LE CONSIDERAZIONI SULLE STIMMATE
In questa parte vederemo con divota considerazione delle gloriose, sacrate e sante Istimate del beato padre nostro messere santo Francesco, le quali egli ricevette da Cristo in sul santo monte della Vernia; e imperò che le dette Istimate furono cinque, secondo le cinque piaghe del nostro Signore Gesù Cristo, e però questo trattato avrà cinque considerazioni.
La prima considerazione sarà del modo come santo Francesco pervenne al monte santo della Vernia.
La seconda considerazione sì sarà della vita e conversazione, ch'egli ebbe e tenne con li suoi compagni in sul detto santo monte.
La terza considerazione sarà della apparizione serafica e impressione delle sacratissime Istimate.
La quarta considerazione sarà come santo Francesco iscese del monte della Vernia, poi ch'egli ebbe ricevute le sacre Istimate, e tornò a Santa Maria degli Agnoli.
La quinta considerazione sarà di certe apparizioni e rivelazioni divine fatte dopo la morte di santo Francesco a santi frati e altre divote persone, delle dette sacre e gloriose Istimate.
Della prima considerazione delle sacre sante Istimate
Quanto alla prima considerazione, è da sapere che santo Francesco, in età di quarantatré anni, nel mille ducento ventiquattro, spirato da Dio si mosse della valle di Spuleto per andare in Romagna con frate Leone suo compagno; e andando passò a pie' del castello di Montefeltro, nel quale castello si facea allora un grande convito e corteo per la cavalleria nuova d'uno di quelli conti di Montefeltro. E udendo santo Francesco questa solennità che vi si facea e che ivi erano raunati molti gentili uomini di diversi paesi, disse a frate Leone: "Andiamo quassù a questa festa, però che con lo aiuto di Dio noi faremo alcuno frutto spirituale".
Tra gli altri gentili uomini che vi erano venuti di quella contrada a quello corteo, sì v'era uno grande e anche ricco gentile uomo di Toscana, e aveva nome messere Orlando da Chiusi di Casentino, il quale per le maravigliose cose ch'egli avea udito della santità e de' miracoli di santo Francesco, sì gli portava grande divozione e avea grandissima voglia di vederlo e d'udirlo predicare.
Giugne santo Francesco a questo castello ed entra e vassene in sulla piazza, dove era radunata tutta la moltitudine di questi gentili uomini, e in fervore di spirito montò in su uno muricciuolo e cominciò a predicare proponendo per tema della sua predica questa parola in volgare: "Tanto è quel bene ch'io aspetto, che ogni pena m'è diletto". E sopra questo tema, per dittamento dello Spirito santo, predicò sì divotamente e sì profondamente, provandolo per diverse pene e martìri de' santi Apostoli e de' santi Martiri e per le dure penitenze di santi Confessori, per molte tribulazioni e tentazioni delle sante Vergini e degli altri Santi, che ogni gente stava con gli occhi e con la mente sospesa inverso di lui, e attendeano come se parlasse uno Agnolo di Dio. Tra li quali il detto messere Orlando, toccato nel cuore da Dio per la maravigliosa predicazione di santo Francesco, si puose in cuore d'ordinare e ragionare con lui, dopo la predica, de' fatti dell'anima sua.
Onde, compiuta la predica, egli trasse santo Francesco da parte e dissegli: "O padre, io vorrei ordinare teco della salute dell'anima mia". Rispuose santo Francesco: "Piacemi molto; ma va' istamani e onora gli amici tuoi che t'hanno invitato alla festa e desina con loro, e dopo desinare parleremo insieme quanto ti piacerà". Vassene adunque messere Orlando a desinare, e dopo desinare torna a santo Francesco, e sì ordina e dispone con esso lui i fatti dell'anima sua pienamente. E in fine disse questo messere Orlando a santo Francesco: "Io ho in Toscana uno monte divotissimo il quale si chiama il monte della Vernia, lo quale è molto solitario e salvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalle gente, o a chi desidera vita solitaria. S'egli ti piacesse, volentieri lo ti donerei a te e a' tuoi compagni per salute dell'anima mia". Udendo santo Francesco così liberale profferta di quella cosa ch'egli desiderava molto, ne ebbe grandissima allegrezza, e laudando e ringraziando in prima Iddio e poi il predetto messere Orlando, sì gli disse così: "Messere, quando voi sarete tornato a casa vostra, io sì manderò a voi de' miei compagni e voi sì mostrerete loro quel monte; e s'egli parrà loro atto ad orazione e a fare penitenza, insino a ora io accetto la vostra caritativa profferta". E detto questo, santo Francesco si parte: e compiuto ch'egli ebbe il suo viaggio, sì ritornò a Santa Maria degli Agnoli; e messere Orlando similmente, compiuta ch'egli ebbe la solennità di quello corteo, sì ritornò al suo castello che si chiamava Chiusi, il quale era presso alla Vernia a uno miglio.
Tornato dunque che santo Francesco fu a Santa Maria degli Agnoli, egli sì mandò due de' suoi compagni al detto messere Orlando; i quali giugnendo a lui, furono con grandissima allegrezza e carità da lui ricevuti. E volendo egli mostrare loro il monte della Vernia, sì mandò con loro bene da cinquanta uomini armati, acciò che li difendessino dalle fiere salvatiche. E così accompagnati, questi Frati salirono in sul monte e cercarono diligentemente, e alla perfine vennero a una parte del monte molto divota e molto atta a contemplare, nella quale parte sì era alcuna pianura, e quello luogo sì scelsono per abitazione loro e di santo Francesco. E insieme coll'aiuto di quelli uomini armati ch'erano in loro compagnia feciono alcuna celluzza di rami d'arbori; e così accettarono e presono, nel nome di Dio, il monte della Vernia e il luogo de' frati in esso monte, e partironsi e tornarono a santo Francesco.
E giunti che furono a lui, sì gli recitarono come e in che modo eglino aveano preso il luogo in sul monte della Vernia, attissimo alla orazione e a contemplazione. Udendo santo Francesco questa novella, si rallegrò molto e, laudando e ringraziando Iddio, parla a questi frati con allegro viso e dice così: "Figliuoli miei, noi ci appressiamo alla quaresima nostra di santo Michele Arcangelo: io credo fermamente che sia volontà di Dio che noi facciamo questa quaresima in sul monte della Vernia, il quale per divina dispensazione ci è stato apparecchiato acciò che ad onore e gloria di Dio e della sua gloriosa vergine Maria e de' santi Agnoli noi con penitenza meritiamo da Cristo la consolazione di consacrare quel monte benedetto".
E allora detto questo, santo Francesco si prese seco frate Masseo da Marignano d'Ascesi, il quale era uomo di grande senno e di grande eloquenza, e frate Agnolo Tancredi da Rieti, il quale era molto gentile uomo ed era stato cavaliere nel secolo, e frate Leone, il quale era uomo di grande semplicità e purità (per la quale cosa santo Francesco molto l'amava e quasi ogni suo secreto gli revelava); e con questi tre frati santo Francesco si puose in orazione, e poi finita l'orazione raccomandò sé e li predetti compagni alle orazioni de' frati che rimanieno, e mossesi con quelli tre nel nome di Gesù Cristo crocifisso per andare al monte della Vernia.
E movendosi, santo Francesco chiamò uno de' tre compagni, ciò fu frate Masseo, e sì gli disse così: "Tu, frate Masseo, sì sarai nostro guardiano e nostro prelato in questo viaggio, cioè mentre che noi andremo e staremo insieme, e sì osserveremo la nostra usanza che, o noi diremo l'ufficio o noi parleremo di Dio o noi terremo silenzio, e non penseremo innanzi né di mangiare né di bere né del dormire: ma quando sarà l'ora dello albergare, noi accatteremo uno poco di pane, e sì ci ristaremo e riposeremoci in quel luogo che Dio ci apparecchierà". Allora questi tre compagni inchinaron i capi, e facendosi il segno della croce andarono oltre.
E la prima sera giunsono ad uno luogo di frati e ivi albergarono; la seconda sera, tra per lo mal tempo e perché erano istanchi, non poteano giugnere a uno luogo di frati né a villa nessuna, e sopraggiugnendo la notte col mal tempo, si ricoverarono ad albergo in una chiesa abbandonata e disabitata, e ivi si puosono a riposare. E dormendo li compagni, santo Francesco si gettò in orazione; ed eccoti, in su la prima vigilia della notte, venire una grande moltitudine di demoni ferocissimi con romore e stroppiccìo grandissimo, e cominciarono fortemente a dargli battaglia e noia; onde l'uno lo pigliava di qua e l'altro di là: l'uno lo tirava in giù e l'altro in su; l'uno il minacciava d'una cosa e l'altro gliene rimproverava un'altra, e così in diversi modi si ingegnavano disturbarlo dalla orazione; ma non poteano, perché Iddio sì era con lui. Onde quando santo Francesco ebbe assai sostenute queste battaglie de' demoni, egli cominciò a gridare ad alte voci: "O spiriti dannati, voi non potete niente se non quanto la mano di Dio vi permette: e però dalla parte dello onnipotente Iddio io vi dico che voi facciate nel corpo mio ciò che vi è permesso da Dio, con ciò sia cosa che io lo sostegna volentieri, perch'io non ho maggiore nemico che il corpo mio; e però se voi per me fate vendetta del mio nemico, voi sì mi fate troppo grande servigio". E allora i demoni con grandissimo empito e furia sì lo presono e incominciaronlo a strascinare per la chiesa e fargli troppo maggiore molestia e noia che prima. E santo Francesco cominciò allora a gridare e dire: "Signore mio Gesù Cristo, io ti ringrazio di tanto amore e carità quanto tu mostri verso di me; ché è segno di grande amore, quando il Signore punisce bene il servo di tutti i suoi difetti in questo mondo, acciò che non ne sia punito nell'altro. E io son apparecchiato a sostenere allegramente ogni pena e ogni avversità che tu, Iddio mio, mi vuogli mandare per li miei peccati".
Allora li demoni, confusi e vinti dalla sua costanza e pazienza, si partirono; e santo Francesco in fervore di spirito esce dalla chiesa ed entra in uno bosco che era ivi presso, e ivi si gitta in orazione e con prieghi e con lagrime e con picchiare di petto cerca di trovare Gesù Cristo sposo e diletto dell'anima sua. E finalmente trovandolo nel secreto della anima sua, ora gli parlava riverente come a signore, ora gli rispondeva come a suo giudice, ora il pregava come padre, ora gli ragionava come ad amico. In quella notte e in quel bosco i compagni suoi, poiché s'erano desti e istavano ad ascoltare e considerare quello che faceva sì il vidono e udirono con pianti e con voci pregare divotamente la divina misericordia per li peccatori. Fu allora udito e veduto piagnere ad alta voce la passione di Cristo, come s'egli la vedesse corporalmente. In questa notte medesima il vidono orare, colle braccia raccolte in modo di croce, per grande spazio sospeso e sollevato da terra e attorniato da una nuvola splendente. E così, in questi santi esercizi, tutta quella notte passò sanza dormire.
E di poi il mattino, conoscendo li compagni che, per la fatica della notte che passò sanza dormire, santo Francesco era troppo debole del corpo e male arebbe potuto camminare a piedi, se ne andarono a uno povero lavoratore della contrada, e sì gli chiesono per l'amore di Dio il suo asinello in prestanza per frate Francesco loro padre, il quale non puote andare a piede. Udendo costui ricordare frate Francesco, sì li domandò: "Siete voi di quelli frati di quello frate Francesco d'Ascesi, del quale si dice cotanto bene?". Rispondono li frati che sì e che per lui veramente eglino addomandano il somiere. Allora questo buono uomo con grande divozione e sollecitudine sì apparecchiò l'asinello e menollo a santo Francesco, e con grande riverenza vel fece salire suso. E camminarono oltre, e costui con loro dietro al suo asinello.
E poiché furono iti oltre un pezzo, disse il villano a santo Francesco: "Dimmi, se' tu frate Francesco d'Ascesi?". Risponde santo Francesco che sì. "Ora t'ingegna dunque, disse il villano, d'essere così buono come tu se' tenuto da ogni gente, perciò che molti hanno grande fede in te, e però io ti ammonisco che in te non sia altro che quello che la gente ne spera". Udendo santo Francesco queste parole, non si isdegnò d'essere ammonito da uno villano, e non disse tra se medesimo: Che bestia è costui che m'ammonisce?, siccome direbbono oggi molti superbi che portano la cappa, ma immantanente si gittò in terra dello asino e inginocchiossi dinanzi a costui e baciogli i piedi, e sì lo ringrazia umilmente perch'egli avea degnato d'ammonirlo così caritativamente. Allora il villano insieme con li compagni di santo Francesco con grande divozione sì lo levarono da terra e ripuosonlo in su l'asino; e camminarono oltre.
E giunti che furono forse a mezza la salita del monte, perch'era il caldo grandissimo e la salita faticosa, a questo villano sì dà la sete grandissima, in tanto che cominciò a gridare dopo santo Francesco, dicendo: "Oimè! che io mi muoio di sete; ché se io non ho qualche cosa da bere, io trafelerò immantanente". Per la quale cosa santo Francesco iscende dall'asino e gittasi in orazione; e tanto sì stette ginocchioni colle mani levate al cielo, che conobbe per rivelazione che Iddio l'avea esaudito. E allora disse al villano: "Corri, va' tosto a quella pietra, e quivi troverai l'acqua viva la quale Cristo in questa ora, per la sua misericordia, ha fatta uscire da quella pietra". Corre costui a quello luogo che santo Francesco sì gli avea mostrato, e trova una fonte bellissima, per virtù della orazione di santo Francesco prodotta dal sasso durissimo, e bevvene copiosamente e fu confortato. E bene apparve che quella fonte fusse da Dio prodotta miracolosamente per li prieghi di santo Francesco, perciò che né prima né poi in quello luogo si vide giammai fonte d'acqua, né acqua presso a quello luogo a grande ispazio. Fatto questo, santo Francesco con li compagni e col villano ringraziarono Iddio del miracolo mostrato; e camminarono oltre.
E appressandosi a pie' del sasso proprio della Vernia, sì piacque a santo Francesco di riposarsi una volta sotto a una quercia che era in sulla via, ed evvi ancora; e istando sotto ad essa, santo Francesco cominciò a considerare la disposizione dello luogo e del paese; e istando in questa considerazione, eccoti venire una grande torma di diversi uccelli li quali con cantare e con battere l'ali mostravano tutti grandissima festa e allegrezza; e attorniarono santo Francesco in tale modo, che alquanti se li puosono in sul capo alquanti in sulle spalle, alquanti in sulle braccia, alquanti in grembo e alquanti a' pie' d'intorno. Vedendo questo i suoi compagni e il villano e maravigliandosi, santo Francesco tutto allegro in ispirito disse così: "Io credo, carissimi fratelli, ch'al nostro Signore Gesù Cristo piace che noi abitiamo in questo monte solitario, poiché tanta allegrezza ne mostrano della nostra venuta le nostre sirocchie e fratelli uccelli". E dette queste parole, si levarono suso e camminarono oltre, e finalmente pervennono al luogo ch'aveano in prima preso i suoi compagni.
E questo è quanto alla prima considerazione, cioè come santo Francesco pervenne al monte santo della Vernia.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Della seconda considerazione delle sacre sante Istimate
La seconda considerazione si è della conversazione di santo Francesco co' compagni in sul detto monte.
E quanto a questa è da sapere che, udendo messere Orlando che santo Francesco con tre compagni era salito per abitare in sul monte della Vernia, ebbe grandissima allegrezza, e il dì seguente si mosse egli con molti del suo castello e vennono a visitare santo Francesco, portando del pane e del vino e delle altre cose da vivere, per lui e per li suoi compagni. E giugnendo lassù, sì li trovò stare in orazione; e appressandosi a loro, sì li salutò. Allora santo Francesco si dirizzò e con grandissima carità e allegrezza ricevette messere Orlando con la sua compagnia. E fatto questo, sì si puosono a ragionare insieme; e dopo ch'ebbero ragionato e santo Francesco l'ebbe ringraziato del divoto monte che gli avea donato e della sua venuta, egli sì lo pregò che gli facesse fare una celluzza povera a piede d'uno faggio bellissimo, il quale era di lunge dal luogo de' frati per una gittata di pietra, però che quello gli parea luogo molto divoto e atto alla orazione. E messere Orlando immantanente la fece fare.
E, fatto questo, però che s'appressava la sera ed era tempo da partirsi, e santo Francesco innanzi che si partissino predicò loro un poco; e poi, predicato ch'egli ebbe e dato loro la benedizione, messere Orlando dovendosi partire, egli chiamò da parte santo Francesco e li compagni e disse loro così: "Frati miei carissimi, e' non è mia intenzione che in questo monte salvatico voi sosteniate nessuna necessità corporale, per la quale voi possiate meno attendere alle cose spirituali; e però io voglio, e questo vi dico per tutte le volte, che a casa mia voi mandiate sicuramente per ogni vostro bisogno. E se voi faceste il contrario, io l'avrei da voi molto per male". E detto questo, si partì con la sua compagnia e tornossi al castello.
Allora santo Francesco fece sedere li suoi compagni e sì gli ammaestrò del modo e della vita che doveano tenere eglino e chiunque religiosamente sì vuole vivere ne' romitori. E tra l'altre cose, singularmente sì impuose loro la osservanza della santa povertà, dicendo: "Non ragguardate tanto la caritatevole profferta di messere Orlando, ché voi in cosa nessuna offendiate la nostra donna, madonna santa povertà. Abbiate di certo che, quanto noi più ischiferemo la povertà, tanto più il mondo ischiferà noi e più necessità patiremo; ma se noi abbracceremo bene stretta la santa povertà, il mondo ci verrà dietro e nutricheracci copiosamente. Iddio ci ha chiamati in questa santa religione per la salute del mondo, e ha posto questo patto tra noi e 'l mondo, che noi diamo al mondo buono esempio e 'l mondo ci provegga nelle nostre necessità. Perseveriamo dunque in nella santa povertà, però ch'ella è via di perfezione ed è arra e pegno delle nostre ricchezze". E dopo molte belle e divote parole e ammaestramenti di cotesta materia, sì conchiuse dicendo: "Questo è il modo di vivere, il quale io impongo a me e a voi. E però che mi veggio appressare alla morte, io m'intendo di stare solitario e ricogliermi con Dio e dinanzi a lui piagnere li miei peccati; e frate Leone, quando gli parrà, mi recherà un poco di pane e un poco d'acqua; e per nessuna cagione lasciate venire a me nessuno secolare, ma voi rispondete loro per me". E dette queste parole, diede loro la benedizione e andossene alla cella del faggio; e li compagni si rimasono nel luogo, con fermo proponimento di osservare li comandamenti di santo Francesco.
Ivi a pochi dì, istandosi santo Francesco allato alla detta cella e considerando la disposizione del monte e meravigliandosi delle grandissime fessure e aperture di sassi grandissimi, si puose in orazione; e allora gli fu rivelato da Dio che quelle fessure così maravigliose erano state fatte miracolosamente, nell'ora della passione di Cristo, quando, secondo che dice il Vangelista, le pietre si spezzarono. E questo volle Iddio che singularmente appresse in su quel monte della Vernia, perché quivi si dovea rinnovare la passione del nostro Signore Gesù Cristo, nell'anima sua per amore e compassione, e nel corpo suo per impressione delle sacre sante Istimate.
Avuta ch'ebbe santo Francesco quella rivelazione, immantanente si rinchiude in cella e tutto si ricoglie in sé medesimo e sì si dispone attendere al misterio di questa rivelazione. E d'allora inanzi santo Francesco per la continova orazione cominciò ad assaggiare più spesso la dolcezza della divina contemplazione, per la quale egli ispesse volte era sì ratto in Dio, che corporalmente egli era veduto da' compagni elevato di terra e ratto fuori di sé.
In questi cotali ratti contemplativi sì gli erano rivelate da Dio non solamente le cose presenti e le future, ma eziandio li segreti pensieri e gli appetiti de' frati, siccome in sé medesimo provò frate Leone suo compagno in quel dì. Il quale frate Leone sostenendo dal demonio una grandissima tentazione non carnale ma spirituale, sì gli venne grande voglia d'avere qualche cosa divota scritta di mano di santo Francesco, e pensavasi che, s'e' l'avesse, quella tentazione si partirebbe in tutto o in parte. Avendo questo desiderio, per vergogna e per reverenza non avea avuto ardire di dirlo a santo Francesco; ma a cui nol disse frate Leone, sì lo rivelò lo Spirito santo. Di che santo Francesco sì il chiamò a sé e fecesi recare il calamaio e la penna e la carta; e con la sua mano iscrisse una lauda di Cristo, secondo il desiderio del frate, e nel fine fece il segno del Tau e diegliela dicendo: "Te', carissimo frate, questa carta, e infino alla morte tua la guarda diligentemente. Iddio ti benedica e guarditi contro ogni tentazione. Perché tu abbi delle tentazioni, non ti sgomentare; però che allora ti reputo io amico e più servo di Dio e più ti amo, quanto più se' combattuto dalle tentazioni. Veramente io ti dico che nessuno si dee riputare perfetto amico di Dio insino a tanto che non è passato per molte tentazioni e tribulazioni". Ricevendo frate Leone questa scritta con somma divozione e fede, subitamente ogni tentazione si partì; e, tornandosi al luogo, narrò alli compagni con grande allegrezza quanta grazia Iddio gli avea fatta nel ricevere quella scritta di santo Francesco; e riponendola e serbandola diligentemente con essa fecero poi li frati molti miracoli.
E da quella ora innanzi il detto frate Leone con grande purità e buona intenzione cominciò ad iscrutare e considerare sollecitamente la vita di santo Francesco, e per la sua purità egli si meritò di vedere più e più volte santo Francesco ratto in Dio e sospeso da terra, alcuna volta in spazio d'altezza di tre braccia, alcuna volta di quattro, alcuna volta insino all'altezza del faggio e alcuna volta lo vide levato in aria tanto alto e attorniato di tanto splendore, ch'egli appena il potesse vedere. E che facea questo semplice frate quando santo Francesco era sì poco elevato da terra ch'egli il potea aggiugnere? Andava costui pianamente ed abbracciavagli i piedi, baciavali e con lagrime diceva: "Iddio mio, abbi misericordia di me peccatore e per li meriti di questo santo uomo fammi trovare la grazia tua". E una volta tra l'altre, istando egli così sotto i piedi di santo Francesco quando egli era tanto elevato da terra che non lo potea toccare, egli vide una cedola iscritta di lettere d'oro discendere di cielo e porsi in sul capo di santo Francesco nella quale cedola erano iscritte queste parole: "Qui è la grazia di Dio"; e poi che l'ebbe letta, sì la vide ritornare in cielo.
Per lo dono di questa grazia di Dio ch'era in lui, santo Francesco non solamente era ratto in Dio per contemplazione estatica, ma eziandio alcuna volta era confortato da visitazione angelica. Onde istandosi un dì santo Francesco e pensando della sua morte e dello stato della sua religione dopo la vita sua, e dicendo: "Signore Iddio, che sarà, dopo la mia morte, della tua famiglia poverella, la quale per la tua benignità hai commessa a me peccatore? chi li conforterà? chi li correggerà? chi ti pregherà per loro?" e simiglianti parole dicendo; sì gli apparve l'Agnolo mandato da Dio e confortandolo disse così: "Io ti dico da parte di Dio che la professione dell'Ordine tuo non mancherà insino al dì del giudicio e non sarà niuno sì grande peccatore, che se egli amerà di cuore l'Ordine tuo, egli non truovi misericordia da Dio; e nessuno che per malizia perseguiti l'Ordine tuo potrà lungamente vivere. E appresso, nessuno molto reo nell'Ordine tuo, il quale non corregga la sua vita, potrà molto perseverare nell'Ordine. E però non ti contristare se nella tua religione tu vedi alcuni frati non buoni, li quali non osservano la Regola come debbono, e non pensare però che questa religione venga meno; imperò che sempre ve ne saranno molti e molti li quali serveranno perfettamente la vita del Vangelo di Cristo e la purità della Regola; e quelli cotali immantanente dopo la vita corporale se ne andranno a vita eterna sanza passare punto per purgatorio. Alquanti la serveranno, ma non perfettamente, e quelli anzi che vadano al paradiso saranno in purgatorio, ma il tempo della loro purgazione ti sarà commesso da Dio. Ma di coloro che non osservano punto della Regola, non te ne curare, dice Iddio, però che non se ne cura egli". E dette queste parole, l'Agnolo si partì e santo Francesco rimase tutto confortato e consolato.
Appressandosi poi alla festa della Assunzione della nostra Donna, e santo Francesco cerca opportunità di luogo più solitario e segreto nel quale egli possa più solitario fare la quaresima di santo Michele Arcagnolo, la quale cominciava per la detta festa della Assunzione. Ond'egli chiama frate Leone e dicegli così: "Va' e sta' in sulla porta dell'oratorio del luogo de' frati, e quando io ti chiamerò, e tu torna a me". E va frate Leone e sta in sulla porta, e santo Francesco si dilunga un pezzo e chiama forte. E udendo frate Leone chiamare, torna a lui, e santo Francesco gli dice: "Figliuolo, cerchiamo altro luogo più segreto onde tu non mi possa udire così quand'io ti chiamerò". E cercando sì ebbono veduto del lato del monte, dalla parte del meriggio, un luogo segreto e troppo bene atto, secondo la sua intenzione, ma non vi si potea andare, però che dinanzi v'era una apritura di sasso molto orribile e paurosa: di che con grande fatica ci vi puosono suso uno legno a modo di ponte e passarono di là. Allora santo Francesco sì manda per gli altri frati e dice loro come egli intende di fare la quaresima di santo Michele in quello luogo solitario; e però li priega ch'eglino vi facciano una celluzza, sicché per nessuno suo gridare e' potesse essere udito da loro. E fatta che fu la celluzza di santo Francesco, dice a loro: "Andatene al luogo vostro e me lasciate qui solitario però che con l'aiuto di Dio io intendo di fare qui questa quaresima sanza istropiccìo di mente, e però nessuno di voi venga a me, né nessuno secolare non lasciate venire a me. Ma tu, frate Leone, solamente, una sola volta il dì verrai a me con uno poco di pane e d'acqua, e la notte un'altra volta nell'ora del mattutino; e allora verrai a me con silenzio e quando se' in capo del ponte e tu dirai: "Domine labia mea aperies". E s'io ti rispondo, passa e vieni alla cella e diremo insieme il mattutino; e se io non ti rispondo, partiti immantanente". E questo dicea santo Francesco, però che alcuna volta era sì ratto in Dio, ch'egli non udiva né sentiva niente con sentimenti del corpo. E detto questo santo Francesco diede loro la benedizione, ed eglino si ritornarono al luogo.
Vegnendo adunque la festa dell'Assunzione, santo Francesco comincia la santa quaresima, e con grandissima astinenza e asprezza macerando il corpo e confortando lo spirito con ferventi orazioni, vigilie e discipline e in queste orazioni sempre crescendo di virtù in virtù, disponea l'anima sua a ricevere li divini misteri e li divini splendori, e 'l corpo a sostenere le battaglie crudeli delli demonii, con li quali spesse volte combattea sensibilmente. E fra l'altre fu una volta in quella quaresima, che uscendo un dì santo Francesco della cella in fervore di spirito e andando ivi assai presso a stare in orazione in una tomba d'un sasso cavato, della quale insino giù a terra è una grandissima altezza e orribile e pauroso precipizio, subitamente viene il demonio, con tempesta e con rovinìo grandissimo, in forma terribile, e percuotelo per sospignerlo quindi giuso. Di che santo Francesco non avendo dove fuggire e non potendo soffrire l'aspetto crudelissimo del demonio, di subito si rivolse con le mani e col viso e con tutto il corpo al sasso e raccomandossi a Dio, brancolando colle mani se a cosa nessuna si potesse appigliare. Ma come piacque a Dio, il quale non lascia mai tentare li servi suoi più che possano portare, subitamente per miracolo il sasso, al quale egli s'accostò, si cavò secondo la forma del corpo suo e sì lo ricevette in sé, a modo come s'egli avesse messe le mani e 'l viso in una cera liquida, così nel detto sasso s'improntò la forma delle mani e del viso di santo Francesco; e così aiutato da Dio, scampò dinanzi al demonio.
Ma quello che il demonio non potè fare allotta a santo Francesco, di sospignerlo quindi giuso, sì fece poi, a buon tempo dopo la morte di santo Francesco, a uno suo caro e divoto frate; il quale in quello medesimo luogo acconciando alcuni legni, acciò che sanza pericolo vi si potesse andare per divozione di santo Francesco e dello miracolo ivi fatto, un dì lo demonio lo sospinse, quand'egli avea in capo un legno grande il quale egli volea acconciarvi, e sì lo fece cadere quindi giù con quel legno in capo. Ma Iddio ch'avea campato e preservato santo Francesco dal cadere, per li suoi meriti campò e preservò il divoto frate suo del pericolo della caduta; onde cadendo, il frate con grandissima divozione ad alte voci si raccomanda a santo Francesco, ed egli subitamente gli apparve e prendendolo sì lo posò giuso in su li sassi sanza nessuna percossa o lesione. Onde avendo uditi gli altri frati il grido di costui quando cadde, e credendo che fosse morto e minuzzato per l'alta caduta in sulli sassi taglienti, con grande dolore e pianto presono il cataletto e andavano dall'altra parte del monte per recarne li pezzi del corpo suo e sotterrarli. Ed essendo già discesi dal monte, questo frate ch'era caduto gli scontrò con quello legno in capo, col quale egli era caduto, e cantava ad alte voci Te Deum laudamus. E maravigliandosi li frati fortemente, egli innarrò loro per ordine tutto il modo del suo cadere e come santo Francesco l'avea campato da ogni pericolo. Allora tutti li frati insieme ne vennero con lui al luogo cantando divotissimamente il predetto salmo Te Deum laudamus, e laudando e ringraziando Iddio e santo Francesco del miracolo ch'avea adoperato nel frate suo.
Proseguendo dunque santo Francesco, come detto è, la detta quaresima, benché molte battaglie sostenesse dal demonio, nientedimeno molte consolazioni riceveva da Dio, non solamente per visitazioni angeliche, ma eziandio per uccelli salvatichi: imperò che in tutto quello tempo della quaresima uno falcone nidificava ivi presso la cella sua e ogni notte, un poco innanzi al mattutino, col suo canto e col suo isbattersi alla cella sua sì lo destava, e non si partia insino che non si levava suso a dire il mattutino, e quando santo Francesco fosse più lasso una volta e un'altra, o debile o infermo, questo falcone, a modo e come persona discreta e compassiva, sì cantava più tardi. E così di questo santo oriuolo santo Francesco prendea grande piacere; però che la grande sollecitudine del falcone sì scacciava da lui ogni pigrizia e sollecitavalo ad orare, ed oltre a questo di dì stava alcuna volta dimesticamente con lui.
Finalmente, quanto a questa seconda considerazione, essendo santo Francesco molto indebolito del corpo, tra per l'astinenza grande e per le battaglie del demonio, volendo egli col cibo spirituale dell'anima confortare il corpo, cominciò a pensare della ismisurata gloria e gaudio de' beati di vita eterna; e sopra ciò incominciò a pregare Iddio che gli concedesse grazia d'assaggiare un poco di quello gaudio; e istando in questo pensiero, subito gli apparve un Agnolo con grandissimo isplendore, il quale avea una viola nella mano sinistra e lo archetto nella diritta, e stando santo Francesco tutto istupefatto nello aspetto di questo Agnolo, esso menò una volta l'archetto in su sopra la viola, e subitamente tanta soavità di melodia indolcì l'anima di santo Francesco e sospesela sì da ogni sentimento corporale, che, secondo che e' recitò poi alli compagni, egli dubitava, se lo Agnolo avesse tirato l'archetto in giù, che per intollerabile dolcezza l'anima si sarebbe partita dal corpo.
E questo è quanto alla seconda considerazione.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Della terza considerazione delle sacre sante Istimate
Giunto alla terza considerazione, cioè alla apparizione serafica e impressione delle sacre sante Istimate, è da considerare che, appressandosi alla festa della santissima Croce del mese di settembre, andò una notte frate Lione al luogo e all'ora usata per dire mattutino con santo Francesco; e dicendo da capo al ponte, com'egli era usato, "Domine, labia mea aperies", e santo Francesco non rispondendo, frate Lione non si tornò addietro, come santo Francesco gli avea comandato, ma con buona e santa intenzione passò il ponte ed entrò pianamente in cella sua, e non trovandolo, si pensò ch'e' fusse per la selva in qualche luogo in orazione. Di che egli esce fuori e al lume della luna il va cercando pianamente per la selva: e finalmente egli udì la voce di santo Francesco e, appressandosi, il vide stare ginocchioni in orazione con la faccia e con le mani levate al cielo, e in fervore di spirito sì dicea: "Chi se' tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?". E queste medesime parole pure ripetea, e non dicea niuna altra cosa. Per la qual cosa frate Leone forte maravigliandosi di ciò, levò gli occhi e guatò in cielo, e guatando sì vide venire dal cielo una fiaccola di fuoco bellissima e splendentissima, la quale discendendo si posò in capo di santo Francesco; e della detta fiamma udiva uscire voce, la quale parlava con santo Francesco, ma esso frate Lione non intendea le parole. Vedendo questo e riputandosi indegno di stare così presso a quello luogo santo dov'era quella mirabile apparizione e temendo ancora di offendere santo Francesco o di turbarlo dalla sua considerazione, s'egli da lui fossi sentito, sì si tirò pianamente addietro e, stando da lunge, aspettava di vedere il fine. E guardando fiso, vide santo Francesco stendere tre volte le mani alla fiamma e finalmente dopo grande ispazio, e' vide la fiamma ritornarsi in cielo. Di che egli si muove sicuro e allegro della visione e tornavasi alla cella sua.
Ed andandosen'egli sicuramente, santo Francesco sì lo ebbe sentito allo stropiccìo de' piedi di sopra le foglie e comandogli che lo aspettasse e non si movesse. Allora frate Lione obbidiente si stette fermo e aspettollo con tanta paura, che, secondo ch'egli poscia recitò alli compagni, in quel punto egli arebbe piuttosto voluto che la terra il tranghiottisse, che aspettare santo Francesco, il quale egli pensava essere contro a lui turbato; imperò che con somma diligenza egli si guardava d'offendere la sua paternità, acciò che per la sua colpa santo Francesco non lo privasse della sua compagnia. Giugnendo a lui dunque santo Francesco, domandollo: "Chi se' tu?". E frate Lione tutto tremando rispuose: "Io sono frate Lione, padre mio". E santo Francesco: "Perché venisti tu qua, frate pecorella? Non t'ho io detto che tu non mi vada osservando? Dimmi per santa obbidienza se tu vedesti o udisti nulla". Rispose frate Lione: "Padre, io t'udii parlare e dire più volte: Chi se' tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vermine vilissimo e disutile servo tuo?". E allora inginocchiandosi frate Lione dinanzi a santo Francesco, si rendette in colpa della sua disobbedienza ch'egli avea fatto contra al suo comandamento e chiesegli perdonanza con molte lagrime. E appresso lo pregò umilemente gli sponesse le parole ch'avea udite e dicessegli quelle ch'egli non aveva intese.
Allora, veggendo santo Francesco che Dio all'umile frate Lione per la sua semplicità e purità avea rivelato ovvero conceduto d'udire e di vedere alcune cose, sì gli condiscese a rivelargli e isporgli quello ch'egli gli domandava, e disse così: "Sappi, frate pecorella di Gesù Cristo, che quando io dicea quelle parole che tu udisti, allora mi erano mostrati all'anima mia due lumi, l'uno della notizia e conoscimento di me medesimo, l'altro della notizia e conoscimento del Creatore. Quando io dicea: Chi se' tu, o dolcissimo Iddio mio?, allora ero io in un lume di contemplazione, nel quale io vedea l'abisso della infinita bontà e sapienza e potenza di Dio; e quando io dicea: Che sono io?, io ero in lume di contemplazione, nel quale io vedea il profondo lagrimoso della mia viltà e miseria, e però dicea: Chi se' tu, Signore d'infinita bontà e sapienza e potenza, che degni di visitare me che sono un vile vermine e abbominevole? E in quella fiamma che tu vedesti era Iddio; il quale in quella ispezie mi parlava, siccome avea anticamente parlato a Moisè. E tra l'altre cose che mi disse, sì mi chiese che io gli facesse tre doni, ed io gli rispondea: "Signor mio, io sono tutto tuo, tu sai bene che io non ho altro che la tonica e la corda e li panni di gamba, e anche queste tre cose sono tue: che posso dunque io offerere o donare alla tua maestà?". Allora Iddio mi disse: "Cercati in grembo e offerami quello che tu vi truovi". Io vi cercai e trovai una palla d'oro, e sì l'offersi a Dio, e così feci tre volte secondo che Iddio tre volte mel comandò; e poi m'inginocchiai tre volte, e benedissi e ringraziai Iddio, il quale m'avea dato che offerere. Ed immantanente mi fu dato a intendere che quelle tre offerte significavano la santa obbidienza, l'altissima povertà e la splendidissima castità, le quali Iddio, per la sua grazia, m'ha conceduto d'osservare sì perfettamente che di nulla mi riprende la coscienza. E come tu mi vedevi mettere le mani in grembo ed offerire a Dio queste tre virtù, significate per quelle tre palle d'oro le quali Iddio m'avea posto in grembo; così m'ha donato Iddio virtù nell'anima mia, che di tutti i beni e di tutte le grazie che m'ha concedute per la sua santissima bontà, io sempre col cuore e con la bocca ne lo lodo e magnifico. Queste sono le parole le quali tu udisti al levare tre volte le mani che tu vedesti. Ma guardati, frate pecorella, che tu non mi vadi osservando, e tornati alla tua cella con la benedizione di Dio, e abbi di me sollecita cura, imperò che da qui a pochi dì Iddio farà sì grandi e sì maravigliose cose in su questo monte, che tutto il mondo se ne maraviglierà; però che e' farà alcune cose nuove, le quali egli non fece mai a veruna creatura in questo mondo".
E dette queste parole, si fece recare il libro de' Vangeli, però che Iddio gli avea messo nell'animo che nello aprire tre volte il libro de' Vangeli gli sarebbe dimostrato quello che a Dio piacea di fare di lui. E recato che gli fu il libro, santo Francesco si gittò in orazione, e compiuta l'orazione si fece tre volte aprire il libro per mano di frate Lione nel nome della santissima Trinità, e come piacque alla divina disposizione, in quelle tre volte sempre sì gli si parò innanzi la passione di Cristo. Per la qual cosa gli fu dato a intendere che così, come egli avea seguitato Cristo negli atti della sua vita, così lo dovea seguitare e a lui conformarsi nelle afflizioni e dolori della passione, prima che passasse di questa vita.
E da quel punto innanzi santo Francesco cominciò a gustare e sentire più abbondantemente la dolcezza della divina contemplazione e delle divine visitazioni. Tra le quali n'ebbe una immediata e preparativa alla impressione delle sacre sante Istimate, in questa forma. Il dì che va innanzi alla festa della santissima Croce del mese di settembre, istandosi santo Francesco in orazione segretamente nella cella sua, sì gli apparve l'Agnolo di Dio e dissegli dalla parte di Dio: "Io ti conforto e ammonisco che tu ti apparecchi e disponga umilemente con ogni pazienza a ricevere ciò che Iddio ti vorrà dare e in te fare". Risponde santo Francesco: "Io sono apparecchiato a sostenere pazientemente ogni cosa che il mio Signore sì mi vuole fare". E detto questo, l'Agnolo si partì.
Viene il dì seguente, cioè il dì della santissima Croce, e santo Francesco la mattina per tempo innanzi dì si gitta in orazione dinanzi all'uscio della sua cella, volgendo la faccia inverso l'oriente, e orava in questa forma: "O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell'anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione, la seconda si è ch'io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori". E stando lungamente in cotesto priego, sì intese che Iddio lo esaudirebbe e che, quanto e' fusse possibile a pura creatura, tanto gli sarebbe conceduto di sentire le predette cose in brieve.
Avendo santo Francesco questa promessa, comincia a contemplare divotissimamente la passione di Cristo e la sua infinita carità. E crescea tanto il fervore in lui della divozione, che tutto sì si trasformava in Gesù, e per amore e per compassione. E istando così infiammandosi in questa contemplazione, in quella medesima mattina e' vide venire dal cielo uno Serafino con sei ali risplendenti e affocate; il quale Serafino con veloce volare appressandosi a santo Francesco, sì ch'egli il potea discernere, e' conobbe chiaramente che avea in sé l'immagine d'uomo crocifisso, e le sue alie erano così disposte, che due alie si distendeano sopra il capo, due se ne distendeano a volare e l'altre due sì copriano tutto il corpo.
Veggendo questo, santo Francesco fu fortemente ispaventato e insieme fu pieno d'allegrezza e di dolore con ammirazione. Avea grandissima allegrezza del grazioso aspetto di Cristo, il quale gli apparia così dimesticamente e guatavalo così graziosamente: ma da altra parte veggendolo crocifisso in croce, aveva smisurato dolore di compassione. Appresso si maravigliava molto di così istupenda e disusata visione, sapendo bene che la infermità della passione non si confà colla immortalità dello ispirito serafico. E istando in questa ammirazione, gli fu rivelato da colui che gli apparia, che per divina provvidenza quella visione gli era mostrata in cotale forma, acciò ch'egli intendesse che, non per martirio corporale, ma per incendio mentale egli doveva essere tutto trasformato in nella espressa similitudine di Cristo crocifisso.
In questa apparizione mirabile tutto il monte della Vernia parea ch'ardesse di fiamma isplendidissima, la quale risplendeva e illuminava tutti li monti e le valli d'intorno, come se fusse il sole sopra la terra. Onde li pastori che vegliavano in quelle contrade, vedendo il monte infiammato e tanta luce d'intorno, sì ebbono grandissima paura, secondo ch'eglino poi narrarono a' frati, affermando che quella fiamma era durata sopra 'l Monte della Vernia per ispazio d'una ora e più. Similemente allo splendore di questo lume, il quale risplendeva negli alberghi della contrada per le finestre, certi mulattieri ch'andavano in Romagna si levarono suso, credendo che fusse levato il sole, e sellarono e caricarono le bestie loro e camminando sì vidono il detto lume cessare e levarsi il sole materiale.
E nella detta apparizione serafica Cristo, il quale apparia, sì parlò a santo Francesco certe cose secrete ed alte, le quali santo Francesco in vita sua non volle rivelare a persona, ma dopo la sua vita il rivelò, secondo che si dimostra più giù; e le parole furono queste: "Sai tu, disse Cristo, quello ch'io t'ho fatto? Io t'ho donato le Stimate che sono i segnali della mia passione, acciò che tu sia il mio gonfaloniere. E siccome io il dì della morte mia discesi al limbo, e tutte l'anime ch'io vi trovai ne trassi in virtù di queste mie Istimate; e così a te concedo ch'ogni anno, il dì della morte tua, tu vadi al purgatorio, e tutte l'anime de' tuoi tre Ordini, cioè Minori, Suore e Continenti, ed eziandio degli altri i quali saranno istati a te molto divoti, i quali tu vi troverai, tu ne tragga in virtù delle tue Istimate e menile alla gloria di paradiso, acciò che tu sia a me conforme nella morte, come tu se' nella vita".
Disparendo dunque questa visione mirabile, dopo grande spazio e segreto parlare, lasciò nel cuore di santo Francesco uno ardore eccessivo e fiamma d'amore divino, e nella sua carne lasciò una maravigliosa immagine ed orma delle passioni di Cristo. Onde immantanente nelle mani e ne' piedi di santo Francesco cominciarono ad apparire li segnali delli chiovi, in quel modo ch'egli avea allora veduto nel corpo di Gesù Cristo crocifisso, il quale gli era apparito in ispezie di Serafino; e così parevano le mani e li piedi chiovellati nel mezzo con chiovi, li cui capi erano nelle palme delle mani e nelle piante de' piedi fuori delle carni, e le loro punte riuscivano in sul dosso delle mani e de' piedi, in tanto che pareano rintorti e ribaditi, per modo che fra la ribaditura e torcitura loro, la quale riusciva tutta sopra la carne, agevolmente sì si sarebbe potuto mettere il dito della mano, a modo che 'n uno anello; e li capi de' chiovi sì erano tondi e neri. Similemente nel costato ritto apparve una immagine d'una ferita di lancia, non salda, rossa e sanguinosa, la quale poi spesse volte gittava sangue del santo petto di santo Francesco e insanguinavagli la tonica e li panni di gamba. Onde li compagni suoi, innanzi che da lui il sapessono, avvedendosi nientedimeno che egli non iscopria le mani né li piedi e che le piante dei piedi egli non potea porre in terra; appresso trovando sanguinosa la tonica e li panni di gamba, quando gliele lavavano, certamente compresono che egli nelle mani e ne' piedi e simigliantemente nel costato aveva espressamente impressa la immagine e similitudine del nostro Signore Gesù Cristo crocifisso.
E bene ch'assai s'ingegnasse di nascondere e di celare quelle sacrate Istimate gloriose, così chiaramente impresse nella carne sua, e da altra parte vedendo che male le potea celare alli compagni suoi famigliari, nientedimeno, temendo di pubblicare li segreti di Dio, fu posto in grande dubbio, s'e' dovesse rivelare la visione serafica e la impressione delle sacre sante Istimate o no. Finalmente, per istimolo di coscienza, chiamò a sé alquanti frati più suoi domestichi e proponendo loro il dubbio sotto parole generali, non esprimendo il fatto, sì chiese loro consiglio. Tra' quali frati era uno di grande santità, il quale avea nome frate Illuminato: costui veramente illuminato da Dio, comprendendo che santo Francesco dovesse aver vedute cose maravigliose, sì gli rispose così: "Frate Francesco, sappi che non per te solo, ma eziandio per gli altri, Iddio sì ti mostra alcuna volta li suoi sacramenti; e però tu hai ragionevolemente da temere che, se tu tieni celato quello che Iddio t'ha dimostrato per utilità altrui, tu non sia degno di riprensione". Allora santo Francesco, mosso per questa parola, con grandissimo timore riferì loro tutto il modo e la forma della sopraddetta visione, aggiugnendo che Cristo, il quale gli era apparito, gli aveva detto certe cose le quali egli non direbbe mai, mentre ch'egli vivesse.
E benché quelle piaghe santissime, in quanto gli erano impresse da Cristo, gli dessino al cuore grandissima allegrezza nientedimeno alla carne sua e alli sentimenti corporali gli davano intollerabile dolore. Di che costretto per necessità, egli elesse frate Leone, tra gli altri più semplice e più puro, al quale egli rivelò il tutto e quelle sante piaghe gli lasciava vedere e toccare e fasciare con alcune pezzuole, a mitigare il dolore e a ricevere il sangue che delle dette piaghe usciva e colava. Le quali fasciuole a tempo d'infermità egli si lasciava mutare ispesso, eziandio ognindì, eccetto che dal giovedì sera insino al sabato mattina, imperò che in quel tempo egli non volea che per veruno umano rimedio o medicina gli fusse punto mitigato il dolore della passione di Cristo, la quale portava nel suo corpo; nel quale tempo il nostro salvatore Gesù Cristo era istato per noi preso e crocifisso e morto e soppellito. Addivenne alcuna volta che, quando frate Lione gli mutava la fascia della piaga del costato, santo Francesco, per lo dolore che sentia in quello ispiccare della fascia sanguinosa, puose la mano al petto di frate Lione; per lo quale toccare di quelle sacrate mani, frate Lione sentia tanta dolcezza di divozione nel cuore suo, che poco meno e' cadea in terra tramortito.
E finalmente, quanto a questa terza considerazione avendo santo Francesco compiuta la quaresima di santo Michele Arcangiolo, si dispuose, per divina rivelazione, di tornare a Santa Maria degli Agnoli. Ond'egli chiama a sé frate Masseo e frate Agnolo, e dopo molte parole e santi ammaestramenti, sì raccomandò loro con ogni efficacia che e' potè quello monte santo, dicendo come a lui convenia insieme con frate Lione tornare a Santa Maria degli Agnoli. E detto questo, accomiatandosi da loro e benedicendoli nel nome di Gesù crocifisso, condescendendo a' loro prieghi, sì porse loro le sue santissime mani, adornate di quelle gloriose e sacre sante Istimate, a vedere e a toccare e a baciare. E così lasciandoli consolati, sì si partì da loro e iscese del santo monte.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.