psicoanalisi etica
psicoanalisi etica
Per scrollarsi, nel possibile, solo gli strazi inutili, schermi che ci difendono pure male, relegandoci ai margini o fortemente intrappolati da sintomi di origine psichica, che a volte sembrano del tutto o organici o colpa degli altri.
Si può smettere almeno il collaborazionismo con il fantasma, come dice Virginio Baio, il mio maestro in psicoanalisi; con Antonio Di Ciaccia, che per me è Lacan, perché analista e non solo.
Quanto dura una psicoanalisi?
Ci sono psicoanalisi che durano molto e fanno il giro completo. Ma per gli effetti terapeutici i tempi sono diversi. Ci sono effetti terapeutici rapidi, alcuni perfino in una seduta.
Qualcosa che non va e che si vuole aggiustare, viene spesso aggiustato dal soggetto, mentre nel frattempo si fa altro, magari un giro solo di analisi.
L'effetto terapeutico c'è per una diminuizione della presa del sintomo, ognuno con la sua preferenziale espressione, nel corpo o nel pensiero, nell'angoscia, nell''ansia etc.
Inoltre si ha l'impressione che l'analista non c'entri niente con ogni regalo della cura. Per Lacan, l'unico teorico dell'analisi non è l'analista.
Come si fa ad amare il lavoro di psicoanalista?
Quello che amo di questo lavoro è il viaggio, sempre diverso, che ogni persona fa, con me, nei meandri del suo inconscio, come si risveglia, come cambia, come si rivela e come si libera di fardelli inutili, di tutti quei dolori in più che si trascina dietro, come un bagaglio pesante, una catena. Mi piace vedere le catene che si spezzano, le personalità che emergono. Mi piace vedere le schiene che si raddrizzano, i volti che si distendono, i pregiudizi che si sgretolano. Mi piace come le storie e le connessioni variano e si modificano. Come le palpebre si sollevano, gli sguardi si accendono, le facce si abbelliscono.
Mi piace quando vanno veloci e io fatico a stargli dietro, mi piace quando si inventano infinite vie per non essere solo servi, solo lamento, solo tormento, solo frammentazione.
Mi piace la funambolica vita sociale fuori dal lavoro, ora sì, perfino quello, come tutto si complica e si riformula quando ammetti di fare l'analista. Mi piace esserci per chi vuole sul serio farne qualcosa del proprio sintomo, per chi ha smesso di fare la lagna e comincia a lottare. Mi piace pure chi lotta da sempre e sceglie di fidarsi di me per avere una spalla. Chi ha tante spalle, ma non ha trovato ancora il modo di guardarsi certe cose. Perché le spalle da sole non bastano e le lacrime e le ricette.
Mi piace come ognuno in analisi scriva il suo libro che è solo suo e di nessun altro. Perché non hai ancora scritto un saggio? Mi chiedono. Ma come tu, che scrivi così bene? Ma ogni giorno sono lì, per chi vuole costruire la sua storia e i paragrafi si susseguono, poi i capitoli, poi i volumi. Voluminosi pacchi di male di vivere, vere paure, distrutte illusioni, antichi terrori, ma anche invenzioni, parole opere e missioni. Riconciliazioni, liberazioni, compromessi e nessi. Essi vivono e io scompaio.
Mi piace scomparire quando serve, mettermi in ombra, per lasciarli parlare.
Una donna una volta, in un bar, mentre prendevo un caffè, mi ha chiesto:
- ah da te ci vengono i matti?
- No, signora i matti stanno tutti in giro!
Mi piace, quando voglio, fregarmene e rispondere come mi và. Con l'ironia che mi ha insegnato mio padre. Perché anche i santi fanno pause. Mi piace quando mi dicono che non mi vedono come psicoanalista. E meno male, infatti non lo sono, lo faccio solo. Solo un vero folle può credere di essere uno psicoanalista, dice Jacques Lacan. Matto, folle, pazzo, schizzato, esaurito, psichiatrico, disagiato, parole che sono usate per denigrare, ma anche per vantarsi, oggi, perché il mondo è cambiato e il dovere è il dovere consumistico del post-capitalismo: devi godere! E ormai l'hanno cominciato a capire che i folli godono di più.
Ma la felicità è un'altra storia, la felicità è soggettività, avere uno spazio proprio, conoscersi, amarsi, almeno sopportarsi e non solo godere o primeggiare o godere primeggiando o primeggiare godendo.
Non so con che stile scriverai il tuo libro, non so cosa ne farai, né se mi ringrazierai o finirai per odiarmi, per potermi abbandonare. Non sta a me decidere cosa ne farai del tuo volume rilegato in significanti. Non sarò io a dirti se lasciarlo o licenziarti o ribellarti. Non sta a me dirti per cosa vale la pena vivere, svegliarsi, rimanere alzati a scrivere, come sto facendo io.
Non sta a me decidere cosa è meglio per te, ma sta a me condurti là dove vuoi arrivare, col tuo sapere, fino al punto dove vorrai spingerti. Di solito si sta meglio, mi aveva detto onestamente il mio analista, una volta avuta la verità. La fine analisi non è la fine del fantasma inconscio o l'uscita completa dalla ripetizione, ma è la fine della cieca collaborazione con la propria pulsione di morte, la fine della sorda orda di scuse giustificazioni lunghe dissertazioni. Le nubi sono diradate, piove lo stesso, ma è tutto diverso.
02.10.2023
http://www.psychiatryonline.it/node/9901
Nella foto sotto: porta parlante di travertino, Umanesimo, Ascoli Piceno
Il mio blog psicoanalisi etica, articoli scritti arti pacifiche e molta ironia
La mia rubrica su psychiatryonline.it psicoanalisi etica, sì si chiamano tutti uguale, pure questo sito. L'eredità di Freud, di Lacan è soprattutto un'eredità etica, questo m'ha passato il mio ex analista, Antonio Di Ciaccia, traduttore di Lacan e in passato suo paziente, è anche il presidente dell'
Istituto freudiano Scuola quadriennale di specializzazione in psicoterapia, almeno così dice la legge, che l'ha riconosciuta, anche se la parola psicoanalisi non rientra nelle diciture ufficiali, chissà perché. Forse perché non formatta le persone, non le aggiusta, non le rende consumatori acritici e schiavi silenti.
Da quest'anno sono Segretaria nazionale della
Scuola Lacaniana di Psicoanalisi la nostra comunità di analisti che afferisce all'
Associazione Mondiale di Psicoanalisi https://www.wapol.org/it/template.asp Posso così dare il mio contributo in maniera più attiva ed essere, "come il lievito per la pizza". Così mi disse Virginio Baio, mio primo maestro in psicoanalisi, quando ero stremata dalle Istituzioni, con i loro meccanismi infernali. Ma questo lavoro non si fa da soli, c'è bisogno dei colleghi, così come, nella vita, si ha bisogno degli amici, per il sostegno, le risate e una mano che ti ferma, o almeno ci prova, quando sbagli.
Insomma il controllo non vuol dire rigidità, ma garanzia di non essere soli nella politica che coincide con l'etica e determina la strategia, che è più libera ed entrambe vengono prima della tattica, che è assolutamente senza standard. (Vedi Lacan, Sem. VIII)
Vuoi ascoltare la mia voce?
Ecco il mio intervento al Convegno nazionale della Slp a Palermo (2019), pubblicato su www.radiolacan.com
Ricamare le cicatrici
"Mi svegliavo dal sonno, quando vidi un mercante di rose.
Ne fui tutto felice: 'Mi dai, gli chiesi, una rosa in cambio del cuore?'
Avevo un cuore solo, pieno di tristezza e miseria, non credevo che avrebbe dato una rosa per il mio cuore una rosa per il mio cuore.
'Il contratto l'abbiamo stretto' disse, 'non posso aggiungerci nulla'.
Chi ama molto la rosa, dà insieme l'anima e il cuore dà insieme l'anima e il cuore.
Io chiesi: 'Chi dà l'anima e il cuore per una rosa?'
'È il contratto' rispose. 'Dammi il cuore e la sua tristezza dammi il cuore e la sua tristezza'
Detti l'anima e il cuore. Il cuore lanciò un grido e disse: 'O Gegherxuìn, dai il tuo cuore per una rosa dai il tuo cuore per una rosa!'"
Gegherxuìn è un poeta curdo tradotto da Joyce Lussu. Il suo nome significa cuore-ferito, anzi letteralmente fegato-ferito, perché in oriente il fegato è la sede dei sentimenti e delle emozioni.
L'anima e il cuore per una rosa. Dare tutto per avere niente. 'Quel piccolo niente'. Nell'isteria c'è qualcosa che ha a che vedere con quel niente e con quel tutto. E ha a che fare con l'amore, il desiderare e il voler sapere.
Dove si cercano e dove si trovano.
Questo è l'inizio della mia tesi di laurea:
"L'isteria e la femminilità nella teoria di Lacan"
"La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re, non si rende conto che in realtà è il re che è il Re perché essi sono sudditi" Karl Marx
Ora col godimento sintomatico è un po' la stessa cosa, il godimento non è del soggetto, è del fantasma e meno se ne è consapevoli e più domina. Evidentemente sudditanza politica e inconscia hanno molto a che fare l'una con l'altra. È una corsa contro il godimento del fantasma e dei vari re e reucci. È una corsa contro il tempo, chissà che l'umanità non si estingua prima di avere rivendicato l'autonomia. Probabilmente la prima dipende dalla seconda.
Perché tanto odio? Una tintura di io-dio e passerà tutto
Quando a diciannove anni mi iscrissi a psicologia ero già contagiata da quella che ritenevo un’infatuazione per la psicoanalisi, senza sapere che sarebbe stato amore. Allora il furor curandi non aveva ancora i connotati epidemici che ha oggi e le facoltà di psicologia erano solo due: Padova e Roma. Entrambe sufficientemente lontane. La scelta non era avulsa dal desiderio di fuggire dal mio paese, dalla mia famiglia e dal mio fidanzato: tutto il pacchetto mi appariva allora troppo confortante. Hahaha, come mi sbagliavo! Ma l’analisi ha svelato le truffe a cui mi sottoponevo e la risposta che trovai, dentro di me, era effettivamente sbagliata, come nella mitica battuta di Guzzanti. La verità è menzogna, come dice Lacan, ma trovarla non è come non trovarla. Solo che a fare la differenza occorre metterci del proprio e non una volta per tutte, ma ogni giorno.
La psicoanalisi è un fallimento? Interrogata da un caro collega, mi sono risposta che dipende tutto dal coraggio. Se ci si mette il coraggio è una vittoria, ma ogni volta che vacilliamo sul coraggio, ecco che anche l’analisi diventa un fallimento.
Il coraggio di seguire il proprio desiderio può vacillare anche anni dopo che un’analisi è terminata. Quando la via scelta non ci ripaga come vorremmo, magari anche in termini di denaro, di sicurezze, per esempio, ci può succedere di pensare di avere sbagliato tutto.
La mania di curare gli altri, per cui fioriscono, con la complicità degli psicologi, le scuole di counseling, va di pari passo con il rifiuto di volerne sapere. Si interrompe una cura o non la si fa affatto e ci si tuffa nel sostenere l’altrui sofferenza, se ci si riesce, allora significa che si è sani. Ci si tiene nel tenere in piedi gli altri.
Quasi ogni testo che ho dovuto sorbirmi all’università si prodigava nel tentare di dimostrare come Freud fosse superato, sì nella corsia di sorpasso, senza averne percorso la via. Ce n’era uno, in particolare, una storia della psicologia di un certo Schultz, che sembrava scritto apposta per screditare Freud. Io lo trovavo divertente tutto quell’odio per l’analisi e non faceva che aumentare la mia infatuazione. Se gente così importante e così inetta si affannava tanto per affossarla doveva esserci davvero qualcosa di sovversivo in questa giovane pratica, che si dichiarava già morta, come la letteratura o la pittura.
Una delle genialità di Lacan, ma anche in Freud c’era già, è che la psicoanalisi tiene in conto il suo limite. Non si può dire tutto, non tutto della pulsione è riassorbibile, il reale non si addomestica. Lo sapevamo già, Freud e Lacan ce l’hanno diversamente detto a chiare lettere eppure penso che chiunque sia andato abbastanza avanti con la propria analisi abbia attraversato un periodo, anche molto lungo, di un certo odio per la psicoanalisi. Poi pian piano l’odio si trasforma in vergogna, la vergogna di esserci cascati, sebbene avvertiti, nell’illusione che la cura potesse arrivare anche là dove non può. Io mi sono sentita prima invasa dal godimento e come il reale è diventato un poco più gestibile ecco all’orizzonte profilarsi due mostri: la vergogna per la propria debilità e la paura della solitudine.
Sulla debilità e l’imbarazzo che ne seguiva ci è voluto del tempo per accettare che fossi stata così sciocca, ingenua, credulona. Io che mi beffavo di chi diceva, quel libro mi ha cambiato la vita, mi ero illusa che il mio libro, quello che andavo scrivendo in analisi, leggendo il mio inconscio, avrebbe cambiato tutto. No, non è cambiato tutto. Il libro come in un celebre geniale video di Bjork si scrive e poi si cancella. Resta il macigno, come un sasso, cosa morta, ma anche impossibile da uccidere, la propria pelle che brucia in un modo non dissimile da prima. Diceva Virginio Baio ‘amare il reale’, ma a me veniva spesso piuttosto: a mare il reale! È così amaro il reale, il corpo che soffre, che soffrirà e poi morirà. La mia prozia, davanti alla bara dov’era mio padre mi consolò come nessun altro, in un modo apparentemente brutale, ma autentico; stringendomi le braccia e guardandomi negli occhi, mi disse: dobbiamo arrivare al travaglio!
Avevo da poco conosciuto un reale insopportabile, i dolori del parto, ma lei mi parlava di un altro travaglio, a lei più vicino, ma prossimo a ognuno: il passaggio della morte. Quella stretta e quello sguardo mi incitavano a una cosa sola: al coraggio.
E così ogni giorno vacillo e a volte cado, ma cado effettivamente ogni volta che cedo sul mio desiderio. Se invece con la complicità di compagni coraggiosi, riesco a sentire, come scrive Castaneda, che la morte non mi ha ancora toccato, ecco che la verità scritta nel libro del mio inconscio si fa amore.
I peggiori detrattori dell’analisi siamo noi psicoanalisti, ogni volta che ci facciamo toccare dalla morte, cedendo alla viltà. Voglio che la morte mi colga da vivo, dice un mio caro amico pittore. Se ci lasciamo prendere dallo sconforto, se ci lasciamo vivere come se non avessimo aperto gli occhi sul reale, ecco allora la psicoanalisi viene investita dall’odio. Il percorso che abbiamo fatto e che proponiamo ai nostri pazienti diventa puro fallimento e rinneghiamo, per trenta denari o anche meno, quello che abbiamo scelto, che nel frattempo ci ha tolto i paraocchi, negando la possibilità, a chi vorrebbe, di fare un giro completo o anche un solo passo verso la dignità di essere umano, consapevole, con gli occhi aperti. Perché, nel frattempo che si gira intorno al buco, le cose cambiano davvero. Non tutte, non tutto, ovviamente, e se abbiamo creduto diversamente ebbene non c’è che una persona da odiare: noi stessi.
Vietato indugiare nella cabina elettorale, c’è nel regolamento delle votazioni. Mi affascinava quella regola, quando facevo la segretaria di un presidente di seggio che era mio padre e che mi amava al punto di non darmi mai una risposta. Vattela a studiare, cercala nel regolamento. Vietato indugiare nella cabina elettorale, vietato indugiare nell’odiarsi per la propria stupidità, vietato indugiare nel mare del godimento, vietato indugiare nell’odio, nell’io, nel dio della rinuncia e nella denuncia. Se altri possono servirsi di noi per fare anche un solo passo nella lettura del proprio inconscio, vietato indugiare nella melma del reale.
Annalisa Piergallini
Ascoli Piceno, 30 settembre 2022, h. 2.05
Sabato 12 marzo Céline Menghi ci parlerà di cosa significa mettersi dal lato femminile. Conseguenze per una donna, un uomo, una specie, quella umana. Non abbiamo più molto tempo, è ora di cambiare prospettiva e nulla cambia finché non cambia la modalità di godere ossia, per dirla con Freud, il rapporto con la pulsione di morte.
Coordina Cristiana Santini. Basta solo prenotarsi.
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"I ricordi di copertura stanno agli anni dimenticati, come il contenuto manifesto dei sogni sta ai pensieri onirici."
Antonio Di Ciaccia su S. Freud, "Ricordare, ripetere, rielaborare" (1914) in Opere, volume 7°, Boringhieri, Torino, 1975.