la musica americana e per la scrittura: il suo sogno adolescenziale era quello di ricreare a Catania una sorta di 8 Mile di Eminem, scrivendo copioni di battaglie rap assieme ai suoi amici.
Massimo Pericolo non ha mai visto i suoi genitori fare i genitori: il padre è sempre stato assente; quanto alla madre, l'artista la incolpa di non essere riuscita a provvedere in modo adeguato alle sue esigenze, ai suoi spazi, alle sue abitudini e alle sue ambizioni. L'artista racconta di aver sempre guardato ai suoi coetanei come se fossero stati tutti migliori di lui, tanto da sviluppare avversione per il mondo circostante e un senso di abbandono ed inadeguatezza che lo porterà a contemplare addirittura il suicidio. Questo è stato, d'altra parte, il motore che lo ha spinto a scrivere, attività che rappresenterà un modo per trovarsi a suo agio con se stesso. Così il musicista sintetizza il proprio vissuto in Sabbie d'oro (2019): “Se i miei fossero ricchi non sarei chi sono, / ma sono due falliti e senti come suono” (https://genius.com/Massimo-pericolo-sabbie-doro-lyrics ).
Il buio e la svolta
A diciassette anni, stanco di vivere in una casa di una sola stanza con la madre, Alessandro decide di scappare di casa. Chiede ospitalità ai pochi amici che ha e trova un lavoro che in poco tempo perde: questo, in aggiunta alla sua situazione emotiva poco stabile, dà inizio ad un periodo particolare, nel quale inizia a compiere reati e a spacciare per necessità economiche.
Nel 2014, all'età di ventun anni, Massimo Pericolo viene arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti a seguito dell'operazione antidroga “Scialla Semper” il cui nome sarà ripreso come titolo del suo primo album. Resta in carcere fino al 2016, anno in cui decide di pubblicare la sua musica, senza tuttavia riscuotere molto successo. Poi accade qualcosa di inaspettato. Il 22 gennaio 2019 pubblica 7 miliardi, la canzone della consacrazione. Si tratta di un brano nel quale il giovane ha messo tutta la rabbia accumulata negli anni, inserendovi critiche – portate all'eccesso – verso tutto ciò che ritiene sbagliato. Grazie al video, alla produzione e soprattutto al suo testo e alle tematiche coinvolgenti – potremmo dire 'catchy' – il pezzo è diventato una vera e propria hit, che lo ha portato ad essere l'artista affermato che è ora. Non sappiamo quanto durerà, ma la sensazione è che sia solo l'inizio.
Il riscatto di Caparezza
di
Jacqueline Macchia
Michele Salvemini si affaccia al mondo della musica e della televisione alla metà degli anni ’90 con lo pseudonimo di “Mikimix”. Con le prime produzioni discografiche, partecipa al festival di Castrocaro Terme e conduce, assieme a Paola Maugeri, “Segnali di Fumo”, un programma per l’emittente televisiva musicale Videomusic. Raggiunge l’apice del suo successo musicale nel 1997, partecipando al Festival di Sanremo nella categoria “Giovani Proposte”. Dopo l’esibizione al Festival, esce per la Columbia Records il suo secondo album, “La mia buona stella”, ma ottiene uno scarso successo commerciale.
La figura di Mikimix viene ricordata in modo ambiguo dallo stesso artista: da un lato gli è servita per entrare nel mondo discografico, dall’altro gli ha causato molte derisioni e frustrazioni, non avendo avuto il successo desiderato, nonostante gli sforzi.
Dismessi i panni di Mikimix, l’artista decide di abbandonare il mondo musicale per cercarsi un lavoro rispondente a standard più tradizionali, ma, poco tempo dopo, arriva l’ispirazione, che lo porta a creare il personaggio di “Caparezza”. Nel 1998, infatti, cambia radicalmente il suo look e finalmente si libera dalle costrizioni commerciali dei tempi precedenti. Con il demo “Ricomincio da Capa”, comincia ufficialmente il suo nuovo percorso musicale.
La differenza tra i due alter ego risulta essere notevole; infatti anche se in qualche brano è possibile riconoscere lo stesso stile, come per esempio in “Tengo duro”, indubbiamente le tematiche dei testi delle prime composizioni riguardano argomenti piuttosto frivoli, banali e rivolti maggiormente a gruppi di giovani spensierati. Il momento più basso lo raggiunge probabilmente con “E la notte se ne va”, presentata al Festival di Sanremo, con testo e musica tipici sanremesi. Sarà questo ennesimo scacco a determinare il ritiro definitivo di Mikimix dalla scena musicale.
I testi delle canzoni di “Caparezza”, invece, parlano di tematiche contemporanee e di maggior spessore, poiché trattano argomenti che spaziano dal culturale, all’ambientale, al politico e al sociale, il tutto filtrato da una dose consistente di ironia e autoironia. Questo connubio gli ha permesso di attirare differenti fasce di età e di pubblico.
Una possibile interpretazione del passaggio dall’insuccesso iniziale dell’artista al successo seguente, si può forse trovare nel differente messaggio trasmesso dai due alter ego: se Mikimix veicolava significati propriamente non suoi e in cui probabilmente non credeva, Caparezza manda invece messaggi più aderenti alla sua visione del mondo, ottenendo così maggiori consensi.
Björk, principessa dei ghiacci dalla voce magnetica
di
Chiara Tonioli
Björk Gudmundsdottir (Reykjavík, 1965) nasce e cresce in Islanda, allevata da genitori alternativi e influenzati dalla cultura hippy. Il suo esordio nel mondo della musica è precocissimo: incoraggiata dalla famiglia, infatti, incide il suo primo disco a soli undici anni: ne viene fuori un impasto di cover folk islandesi con l’aggiunta di un brano originale. Raggiunto il successo, la cantante viene denominata dalla critica e dai fan con vari appellativi fantasiosi tra cui principessa dei ghiacci, folletto, elfo, poiché conosciuta come uno dei personaggi tra i più bizzarri e particolari del mondo dello spettacolo.
Nel 1977 entra in un gruppo che la lancia a livello musicale e che avrà un’importanza fondamentale anche per la sua vita privata; si tratta degli Sugarcubes, di cui il leader, Thor Eldon, è l’uomo che poi sposerà e con il quale avrà un figlio; dopo qualche anno, però, i due si separeranno e, in breve tempo, si scioglierà anche il gruppo; è così che Björk inizia la sua carriera da solista.
Il suo primo disco “Debut” (1993) è un successo mondiale e viene addirittura nominato album dell’anno. In quasi quarant’anni di carriera musicale, la cantante pubblica diciannove ellepì e vende oltre quaranta milioni di dischi in tutto il mondo.
Il suo stile musicale può essere definito eclettico, poiché incrocia vari generi: l’alternative rock, il trip hop, l’alternative dance, il jazz, la musica sperimentale, la musica elettronica, l’ethereal wave. La cantante è, inoltre, una polistrumentista, in grado di suonare dall’armonica, al pianoforte, all’arpa, al flauto, all’oboe, all’ottavino, senza dimenticare il Reactable, uno strumento musicale elettronico costituito da un ampio touchscreen che genera diverse forme di onde sonore.
La sua carriera musicale raggiunge l’apice nel 1997 con il suo terzo album “Homogenic”, un disco che si compone principalmente di elettronica, tastiere, dissonanze e sinfonie d’archi; questi ultimi sono strumenti parecchio utilizzati e amati dalla cantante, che in un’intervista ha affermato: “Adoro gli archi e ho sempre pensato che il nostro sistema nervoso, se amplificato, produrrebbe il suono di un violino, di una viola o di un violoncello”. Inoltre, per questo disco Björk ha utilizzato un doppio quartetto d'archi, perché “uno non era sufficiente a riempire lo spessore di quei beat vulcanici”.
Il disco è composto da dieci canzoni: “Hunter”, in cui la cantante prorompe in uno scoppio di rabbia e delusione probabilmente nei confronti di una persona che l’ha abbandonata in un momento di bisogno; “Jóga”, il brano più emozionante, dedicato alla sua migliore amica; “Unravel”, canzone particolarmente malinconica, che fa percepire la sofferenza della cantante, tramite il suono degli archi; “Bachelorette”, forte e drammatica; “All neon like”, la traccia più lunga dell’album, che pure sviluppa la tematica della sofferenza; “5 years” i cui temi principali sono l’amore e la codardia; “Immature”, caratterizzata da una strofa di quattro quartine, ripetuta tre volte, sul tema dell’amore immaturo; “Alarm call”, in cui l’artista si rivolge alla natura e alla speranza, per uscire da una sofferenza inguaribile, in cui si sente intrappolata; “Pluto”, brano abbastanza cupo, che genera anche un po’ d’ansia; “All is full of love”, in cui si parla ancora d’amore e si dice che questo sentimento può presentarsi anche nei momenti più inaspettati.
In questo disco affiora il lato più cantautoriale e intimo dell'artista e, rispetto agli altri album, è anche nettamente più cupo e personale. Tratta principalmente di amore, sofferenza e ricordi malinconici legati alla sua biografia; si comprende che ha attraversato un periodo probabilmente buio, grazie al quale, però, è maturata e diventata più forte. Analizzando, poi, il versante più prettamente musicale, in confronto alle sue creazioni precedenti, emergono una nuova tipologia di suono e una sperimentazione più originale della sua vocalità, che serve a esprimere le emozioni in modo più sincero e libero.
La diatriba tra i fratelli Gallagher
di
Arianna Roncarati
Tutti conoscono gli Oasis, forse - con i Blur - il gruppo rock inglese di maggiore impatto negli anni ‘90. Il primo nome della band era “Rain”; i componenti erano Liam Gallagher, il cantante, Paul Arthurs, il chitarrista, Paul Mc Guigan al basso e Tony McCarroll alla batteria. Dopo poco si unì a loro Noel, il fratello di Liam, che suggerì l’attuale denominazione. Il loro album di debutto fu Definitely Maybe (1994); con il nuovo batterista Alan White realizzarono quindi What’s the story Morning Glory?, che ebbe un successo eclatante, tanto che furono vendute 22 milioni di copie nel mondo. Da qua iniziò il vero e proprio successo, che portò a Be Here Now, Standing On The Shoulder Of Giants, Dig Out Your Soul e altri dischi noti a livello internazionale. Nonostante la fama, però, il gruppo ha conosciuto molte liti: riguardavano principalmente i due fratelli Gallagher, ma interessarono ovviamente tutta la band, che ne risentì fino allo scioglimento. Noel racconta : “Liam non si presentò al nostro concerto al V Festival perché era sbronzo. Diceva di avere la laringite, o qualcosa di simile. Nei media parlarono molto male di noi, e lui era convinto che io fossi una sorta di burattinaio dei media inglesi. Arriviamo a Parigi e lui comincia a insultare giornalisti chiamandoli per nome, dicendomi di dire a persone che non ho mai conosciuto che lui li avrebbe ammazzati di botte. Io non avevo idea di quello che stesse dicendo”. Ad ora, il rapporto tra i due viene raccontato solo attraverso la narrazione del conflitto. Nel 1994 Noel abbandonò una prima volta la formazione per ripicca, dopo che Liam sbagliò appositamente il testo di Live Forever e lo colpì con un tamburello alla testa (ma Noel ricambiò colpendo Liam con una mazza da cricket). Nel 1996 Noel sostituì il fratello in una puntata di “MTV Unplugged” e Liam iniziò a urlargli contro e a prenderlo in giro durante l’esibizione. Dopo che Noel Gallagher, in seguito all’ennesimo scambio di opinioni col fratello, interruppe improvvisamente il tour degli Oasis nel 2000, si capì che il rapporto fra i due era definitivamente logoro. Nel 2009, dopo due decenni di conflitti, Noel Gallagher lasciò definitivamente gli Oasis. Nonostante questo, la faida continuò sui social network, ed ebbe il suo culmine il 24 maggio del 2016, quando Liam Gallagher postò una foto di suo fratello con l’aggiunta della didascalia “potato”. Da qua partirono numerosi episodi, in cui Noel Gallagher raccomandò al fratello di cominciare addirittura a vedere uno psichiatra. In un’intervista rilasciata a Vanity Fair Liam, rivela il suo rapporto con Noel sin da quando erano piccoli. Liam racconta : “Ha sempre criticato tutto e tutti, io – che pure faccio musica da prima di lui – non mi permetto: non sono perfetto, e non lo è nemmeno lui. Non abbiamo mai fatto lunghe passeggiate insieme, non ci siamo mai abbracciati, non ci sono mai stati quei momenti tra fratelli, felici nei prati a sfogliare margherite, come in un film“. Liam, che era il minore, ammette di essere sempre stato un “mammone”, e, con tristezza, racconta che di quando il padre picchiava sempre la madre: l’unico a mettersi in mezzo era proprio lui, nonostante fosse il più piccolo della famiglia.
Nonostante i vari gossip su una possibile reunion, sembra tutto ormai irrecuperabile. Famiglia e amici sperano da anni che i due possano riappacificarsi e andare a trovare insieme la mamma Peggy, che è devastata da questa continua faida tra i due figli. Ora i due fratelli hanno ricominciato a parlare e si vocifera che Liam abbia chiesto a Noel di riformare gli Oasis nel 2022. Ora non resta che aspettare e sperare nel tanto atteso ritorno di questa straordinaria band: sarebbe un peccato non rivederli insieme almeno una volta.