Secondo me

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Tristan und Isolde - 2020, Teatro Comunale di Bologna

In questo tempo dilatato dal rallentamento forzato causa COVID, si trova anche lo spazio per la realizzazione alcuni piccoli desideri, come questo di scrivere un commento all'opera "Tristan und Isolde", spettacolo di apertura della stagione 2020 del Teatro Comunale di Bologna, prima volta dopo moltissimo tempo.

E' stata la prima volta in assoluto in cui ho assistito ad un'opera di Wagner e non sono nemmeno una musicista, ma rivendico il diritto, che è di ogni spettatore, di dare una propria interpretazione ed una propria valutazione.

Ho cercato di avvicinarmi al Tristano con animo neutro, ignorando quanto più possibile  le perplessità sulla durata, la radicale diversità dai canoni dell'opera abituale, le voci che magnificavano Wagner rispetto ai suoi contemporanei e le esortazioni ad andare pena perdersi un'esperienza quasi mistica. Sono andata, dopo aver letto il libretto per non rovinarmi il collo cercando di leggere ogni passaggio, con un'unica aspettativa: quella di ascoltare una bella storia, raccontata con musica e cantato, che mi coinvolgesse, come ogni spettacolo, non solo d'opera, dovrebbe fare.

E così è stato.

Scenografie

Tre atti e tre scenografie diverse, essenziali e indicative, fino ad arrivare all'astratto del terzo atto. Le luci ne sono parte integrante e giocano un ruolo fondamentale nel secondo e terzo atto. Non tutto mi è stato comprensibile. Ad sempio non ho afferrato il significato dei tubi che entravano e uscivano dalla parete nel terzo atto: il fondale sembrava una fetta di emmentaler. Mah. L'albero del secondo atto che si anima di corpi quando la luce lascia il posto all'oscurità, che gioca con i protagonisti esprimendone la fisicità che c'è ma che la regia loro nega, è semplice e spoglio, sì, ma suggestivo e di rara potenza evocativa.

Costumi

Si potrtebbe intitolare "Wagner incontra l'oriente, passando per Leopardi e l'ospedale". I costumi di Melot, Tristan e Kurwenal evocano l'oriente. I pantaloni larghi e lavorati e le casacche ricordano divise di arti marziali giapponesi. In linea con l'essenzialità della scenografia. I costumi di Re Marke e del pastore del terzo atto, rimandano direttamente all'asia centrale: i copricapi, la scelta di quel blu di Marke che si ritrova in tanti costumi tradizionali di quella vasta parte di mondo. La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho visto comparire il pastore nel terzo atto, con quel vestito triangolare, il copricapo asiatico, il suo moto incessante ma regolare sul palco, è Leopardi col suo "Canto di un pastore errante dell'Asia". Penso che sia passato per la testa di una fetta abbondante di spettatori. Le donne sono abbigliate in maniera più tradizionale, anche se Brangane ricorda molto una crocerossina dei tempi andati, con gli stessi colori pastello dei tailleur della Merkel.

Mi sfugge il significato dell'esoscheletro a solido geometrico (abbastanza ridicolo) che Isolde veste nella parte iniziale dell'opera, così come non ho trovato un vero perché alla commistione di stili. Nessuno comunque era abbigliato come da luogo e periodo storico di ambientazione, ma questa è ormai la prassi nelle rappresentazioni moderne.

Regia

Buona la regia. La cosa migliore resta la complicità coi due amanti dell'albero animato. Tristan e Isolde si cercano, si avvicinano e si allontanano, sfiorandosi appena, come la luce tocca il buio, antitetici e complementari. Le loro mani, sia nelle scene a solo che in coppia, compiono frequentemente gesti circolari che richiamano con forza il Tai Chi, lo yin e lo yang, ancora l'oriente e la commplementarità. A me ricordavano anche i gesti di alcuni robot giapponesi dei cartoni animati anni 70, quando si raccoglievno prima di sferrare l'attaco finale. Anzi, mi è venuto in mente prima il robot del Tai Chi. Sempre di oriente si tratta, in fondo...

In linea con la scenografia, anche la regia spoglia i gesti e li riduce all'essenziale e al metaforico, o entrambi. A volte eccedendo a scapito della comprensione. Melot viene ucciso da Kurwenal nel terzo atto, con un gesto simbolico ma comprensibile. Il gesto con cui Melot ferisce Kurwenal è totalmente assente e a meno di conoscere la trama nel dettaglio, non si capisce che anche Kurwenal muore. Dopo la fine dell'opera, ripensandoci, forse l'unico denominatore comune è che i morti vanno a posizionarsi lungo il muro di fondo, come un muro del pianto, dando la schiena al pubblico. Ma sono pensieri a posteriori. Si esce dal teatro chiedendosi chi sopravvive e chi no.

Particolare ma molto azzeccata la scelta di ricoprire di polvere dorata volto e braccia di Tristan nel terzo atto. Lo sfavillio irregolere della polvere dorata richiama il fermento della febbre e del delirio. Ma forse il primo richiamo è alla trasfigurazione o alle statue dorate degli dei dell'antichità quasi a suggerire il passaggio di Tristan e della sua storia, con la morte imminente, dal mondo al mito.

Complimenti al sangue freddo dell'interprete di Tristan, Bryan Register, che è stato colpito dal movimento rotatorio dell'albero durante il secondo atto. E' caduto in avanti appoggiandosi con le mani, ha dato un'occhiataccia dietro, ma non ha interrotto il flusso del cantato.

Musica e canto

Sull'esecuzione musicale non mi esprimo perché non ho altri metri di paragone wagneriani. Suppongo sia stata magnifica visto che l'orchestra e il direttore sono stati lettaralmente travolti dagli applausi. Sono quelli che hanno raccolto più consensi di tutti. Cantanti all'altezza sia nel comparto recitativo che in quello canoro. La trama musicale è molto fitta e zeppa di rimandi che ho colto solo in minima parte, ma è buona musica e sono buone arie o recitativi, misurati sul piano dell'efficacia a veicolare emozioni e concetti.

Spaziale l'assolo di corno inglese in apertura del terzo atto. Nel silenzio e nella penombra della platea, con quella scena spoglia, era un suono da pelle d'oca.

Mi sono piaciuti molto Kurwenal in generale, l'aria finale di Re Marke e tutto il lungo pezzo del delirio di Tristan. Non sono rimasta molto colpita dal "Liebestod", non dopo la follia di Tristan, ma è possibile che le aspettative fossero troppo alte a causa delle lodi sperticate che in genere se ne tessono.

L'opera

Come già detto, la trama musicale è troppo complessa per essere apprezzata appieno al primo ascolto, e forse anche al secondo, ma la musica mi è piaciuta molto. E' vero che non ci sono le romanze, le caballette o - per fortuna - i gorgheggi rossiniani, ma è pur sempre vero che ci sono dei personaggi che si esprimono e raccontano o vivono una storia cantando. Non so musicalmente come si definisca l'assolo di Re Marke nel terzo atto, ma per me era un'aria molto bella, molto vera.

In sintesi, ottima musica, ottimo soggetto, buona sceneggiatura. 

Bellissima la fine del primo atto, ben scritta, quando il viaggio si chiude e tutti sembrano prendere il loro posto, sappiamo che la calma è solo apparente e c'è la consapevolezza del dramma che incombe. 

Meno buoni in alcuni punti gli svolgimenti della storia e mi riferisco ad esempio al terzo atto, nel lungo interagire tra Kurwenal e Tristan in trepidante attesa della nave che trasporta Isolde. C'e' un lungo e lento climax, molto lungo, con diversi tira e molla e quando c'è stato il siparietto della nave scomparsa dalla vista perché finita dietro uno scoglio e in seguito riapparsa, più che una sensazione di sollievo ho avuto un moto di ilarità. Situazione telefonata da lontano, espediente banale e poco efficace perché preceduto appunto da altri momenti di sospensione. Non so dire se all'epoca di Wagner potesse fare lo stesso effetto che fa ora. Quello di oggi è un po' quello della scena iniziale di "Hollywood Party", con Peter Seller che contro ogni logica si rialza cinque volte per suonare la tromba.

Altro appunto è la prolissità in alcune parti. Non lo dico perché mi è pesata la lunghezza dell'opera, cosa che non è stata, ma proprio perché certe lungaggini invece di mantenermi coinvolta nella rappresentazione, me ne hanno catapultata fuori. La portante stessa dell'opera, la dualità notte/giorno, amore e morte, avrebbe secondo me beneficiato di alcuni piccoli tagli per lo stesso motivo. Mi permetto anche di dire che, sebbene contenga elementi filosofici (parola forse eccessiva), la storia tratta molti temi consueti dell'amore travagliato e totalizzante, senza dimenticare nemmeno il Destino, che è comune ad altre opere ottocentesche. 

Parterre

Gli esperti mi hanno informato che Bologna è città wagneriana, dicendomi sbrigati a prendere il biglietto perché sarà pienone. Gli esperti avevano ragione. Facendo la stima delle età, azzardo l'ipotesi che alcuni abbiano visto la prima assoluta italiana al Comunale, ma nonostante la preponderanza di anziani, il pubblico era eterogeneo e c'erano anche parecchi ragazzi e giovani. Ciò fa piacere.

Conclusione

Mi è piaciuta? Sì, senza dubbio. Quasi 5 ore (incluso intervalli) che non pesano per nulla. La guarderei di nuovo oggi. Alcune - poche - pesantezze nella narrazione che non rovinano l'insieme. Da applausi orchestra, regia e cantanti.