Francesco, colui che riparò il tempio
Chi è San Francesco d’Assisi? Un santo, certo, il più
conosciuto dei santi, il più citato e il più chiamato in
causa negli umani confronti e negli esempi di virtù e
coerenza evangelica. Nell’era moderna telematica egli è ancora
il santo più ricercato nel web e nella sua umiltà, come nella
sua estrema povertà, continua ad attirare e arricchirsi di
primati. Il più Santo degli italiani e il più italiano dei Santi, cosi
è stato definito da papa Pio XII, quando lo proclamò patrono
principale d'Italia il 18 giugno 1939. Si può discutere su tutto e
ci si può dividere per tante cose, ma su San Francesco siamo
unanimi e concordi: egli merita la nostra fiducia e la nostra
ammirazione. Egli è patrono dell’Azione Cattolica e così lo
ricorda Papa Wojtyla ai giovani dell’A. C. riuniti a Roma nel
1997: “Qualche giorno fa abbiamo ricordato San Francesco
d'Assisi, Patrono d'Italia e dell'Azione Cattolica Italiana. Che
maestro di vita evangelica e che concreto modello di apostolo
di Cristo è questo grande Santo, noto e venerato nel mondo
intero!”.
Lo stesso beato Pontefice lo dichiarerà patrono dell’ecologia
in un’ epoca, la nostra, caratterizzata dallo sfruttamento
irresponsabile dell’ambiente e dall’inquinamento. E’ il santo
che ha “inventato” il Presepio vivente nella notte di Natale in
mezzo alla foresta di Greccio, un piccolo paese aggrappato alle
montagne rietine, nel 1223 aprendo così una tradizione che
continua nel tempo e nel mondo.
A Roma davanti all’immensa piazza del Laterano campeggia
una grande statua del Poverello che tiene le braccia alzate in
ricordo del sogno che il Papa Innocenzo III fece quando vide
crollare la Basilica del Laterano e un piccolo e minuto frate
povero e vestito di stracci che la risollevava. Francesco è anche
questo, colui che ha riparato il Tempio e impedito la rovina. E’
certamente l’uomo che abbandona la ricchezza e sceglie la
povertà per seguire il Maestro, ma egli va oltre, si innamora a
tal punto della povertà che la sposa. Egli è lo sposo di
Madonna povertà. Per lui la povertà è quell’immenso tesoro
che gli permetterà di acquistare la perla preziosa e il tesoro
nascosto nel campo che rappresentano il Regno di Dio. E’ il
santo della Misericordia e riesce ad ottenere dal Papa
un’indulgenza plenaria gratuita, impensabile a quei tempi, per
tutti coloro che avrebbero visitato la minuscola chiesetta della
Porziuncola, il posto più caro a Francesco, ma anche la chiesa
prediletta dalla Madonna Santissima come egli poi svelerà.
Indulgenza che Francesco ottenne solo verbalmente dal Papa
Onorio III, ma che nel tempo crescerà, malgrado il tentativo di
limitarla da parte di alcuni cardinali dell’epoca, fino ad
estendersi a tutte le chiese parrocchiali del mondo. Ma, come
se non bastasse, altri primati si aggiungono; egli diventa il
novello profeta della pace nel mondo e così, in un momento di
grave crisi internazionale a causa del terrorismo, tutti i
responsabili delle religioni della Terra corrono ad Assisi
convocati da Giovanni Paolo II ad implorare la pace per
intercessione del Poverello e dopo un quarto di secolo da tale
avvenimento un altro pontefice, Benedetto XVI, si recherà
nell’ottobre del 2011 ad Assisi per rinnovare la richiesta di
pace.
Se il mandato di riparare la chiesa è perpetuo e se la pace è
sempre urgente e fragile, ecco allora che diventa più
comprensibile la sua fresca e viva attualità. Ma egli è anche
l’araldo del Gran Re e il giullare di Dio ed è, cosa
straordinaria, l’alter Christus, colui che più degli altri ci ricorda
il Divin Maestro come afferma la Chiesa. Infatti Paolo VI,
richiamando un suo predecessore, così scrive nella Lettera
apostolica di approvazione ( della Regola O.F.S. ) ad
perpetuam rei memoriam del 1978, ultimo atto ufficiale da
Pontefice prima di ritornare al Padre: “per servici delle parole
del nostro Predecessore Pio XI, "sembra... non esservi stato
mai alcuno in cui brillasse più viva e più somigliante
l'immagine di Gesù Cristo e la forma evangelica di vita che in
Francesco. Pertanto egli che si era chiamato l'Araldo del Gran
Re, giustamente fu salutato quale un altro Gesù Cristo per
essersi presentato ai contemporanei e ai secoli futuri quasi
Cristo redivivo, dal che seguì che, come tale, egli vive tuttora
agli occhi degli uomini e continuerà a vivere per tutte le
generazioni avvenire" (Encicl. "-Rite expiatis-" 30 aprile 1926;
AAS, 18 [1926] p. 154).
Ma com’era Francesco e come lo vedevano i suoi frati? Ecco
come il suo primo biografo, Tommaso da Celano, ce lo
descrive nella sua Vita prima:
“Quanto era incantevole, stupendo e glorioso nella sua
innocenza, nella semplicità della sua parola, nella purezza di
cuore, nell'amore di Dio, nella carità fraterna, nella prontezza
dell'obbedienza, nella cortesia, nel suo aspetto angelico! Di
carattere mite, di indole calmo, affabile nel parlare, cauto
nell'ammonire, fedelissimo nell'adempimento dei compiti
affidatigli, accorto nel consigliare, efficace nell'operare,
amabile in tutto. Di mente serena, dolce di animo, di spirito
sobrio, assorto nelle contemplazioni, costante nell'orazione e in
tutto pieno di entusiasmo. Tenace nei propositi, saldo nella
virtù, perseverante nella grazia, sempre uguale a se stesso.
Veloce nel perdonare, lento all'ira, fervido di ingegno, di buona
memoria, fine nelle discussioni, prudente nelle decisioni e di
grande semplicità. Severo con sé, indulgente con gli altri.
Era uomo facondissimo, di aspetto gioviale, di sguardo buono,
mai indolente e mai altezzoso.
Di statura piuttosto piccola, testa regolare e rotonda, volto un
po' ovale e proteso, fronte piana e piccola, occhi neri, di misura
normale e tutto semplicità, capelli pure oscuri, sopracciglia
diritte, naso giusto, sottile e diritto, orecchie dritte ma piccole,
tempie piane, lingua mite, bruciante e penetrante, voce robusta,
dolce, chiara e sonora, denti uniti, uguali e bianchi, labbra
piccole e sottili, barba nera e rara, spalle dritte, mani scarne,
dita lunghe, unghie sporgenti, gambe snelle, piedi piccoli, pelle
delicata, magro, veste ruvida, sonno brevissimo, mano
generosissima. Nella sua incomparabile umiltà si mostrava
buono e comprensivo con tutti, adattandosi in modo opportuno
e saggio ai costumi di ognuno. Veramente più santo tra i santi,
e tra i peccatori come uno di loro. O Padre santissimo, pietoso
e amante dei peccatori, vieni dunque loro in aiuto, e per i tuoi
altissimi meriti degnati te ne preghiamo, di sollevare coloro che
vedi giacere miseramente nella colpa!”
In una società come la nostra che ha perso il gusto gioioso del
vivere, attanagliata com’è dalle moderne schiavitù burocratiche
e tecnologiche, spesso inventate ad arte dal consumismo
mirante al solo profitto immediato e che le fanno perdere il
gusto dell’essenza delle cose importanti, Francesco è quel faro
di luce che ci ricorda che la gioia piena e duratura non si trova
nell’effimero delle cose o nel possesso delle stesse e neppure e
totalmente nei legami umani. La sottile ma perenne
insoddisfazione del cuore, si scioglie solo nell’amore del
Creatore.
E’ un uomo coerente e concreto e pretende dai suoi frati
predicatori che prima di salire sul pulpito abbiano vissuto ciò
che poi vogliono predicare e che inoltre siano di brevi parole.
Nelle Ammonizioni scrive infatti: “ Guardiamo con attenzione,
fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore (cf.
Gv. 10,11; Eb. 12,2) sostenne la passione della croce. Le
pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e
persecuzione (cf. Gv. 10,4), nell’ignominia e nella fame (cf.
Rm. 8,35), nella infermità e nella tentazione e in altre simili
cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna.
Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi
abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e
onore con il semplice raccontarle! E ancora: Dice l’Apostolo:
“La lettera uccide, lo spirito invece dà vita” (2Cor. 3,6). Sono
morti a causa della lettera coloro che unicamente bramano
sapere le sole parole, per essere ritenuti i più sapienti in mezzo
agli altri e potere acquistare grandi ricchezze e darle
ai parenti e agli amici.
Così pure sono morti a causa della lettera quei religiosi che non
vogliono seguire lo spirito della divina Scrittura, ma piuttosto
bramano sapere le sole parole e spiegarle agli altri. E sono
vivificati dallo spirito della divina Scrittura coloro che ogni
scienza che sanno e desiderano sapere, non l’attribuiscono al
proprio io, ma la restituiscono, con la parola e con l’esempio,
all’altissimo Signore Dio, al quale appartiene ogni bene”. “
Tanto l’uomo possiede di scienza quanto fa di opere… perché
dai frutti si conosce l’albero”. San Antonio infatti in un suo
discorso raccoglieva pienamente tale invito e scriveva: “ La
predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le
opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere.
Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere.”
Ma non si può capire Francesco se non si ricorda una sua
preziosa peculiarità che spesso va dimenticata: la sua fedeltà
alla Chiesa. Egli non critica con le parole gli sfarzi
dell’epoca e l’incoerenza di certi prelati, chiede di poter
vivere in assoluta povertà; critica con la vita. Non si
comporta alla maniera di Lutero che bruciava le bolle
pontificie, criticava con le parole e gli scritti per poi avere
il sussiego dei principi e controbattere Roma; per far si
che la sua riforma avesse buon fine il monaco agostiniano
non disdegnò di schierarsi dalla parte dei nobili e nel 1525
scrisse un feroce testo di condanna contro i contadini e così
fu soffocata nel sangue la loro protesta. Francesco non va a
caccia di potere, non accetta incarichi di prestigio o berretti
cardinalizi, non vuole privilegi; crede nella Chiesa e a
questa obbedisce per poter vivere in povertà il santo
Vangelo; l’ubbidienza è il cardine della sua missione egli sa
perfettamente che Cristo difende la sua Chiesa e che “le
porte degli inferi non prevarranno su di essa”. Invita i frati a
obbedire anche dove appare l’incongruenza perché lì si
acquistano meriti e se sono di fronte ad un comando che va
contro la coscienza allora possono rifiutarlo, ma viene
chiesto loro però di non abbandonare il fratello Guardiano
che ha dato il comando. Per Francesco ogni uomo non solo è
un fratello ma un dono del Signore. Egli vive della presenza
costante della Provvidenza e se ne rende conto soprattutto
quando i frati aumentano vertiginosamente accanto a lui,
fino a contarne oltre cinquemila davanti alla Porziuncola in
un Capitolo. E’ un riformatore ma alla sua maniera e spesso
con fermezza; rifiuta in certe occasioni i consigli dei
Cardinali e accetta quelli dei suoi frati e addirittura invita S.
Domenico a creare un proprio ordine religioso quando questi
pensa di unirsi a lui e ammonisce docilmente in una lettera
S. Antonio di Padova perché non venga meno nei frati lo
spirito di preghiera.
Pur dichiarandosi ignorante e illetterato, più per umiltà che per
reali conoscenze, egli predilige vivere il Vangelo più che
conoscerlo mnemonicamente e praticare l’umiltà più che
esporla. Ecco come il Celano descrive quest’aspetto nella sua
Vita seconda: “Quantunque questo uomo beato non avesse
ricevuta nessuna formazione di cultura umana, tuttavia,
istruito dalla sapienza che discende da Dio e, irradiato dai
fulgori della luce eterna, aveva una comprensione altissima
delle Scritture. La sua intelligenza, pura da ogni macchia,
penetrava le oscurità dei misteri, e ciò che rimane
inaccessibile alla scienza dei maestri era aperto all'affetto
dell'amante. Ogni tanto leggeva nei Libri Sacri, e scolpiva
indelebilmente nel cuore ciò che anche una volta sola aveva
immesso nell'animo. «Per lui, la memoria teneva il posto dei
libri», perché il suo orecchio, anche in una volta sola,
afferrava con sicurezza ciò che l'affetto andava meditando con
devozione. Affermava che questo metodo di apprendere e di
leggere è il solo fruttuoso, non quello di consultare migliaia e
migliaia di trattati. Riteneva vero filosofo colui che non
antepone nulla al desiderio della vita eterna. Affermava
ancora che perviene facilmente dalla scienza umana alla
scienza di Dio, colui che, leggendo la Scrittura, la scruta più
con l'umiltà che con la presunzione. Spesso scioglieva con una
sola frase questioni dubbie e senza profusioni di parole
dimostrava grande intelligenza e profonda penetrazione”.
( TRATTO DA " S. FRANCESCO DAL PASSATO AL FUTURO " O.L., 2011 )