La prima testimonianza ufficiale della presenza ebraica ad Ancona è testimoniata da un documento del 967 che riporta la cessione a un ebreo dimorante ad Ancona di unum spatium terrae. Ciononostante, non pochi autorevoli studiosi concordano nel ritenere ben più antica la presenza in loco di gruppi ebraici, organizzati o meno, addirittura dal VIII-VI secolo a.C.
Dalla fine del X secolo, quella della repubblica marinara marchigiana è stata una comunità seconda solo a quella romana (in particolare tra il XIV e il XIX secolo), grazie ai floridi commerci verso Oriente e alla relativa distanza dal centro del potere amministrativo-politico-religioso pontificio. La città portuale di Ancona, per ragioni economiche e strategiche crogiolo di popoli diversi, ospitò, con alterne vicende, due comunità che, per storia, origine religiosa e culturale, nei secoli furono una sorta di ‘cerniera’ tra Oriente e Occidente: quella ebraica e quella armena, quest’ultima numericamente più esigua. Simbolicamente, la fluidità salmastra dell'acqua può aver in parte contribuito a rimescolare ricchezze culturali specifiche, che hanno dato vita a contesti sociali originali.
<<Il Cinquecento, con le divisioni religiose provocate in Europa dalla Riforma protestante e con la vivace ripresa del proselitismo cattolico nel quadro della Controriforma, è secolo di rinascenti intolleranze, che lasciano ovunque assai poco spazio alle minoranze religiose. Gli Ebrei [...], resi debolissimi dalla dispersione in piccoli gruppi su quasi tutto il territorio europeo, subiscono forse i danni maggiori del nuovo clima spirituale. Scacciati tra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento dalla penisola iberica e dai possedimenti spagnoli in Italia, essi conoscono una nuova diaspora che ne rimescola e modifica profondamente gli insediamenti>>.
L'arrivo ad Ancona degli ebrei ispano-portoghesi assieme al confluire dei numerosissimi ‘criptoebrei’ -volgarmente noti, con intento dispregiativo, come ‘marrani’ (ossia quelle persone ebree originarie da Spagna e Portogallo che, a partire dal XV secolo, per circa duecento anni, forzatamente abbracciarono la religione cattolica per aver salva la vita - o per comunque mettere fine al patimento di continue discriminazioni- pur rimanendo intimamente fedeli ai dettami dell'ebraismo) - ravvivò ulteriormente i legami commerciali con l'Oriente e con la rete mediterranea delle altre comunità sefardite: Venezia, Corfù, Salonicco, Costantinopoli, Smirne. Ancor più, tra XVI e XIX secolo, furono strettissimi e strategici i legami tra la comunità ebraica di Ancona, porto da cui molti esuli ebrei ispano portoghesi si imbarcavano alla volta della “Terra di Promissione” e le comunità ebraiche dell’Alta Galilea (Safed e Tiberiade) e di Gerusalemme.
E’ arduo quantificare con precisione il numero dei componenti della Universitas Hebreorum, come si chiamava all’epoca la comunità ebraica, considerato che negli archivi notarili si ha quasi sempre unicamente menzione dei pochi ebrei facoltosi di Ancona, mentre della maggioranza della popolazione ebraica cittadina, che viveva in modeste condizioni e persino in grave indigenza, non ci sono molte memorie scritte. Ricchi o poveri che fossero, gli ebrei nell’Ancona Pontificia erano comunque tutti egualmente confinati nel ghetto -luogo dell’infamia, dell’esclusione e del dileggio-, così come dispose in tutta la cattolicità Papa Paolo IV, con la promulgazione della famigerata bolla papale ‘Cum Nimis Absurdum’ (1555).
Con la bolla di Papa Paolo IV si ordina agli ebrei non solo la reclusione nel ghetto ma anche la vendita delle merci, dei beni immobili e l’imposizione di un segno giallo sul cappello: nel 1447 un segno giallo sul petto era stato già imposto per un periodo agli uomini ebrei assieme ad orecchini a cerchi alle donne ebree.
Inoltre Paolo IV, a differenza dei suoi predecessori, ritiene valido il battesimo imposto agli ebrei portoghesi marrani, che finiscono nelle mani dell’Inquisizione: dei novanta arrestati 60 abiurano per avere salva la vita mentre 23 uomini ed 1 donna ebrei vengono bruciati nei roghi nel Campo della Mostra (oggi Piazza Malatesta) nel 1556.
Questi “giusti” sono ricordati ogni anno dalla Comunità Ebraica insieme alla Distruzione del Tempio di Gerusalemme.
Nel 1992 è stata posta una lapide in memoria dei roghi del 1556 in Piazza Malatesta.
La floridità della comunità ebraica anconetana dipese dunque sia dalle misure - ristrettive o concessive - messe in atto nei suoi riguardi dai Papi sia dalla situazione geopolitica adriatica e, ancor più, del Mediterraneo centro-orientale, da cui dipendevano i commerci e, dunque, le possibilità di sopravvivenza economica.
Tra il XVI e il XVIII secolo la comunità ebraica di Ancona fu certamente una delle più importanti e potenti esistenti al mondo e i suoi rabbini furono tra le autorità rabbiniche più autorevoli e determinanti dell’epoca.
Inoltre la nutrita presenza ebraica determinò nei secoli un radicale mutamento economico e sociale nella città dorica, incluse le modificazioni edilizie e urbanistiche per l’area di residenza coatta del ghetto, che fu il più grande dello Stato Pontificio.
Dopo secoli, i portoni del ghetto vennero definitivamente abbattuti nel 1831 e nel 1848. Al rifacimento della città in età unitaria, corrispose l’abbattimento di parte del ghetto e lo smantellamento (o la ricollocazione) delle sinagoghe. Potendo godere dei diritti e delle libertà concesse anche a loro da parte dello Statuto Albertino (1848), molti ebrei abbandonarono progressivamente, con il trascorrere delle decadi, il ghetto per vivere altrove in città, convivendo a pieno titolo con gli altri loro concittadini.
L’identificazione illusoria, successiva all’emancipazione, tra gli ebrei anconetani e le sorti d’Italia è ben rappresentata dal libero tributo di numerosi chili di antichi argenti liturgici offerti come ‘oro alla Patria’ dal rabbino capo della città H. Rosenberg successivamente alla guerra italo-abissina nel 1935. Nel 1938 furono emanate le leggi razziali, con tutto quello che ne conseguì, sino ai drammi della Seconda Guerra Mondiale e della Shoah, che anche qui fece le sue vittime.