Dopo la prima guerra gli equilibri economici furono trasformati e alle potenze europee si sostituirono nuove potenze come negli Stati Uniti e come Giappone che iniziarono ad acquisire il controllo soprattutto dei mercati asiatici sia di quelli dell'Asia centrale che dell'estremo Oriente e anche delle dei mercati dell'America latina. Nello stesso tempo l' Europa viveva un processo di profonda recessione è in cui la maggior parte degli Stati abbandonarono l'idea del libro scambio e sì sì chiusero sempre di più nelle loro economie nazionali Inoltre. L'Europa era un continente ormai frantumato dei suoi particolarismi e questo contribuì alla formazione anche di nuovi Stati di stati come appunto la Polonia, l'Ungheria e la Jugoslavia; stati però con lo scopo di isolare da un lato la Russia e dall'altro di danneggiare la Germania, quindi purtroppo concepiti come cuscinetto.
A fine guerra è un continente diviso in cui quell'economia liberista che aveva caratterizzato fine 800 e inizi 900 viene bruscamente interrotta e al suo posto gli stati si chiudono nelle loro economie cercando il sostegno dello stato. Aumenta l’inflazione e aumenta il tasso di disoccupazione soprattutto in Germania, lo Stato che esce chiaramente sconfitto dalla guerra e quindi uno stato in cui non solo l'inflazione aumenta ogni giorno di più, ma soprattutto è anche uno stato che accanto all'inflazione deve sostenere il grave peso delle altissime riparazioni economiche. Basti pensare che è appunto dopo la prima guerra mondiale a un certo punto il marco uscì da qualsiasi dal qualsiasi possibilità di controllo e il suo valore fu enormemente ridotto, arrivando a valere un milionesimo di quanto valeva prima dello scoppio della guerra e per fare solo un esempio un kg di burro valeva 5600 miliardi di Marchi: lo storico Della Peruta dice che i tedeschi andavano a fare la spesa con le valigie piene di banconote proprio perché il Marco non valeva più niente.
A questa crisi economica chiaramente si aggiunge una crisi istituzionale, una crisi politica che fa sì che la popolazione veda nella democrazia, nelle istituzioni democratiche e nelle istituzioni dello Stato liberale i veri responsabili di questa guerra e di questa crisi. In questo senso infatti abbiamo già anticipato come la Prima Guerra Mondiale fosse stata per molti aspetti incubatrice del Fascismo, proprio perché è a partire dalle conseguenze della prima guerra mondiale che lo Stato liberale entra veramente in crisi.
La politica cambia soprattutto aspetto: viene meno quella tradizione diciamo elitaria se vogliamo da un lato della politica, ma anche dall’altro lato la tradizione Parlamentare che aveva caratterizzato la politica nell'Ottocento. La politica è anche su un altro volto: innanzitutto i protagonisti della politica iniziano a diventare le masse, che assumono un ruolo sempre più importante (in questo senso quindi la politica diventa da un lato meno elitaria) ma non assume un'accezione più democratica perché proprio perché viene meno anche il ruolo del parlamento, in quanto prende sempre più il sopravvento il potere esecutivo.
La politica si esprime attraverso manifestazioni e marce, nuove forme espressive in cui maggiormente si identificano le masse. C’è allora una perdita di fiducia nel razionalismo illuminista e positivista, che aveva caratterizzato 700 e 800, quindi una perdita di fiducia nel progresso dell’occidente; vengono però esasperati i temi del decadentismo e dell’irrazionalismo, che coinvolgono anche l’ambito politico e si uniscono sempre di più al culto del sangue e della violenza. Si rinuncia all’idea di creazione di istituzioni internazionali capaci di controllare la situazione europea e di mantenere dei rapporti pacifici.
La situazione globale di crisi porta all’avvento di fascismo e nazismo perché diventa sempre più diffusa la necessità della reazione alla crisi attraverso uno stato forte, capace di compiere delle scelte. La guerra aveva contribuito rafforzando il peso dell’esecutivo, ponendo fine al dialogo tra società e stato.
Il 23 Marzo 1919 a Milano, si forma il movimento dei fasci di combattimento, guidato da Benito Mussolini. Presenta un programma, che inizialmente sembra avere analogie con quelli della sinistra: suffragio universale, riduzione della giornata lavorativa. Si tratta solo di una vicinanza verbale e opportunistica, perché sin da subito emerge come un movimento conservatore che vuole tutelare i ceti dirigenti, che ritiene l’imperialismo come la base di uno stato degno di tale nome. Inoltre ricorre sistematicamente alla violenza, che col tempo diventa organizzata e legata.
La reazione a questa crisi non fu solo a destra, ma anche chiaramente a sinistra e tra il 19 e 20 vi fu una vera e propria ondata di lotte operaie che portò anche all'occupazione in molte fabbriche che passò alla storia col nome di Biennio rosso.
Ad acuire questa crisi economica e politica contribuiranno sicuramente le trattative di pace perché da un lato i nazionalisti ritenevano che all’Italia spettasse di più di quanto stabilito dal Patto di Londra (volevano per esempio che ottenesse anche i territori dell'Albania e l’intera Dalmazia e non solo quella settentrionale e anche la città di Fiume). Wilson non era minimamente intenzionato ad accogliere queste richieste che riteneva essere delle richieste imperialistiche, molto lontane dagli ideali dei quattordici punti.
Ma soprattutto in realtà l'interesse di Wilson, Il presidente americano, era anche quello di rafforzare gli stati che erano nati dopo la prima guerra mondiale, perché avevano lo scopo di essere stati-cuscinetto, ovvero avevano la funzione di isolare la Russia, quindi erano molto importanti. Ad esempio lui riteneva che l’Istria spettasse alla Jugoslavia perché vi erano numerosi nuclei di popolazione di lingua slovena e croata.
Insomma quindi vi erano delle profonde divergenze tanto che le trattative furono complesse e la delegazione italiana ,guidata da Vittorio Emanuele Orlando (allora presidente del consiglio) e da Sonnino (ministro degli Esteri), abbandonò per protesta il tavolo delle trattative e in questo fu sostenuta non solo dalla popolazione ma anche dal Parlamento.
Le trattative si conclusero così: l'Italia ottenne il Trentino e l'Alto Adige fino al Brennero, non ottenne però le colonie tedesche (che furono spartite tra Francia e Inghilterra), ma riuscì ad ottenere però parte della flotta Mercantile austro ungarica e una quota delle riparazioni imposte alla Germania. La questione istriana e la questione dalmata rimasero irrisolte.
E’ chiaramente una pace deludente, che alimentò il mito della cosiddetta “Vittoria mutilata” e che due giorni dopo la conclusione delle trattative, ovvero il 12 settembre, portò Gabriele D'Annunzio, il poeta soldato, alla guida della marcia sul Fiume: è chiaramente un'iniziativa che sul piano dei rapporti internazionali contribuì a distruggere la reciproca fiducia tra gli stati e quindi peggiorò i rapporti dell'Italia con le altre potenze.
A Vittorio Emanuele Orlando successe Nitti: era un economista Lucano, un Democratico radicale, molto vicino ai socialisti, dei quali cercò l’appoggio sin da subito. Non appena divenne presidente condannò l’impresa di Fiume. Questa fu considerata una posizione di debolezza, rinunciataria nei confronti dei rapporti internazionali.
Nel 1919 alle elezioni, però il Partito Socialista ottenne degli ottimi risultati, anche se non riuscì a raggiungere quella maggioranza che gli avrebbe permesso di governare. I fascisti malgrado la diffusione che stava avendo il movimento, invece uscirono sconfitti. A perdere furono anche i liberali. I socialisti non avevano una maggioranza netta che avrebbe dato loro la possibilità di governare, ma soprattutto i socialisti si rifiutarono di collaborare con il governo borghese. Il primo fu Turati, che ritenne un suicidio anche solo la possibilità in quel momento di collaborare con un governo borghese. Questo irrigidimento massimalista dei socialisti fu accompagnato da una serie di tumulti e di scioperi. Di conseguenza Nitti a questo punto, criticato sia a destra che a sinistra, diede le dimissioni.
Giolitti, ormai 78enne gli succede e condusse il suo quinto e ultimo ministero durante il quale introdusse misure coraggiose, che come sempre cercavano di andare incontro alle esigenze di diversi gruppi politici. Ciò non fece diminuire i disordini sociali, anzi gli scioperi continuavano a dilagare e soprattutto l'occupazione delle Fabbriche. Quest’ultima era partita la firma dal sindacato dei metallurgici a Torino, che ispirandosi al gruppo comunista guidato da Antonio Gramsci, decise di trasformare la lotta sindacale e quindi oltre alle diciamo normali istanze che avevano caratterizzato le lotte operaie fino a quegli anni iniziarono a chiedere anche il riconoscimento degli organismi associativi, ossia dei consigli di fabbrica. Nel fare questo occuparono anche circa 300 fabbriche nella zona del Triangolo industriale.
Giolitti adottò la solita politica del lasciar fare e quindi si mantenne coerente con quanto aveva fatto anche in passato. In questa mancanza di presa di posizione da parte di Giolitti, dall'altro lato il Partito Socialista non aveva maggioranza tale che gli poteva permettere di governare autonomamente, rifiutò accordi con il governo liberale e però nello stesso tempo al suo interno era diviso. Ad aggravare la situazione fu la cosiddetta secessione dei comunisti: nel gennaio del 1921 a Livorno la minoranza di sinistra, guidata da Gramsci e Bordiga abbandonò Il Partito Socialista per fondare il Partito Comunista d'Italia. Seguirà anche quella dei riformisti con Turati, che diede vita al Partito Socialista Unitario. In pratica il vecchio Partito Socialista si divise in tre tronconi; chiaramente questo indebolì il partito, lasciando il fianco scoperto all’aggressione fascista.
Nel 1920 però Giolitti riuscì concludere la questione Fiumana firmando il Trattato di Rapallo con la Jugoslavia: per cui all'Italia venne riconosciuto il possesso di Trieste, di Gorizia, dell'Istria, della città di Zara e di alcune isole adriatiche; alla Jugoslavia venne riconosciuta la Dalmazia e Fiume fu dichiarata città libera, diventando solo poi nel 24 città italiana. Quindi in qualche modo Giolitti era riuscito a condurre a termine alcune trattative importanti.
Malgrado ciò la violenza squadrista stava dilagando e si esprimeva attraverso una serie di missioni punitive che colpivano in modo indiscriminato soprattutto cooperative, sindacati, sedi di giornali, sezioni Socialiste, circoli culturali. Questa violenza però era sostenuta dagli agrari e dagli industriali che vedevano nel fascismo uno strumento per combattere il socialismo. L'errore di molti fu quello di sottovalutare il fascismo, errore di valutazione dello stesso Giolitti. L’altro errore fu quello di renderlo sfruttabile, ovvero di potersene liberare appena sconfitti i socialisti.
Con la stessa leggerezza nelle elezioni del maggio del 21 sia i conservatori che i liberali consentirono e accettarono che accanto a loro si candidassero anche i fascisti, tanto che entrarono in parlamento 35 deputati fascisti. La motivazione rimaneva quella della lotta al socialismo.
Non solo si sottovalutò il movimento, ma anche quanto questi anni di crisi e violenza avessero creato nel paese una quantità di odio e di paura che era più che sufficiente per nutrire un movimento reazionario, il solo governo forte e autoritario che promettesse ordine e disciplina.
Gli organi di Stato o non intervenivano o intervenivano tardivamente e fiaccamente e quindi il silenzio da parte del dello Stato e l'accettazione contribuì all'ascesa del fascismo, oltre all'appoggio diretto dei reparti dell'esercito che spesso affiancavano le squadre fasciste, dell'alta finanza, del vaticno e del sovrano.
Vi furono due governi molto deboli, Bonomi e Facta, non in grado di intervenire in una situazione così complicata, in cui le violenze fasciste dilagavano e stavano iniziando ad organizzarsi e ad assumere, anche se può sembrare paradossale, proprio una forma legale, tanto che fu istituita proprio anche la milizia Nazionale. Quando il fascismo si sentì sufficientemente forte organizzò la marcia su Roma, il 28 ottobre 1922 Mussolini, insieme agli altri capi del partito, che costituivano il cosiddetto quadrumvirato (de bono, de vecchi, Bianchi, Balvo). A questo punto per la prima volta Facta prese in mano la situazione e decide di intervenire e di dichiarare lo Stato d'assedio, che doveva essere chiaramente ratificato dal sovrano, il quale, non solo si rifiuta di ratificarlo, ma dà anche a Mussolini l'incarico di formare il nuovo governo.
Il primo governo Mussolini fu così un governo di coalizione, perché non poteva abrogare subito istituzioni parlamentari, perché non aveva ancora sufficientemente forza e aveva il timore di non poter procedere in questa direzione che sarebbe stato di essere fermato in questo senso. Si rivelò subito un governo che difendeva gli interessi dei Ceti più abbienti, un governo conservatore.
Nel 1924 vi furono le ultime elezioni legittime, fu approvata una legge maggioritaria la legge acerbo è il cosiddetto il listone, presentato appunto da Mussolini raccolse il 65% di voti cioè 4 milioni e mezzo di voti, contro i 2 milioni e mezzo degli oppositori, che riuscirono a ottenere questi voti nonostante le violenze dei fascisti. Ecco quindi queste truffe furono denunciati dal leader del Partito Socialista Giacomo Matteotti, il quale chiese alla camera con un forte discorso di non convalidare queste elezioni che appunto erano avvenute legalmente, ma attraverso una serie di azioni assolutamente illegali. Matteotti fu rapito il 10 giugno e in pieno giorno a Roma ucciso a colpi di coltello e il suo corpo fu ritrovato soltanto il 16 agosto nei pressi della città. L'assassinio chiaramente scosse profondamente il paese e i deputati dell'opposizione abbandonarono l'aula di Montecitorio, gesto molto forte che ricordava le secessioni.
Il sovrano resta in assoluto silenzio, che chiaramente quel momento equivaleva ad un assenso. Il 3 gennaio del 1925 Mussolini in un discorso alla camera proclama di assumersi la piena responsabilità politica, morale e storica di quanto era accaduto e quindi annuncia di essere pronto a passare alle vie di fatto. In questo preciso momento inizio la dittatura fascista. Il Parlamento viene sospeso e i partiti vengono posti fuorilegge, tutte le libertà vengono vietate. I secessionisti alcuni di loro furono arrestati, alcuni furono aggrediti, in molti casi uccisi e diversi riuscirono a emigrare.
Patti lateranensi= trattato tra stato e chiesa, in cui lo stato risarcisce la chiesa e si correva una convenzione. Il concordato stabilisce l'alleanza fra stato e chiesa, facendo venir meno l'approccio laico e separatista
La dittatura fascista vede la sospensione del parlamento,lo scioglimento di tutti i partiti e i sindacati.
Il sistema lavorativo viene riorganizzato attraverso le corporazione, creando una divione nella società per ambiti lavorativi. Nel 27 viene emanata la carta del lavoro che ne stabilisce le normative.
All'inizio degli anni 30 diventa obbligatoria la tessera del partito fascista per esercitare professioni nell'amministrazione pubblica.
Il potere esecutivo emana legi attraerso referendum.
Al vertice dello stato c'è il gran consiglio del fascismo, portando alla condizione di coincidenza tra stato e partito, condizione per una dittatura totalitaria del 20esimo secolo. Stato e partito coincidono anche alla società. Gli individui devono essere inseriti in questo tutto, partendo dall'educazione dei giovani: opera nazionae balilla, poi gioventù itaiana del littorio; viene anche istituita l'opera nazionale del dopo lavoro, che organizzava anche il tempo libero degli individui.
Il consenso si crea con la violenza, tanto che le squadre fasciste si convertono in milizie nazionali (camice nere+il partito si definisce milizia della nazione), con i brogli, con la propaganda (per fare in modo che la gente si illudesse di volere davvero il fascismo, attraverso cinema, radio, cinema e televisione).
Battaglia del grano e bonifiche.
Mussolini vuole difendere gli interessi dei grandi industriali, dando vita all'IRI (Istituto Ricostruzione Industriale) che ha il compito di aiutare le aziende in crisi->ripresa dell'economia. La finalità non è propriamente assisenziale e sociale, ma è anche quella di poter controllare i grandi imprendtori, facendo in modo che e grandi aziende siano legate al partito in un rapporto biunivoco. Mussolini, nela seconda metà degli anni 20, mantiene un approccio liberista in ambito economico, cambiando idea solo dopo la crisi del 29 e in un discorso al senato dichiarando la fine dell'epoca del libero scambio->passaggio all'autarchia, ovvero idea dell'autosufficienza dell'Italia. Dal punto di vista agricolo e industriale c'è un progresso (aumento produttività), per cui gli italiani vivono un periodo di relativo benessere economico, per essere un paese appena uscito dalla guerra. Questo è però un benessere solo apparente, che nasconde una realà in cui nessuno ha più libertà.
PERCHE' IL FASCISMO SI AFFERMA IN ITALIA?
Salvatorelli, intelletuale che ritiene che l'anima del fascismo sia piccola-borghese, per questo è riuscito a ottenere tanti consensi: si tratta di un'anima costituita da un lato dalla componente anti-popolare reazionaria, dall'altro dall'anticapitalismo e pseudorivoluzionaria.
Gramsci esprime la sua visione anche nei suoi quaderni del carcere. Secondo lui il fascismo è espressione dei ceti dirigenti del grande capitale ed è anche il risultato dele divisione delle sinistre, che ha portato all'assenza di una vera opposizione.
Gobetti definisce il fascismo come l'insieme di tutte le malattie italiane, ovvero la retorica, il trasformismo e la demagogia. Storicamente il trasformismo deriva dalla mancata riforma religiosa del 16esimo secolo, quando la riforma protestante ha permesso agli altri stati europei di progredire, e l'Italia con la controriforma si avvia al declino. Il fascismo è sì una catastrofe, ma è qualcosa di più, è l'autobiografia della nazione, pertanto non si tratta di un'eccezione irripetibile, nonostante non rientri nella normalità, è normale arrivare al male che è banale, pertanto va combattuto.