La libertà è qualcosa che si sente nell’aria. Quando manca, finiamo dentro ad una bolla, fragile ma pronta ad esplodere. Una condizione che il coronavirus ci ha fatto vivere in parte. Ci siamo trovati all’improvviso costretti a non poterci abbracciare, baciare, stringere la mano per strada; privati dei gesti più comuni e spesso automatici, quelli che quando sono consentiti, a volte non ci accorgiamo nemmeno di fare. La crisi COVID-19 è iniziata alla fine del 2019 e si è diffusa nel mondo all'inizio del 2020.Il controllo della pandemia di COVID-19 si è rivelato particolarmente difficile nelle fasi iniziali, prima che fossero disponibili i vaccini. Le prove scientifiche dimostrano che i paesi con una maggiore capacità di limitare la mobilità e alcune libertà essenziali sono stati inizialmente più efficaci nel contrastare il progresso del virus. In molti Paesi occidentali, invece, l'istituzione di coprifuoco, lockdown e varie forme di stato di emergenza/allarme sono state percepite come un attacco a uno dei diritti fondamentali dei cittadini, la libertà. Società con punteggi più alti nell'indice di democrazia EIU, che di solito hanno raggiunto le loro libertà storiche molti decenni fa, sembrano esitare a rinunciare a troppa sovranità personale per controllare una crisi sanitaria, anche se il risultato è un aumento della sopravvivenza complessiva della popolazione. Ciò pone un dilemma etico riguardo alla libertà individuale che sostituisce la responsabilità sociale di minimizzare l'impatto di una malattia trasmissibile. Il paradosso è che, a lungo andare, la perdita temporanea della libertà può garantire una maggiore libertà personale rispetto a un'estrema conservazione dei diritti individuali, determinando così un maggiore vantaggio sociale. Nel caso del COVID-19 si è visto che la gestione della libertà individuale ha presentato un nuovo punto di squilibrio per le democrazie occidentali, molte delle quali sono arrivate alla pandemia già in difficoltà a causa dei continui movimenti sociali che rivendicano maggiore trasparenza.
Oltre all’emergenza causata dal Coronavirus, attualmente ci sono molte libertà ancora negate. Esistono alcuni Paesi, come gli Emirati Arabi Uniti, la Malesia ma anche un Comune del liberissimo Messico, dove baciarsi in pubblico è proibito, con o senza coronavirus. Ne esistono altri, come l’Iran e l’Arabia Saudita, dove le donne non possono uscire senza indossare il velo islamico. In altri, invece, è vietato ballare. Tutti gesti «spontanei» che però non sono concessi in diverse zone del mondo. Le persone in 64 paesi hanno registrato un deterioramento dei loro diritti politici e delle libertà civili. Solo in 37 si sono registrati dei miglioramenti. In cima alla classifica c’è la Svezia, che si conferma il Paese più libero del mondo, il peggiore, ad oggi, resta la Siria. Le libertà negate sono tantissime e hanno diversi pesi. Una delle più pesanti è quella di amare chi si vuole: sono ancora almeno 70 i Paesi in cui l’omosessualità è illegale. Uno degli esempi più eclatanti degli ultimi tempi è l’Ungheria di Viktor Orban, il quale ha deciso con la “legge sulla protezione dei bambini" di negare la propaganda LGBTQ+. Egli ha adottato una legge omofobica e transfobica nel giugno 2021, vietando l’accesso ai minori di 18 anni a materiale che promuove o ritrae "la divergenza dall'auto-identità corrispondente al sesso alla nascita ... o omosessualità". La nuova legge ha violato i diritti alla libertà di espressione, alla non discriminazione e all'istruzione. La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l'Ungheria in luglio.
Inoltre, è negata ancora troppo spesso la libertà di abortire per le donne, lo vieta la legge per esempio a Malta e ne ostacolano la libertà i moltissimi obiettori di coscienza (in Italia si stima che siano il 70%) presenti nelle strutture sanitarie.Se da una parte la libertà è in pericolo, e noi con lei, dall’altra la società civile non resta a guardare. Gli ultimi anni sono stati quelli delle proteste. Come quelle delle donne iraniane scese in strada senza velo, rivendicando il diritto di vestirsi come vogliono o di quelle polacche che hanno gridato per affermare la loro volontà di scegliere se diventare madri oppure no.
Nel 2000 il Parlamento europeo, la Commissione europea e il Consiglio hanno pubblicato la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.Si tratta di un documento che sancisce i diritti e le libertà fondamentali riconosciuti dall'Unione europea.I diritti fondamentali enunciati nella Carta, tra i quali la libertà, sono diventati giuridicamente vincolanti per l'UE e per gli Stati membri in sede di attuazione del diritto dell'UE.
Il trattato prevede inoltre che l'Unione europea aderisca alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e stabilisce l'obbligo di: rispettare i diritti fondamentali all'interno dell'Unione europea promuovere e consolidare i diritti umani nell'azione esterna dell'UE.
Il Consiglio assicura che, nell'elaborazione della legislazione e delle azioni dell'UE, si tenga conto dei diritti fondamentali. Si adopera inoltre per la promozione dei diritti umani nelle relazioni con i paesi terzi e le istituzioni internazionali, nonché nella negoziazione di accordi internazionali.In aggiunta, la promozione dei diritti umani è anche di per sé una priorità. Il piano d'azione per i diritti umani e la democrazia, adottato nel novembre 2020 per il periodo 2020-2024, costituisce il riferimento orientativo per i lavori dell'UE in questo settore.
Nonostante tutti gli atti di protezione e tutela della libertà, il Democracy Index che ogni anno misura lo stato della democrazia in 167 Paesi, quest’anno ha rilevato solo 22 Paesi nel mondo classificabili come “democrazie complete”. La classificazione avviene attraverso alcune macro categorie e ogni macro categoria, alla fine, riceve un punteggio da zero a dieci e in base alla media dei voti ottenuta si stila la classifica. I risultati dell’indice vengono poi utilizzati per posizionare i Paesi in uno dei 4 tipi di regime democratico: “democrazia piena” (punteggio superiore a 8), “democrazia imperfetta” (tra 6 e 8), “regime ibrido” (tra 4 e 6) e “regime autoritario” (4 punti o inferiore). Democrazie complete (punteggio di 8-10): sono nazioni dove le libertà civili e politiche di base non solo sono rispettate, ma anche rinforzate da una cultura politica che contribuisce alla prosperità dei principi democratici. Queste nazioni hanno un valido sistema di pesi e contrappesi di governo, una magistratura indipendente le cui decisioni vengono imposte, governi che funzionano in maniera adeguata e media che sono diversificati e indipendenti. Queste nazioni hanno problemi limitati nell’ingranaggio democratico. In classifica troviamo Norvegia (9.87), Islanda (9.58) e Svezia (9.39). Se guardiamo al numero della popolazione mondiale, appena il 5,7 % vive in questi 22 Paesi. Il 35,6% invece appartiene a Stati considerati autoritari tra cui per fare un esempio la Russia. L’altra brutta notizia è che il valore medio dell’indice tra tutti i 167 Stati è la più bassa dal 2006, anno in cui la Intelligence Unit ha cominciato a raccogliere i dati.