Stivor

Diario di bordo 

Siamo partiti di buon’ora lunedì 17 aprile: la giornata è stata interamente occupata dal viaggio che ci ha portato ad attraversare l’Italia del Nord, da Trento fino a Trieste e da lì in Slovenia, Croazia e quindi, finalmente, in Bosnia-Erzegovina. Dopo qualche sosta siamo arrivati al nostro hotel nei pressi di Prnjavor, piccolo centro urbano a metà strada tra Banja Luka e Derventa. Prnjavor è chiamata Mala Evropa, ossia “Piccola Europa” per via del suo alto numero di minoranze etniche che convivono in un clima di pace e tolleranza. In questa cittadina il 2 luglio viene celebrato ormai da qualche anno il Festival Nazionale delle minoranze, istituito per la prima volta nel 2009, un momento in cui tutte le minoranze che vivono nell’area di Prnjavor, insieme a delegazioni provenienti dai Paesi originari, presentano attraverso una serie di eventi la loro ricca storia culturale e gastronomica . Il nostro viaggio è stato piacevole, anche se un po’ lungo, ma è servito per socializzare di più tra noi compagni di classe e anche con i ragazzi delle altre classi che viaggiavano con noi. 

Il giorno seguente ci siamo svegliati presto e, dopo un viaggio di circa due ore , siamo arrivati alla nostra prima tappa: Štivor, un piccolo villaggio di circa 150 case e con 400 abitanti che si trova nei boschi della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, nel centro del paese. È stato significativo visitare questo piccolo paesino che vanta origini trentine: non possiede un vero e proprio centro storico, ma è costituito da un insieme di case unifamiliari, una vicina all’altra, lungo la strada principale. Sorge in una zona abbastanza isolata ma ci tiene a mantenere uno stretto collegamento con il territorio d’origine, cioè il Trentino. Quasi tutti gli abitanti possiedono il passaporto italiano ( il 92% della popolazione è di origine trentina), nella scuola vicina si studia anche l’italiano, molti leggono giornali in italiano e qualche anziano percepisce una pensione proveniente dall’Italia. A Štivor si sente ancora forte l’esigenza di salvaguardare l’identità culturale italiana e di mantenere vivi i legami con la terra d’origine. Per anni i matrimoni sono stati contratti esclusivamente tra appartenenti a famiglie trentine e solo recentemente ci sono state unioni con abitanti dei villaggi vicini. La storia di Štivor risale al 1882, quando un gruppo di abitanti della Valsugana, a causa di una terribile inondazione che ha devastato quella valle, emigra in Bosnia, una regione allora appartenente all’Impero Austro-Ungarico. Sono gli anni delle grandi migrazioni. Gli abitanti di Štivor legano la loro storia a quella della BosniaErzegovina. E questa storia è segnata anche dalle guerre a partire dalla prima guerra mondiale, con il conseguente passaggio del Trentino all’Italia, seguita dalla seconda guerra mondiale (quando agli abitanti è data la possibilità di scegliere la cittadinanza italiana e quindi di rientrare in patria) fino all’ultimo conflitto, quella jugoslavo. Oggi Štivor è un paese dove vivono molte persone anziane che parlano ancora un po’ del dialetto trentino; il paese si ripopola durante il periodo primaverile-estivo e molta gente conosce la lingua italiana, grazie soprattutto al continuo va e vieni di persone emigrate in epoca recente in Italia. Ogni anno, inoltre, in occasione della Pasqua arriva a Štivor un pullman dalla Valsugana. I contatti tra la comunità italiana di Štivor e l’Italia si erano persi durante la prima guerra mondiale e sono stati riallacciati grazie soprattutto all’intervento della scrittrice trentina Sandra Frizzera. Nell’estate del 1972, infatti, la scrittrice organizzò un viaggio in Bosnia-Erzegovina alla ricerca della comunità italiana di Štivor, appoggiata dall'Associazione Trentini nel Mondo, un incontro che ha emozionato tantissimo e ha permesso a quegli italiani di riallacciare i rapporti con la loro madrepatria. 

Durante la nostra visita abbiamo potuto visitare la piccola chiesa, dove abbiamo osservato un affresco piuttosto singolare, al cui centro campeggia un crocifisso circondato da una forte luce. A destra si vedono, sullo sfondo, le montagne trentine mentre in primo piano sono raffigurate delle persone rappresentanti le vecchie generazioni che pregano; a sinistra invece, dei ragazzi giocano in mezzo alle campagne di Štivor. Abbiamo visitato anche il cimitero, che ospita le tombe di molte persone con cognome valsuganotto. Ci ha fatto da guida Franjo, un abitante di Štivor, rappresentante locale dell’Associazione Trentini nel Mondo, che si esprimeva con un mix di dialetto trentino e serbo, abbastanza difficile da comprendere per chi come noi non è abituato ad esprimersi in dialetto. Dopo una giornata a Štivor siamo ripartiti con il pullman e ci siamo diretti a Srebrenica. Qui a piccoli gruppi abbiamo pernottato presso famiglie del luogo, soprattutto in famiglie che avevano perso un familiare durante il conflitto nella ex Jugoslavia e, in particolar modo, durante la strage di Srebrenica, quando tra l’11 e il 12 luglio 1995, nei boschi dei dintorni della città, circa ottomila uomini e ragazzi musulmani bosniaci sono stati uccisi e sepolti in fosse comuni, altri deportati, mentre donne e ragazze sono state vittime di violenze. Tutto ciò in un cittadina che era zona protetta dall’ONU, ma dove i caschi blu hanno assistito impotenti a questo genocidio, perché non erano autorizzati ad intervenire (su questo aspetto, comunque, ancora oggi ci sono dubbi e critiche). Al nostro arrivo nelle famiglie ci è stata offerta una merenda mentre ascoltavamo le storie delle famiglie 

Come ultime curiosità citiamo il fatto che a Štivor si festeggia ogni anno il Carnevale, tradizione tipicamente italiana che richiama l’interesse e la curiosità di tutta la comunità nazionale

L’unico luogo ricreativo presente in paese è il “Bar Trentino”, che si distingue per il tricolore esposto all’esterno con la scritta TRENTINO. 

Interviste

Nel cuore dei Balcani c’è uno sperduto villaggio con piccole case basse dai tetti rossi, bene ordinate lungo la strada. Il suo nome è Štivor, trecento anime appena, un paesino come tanti se non fosse per una particolarità: gli abitanti sono tutti trentini. L’apice del sentimento italiano si trova al Bar Trentino, che ricorda una piccola osteria della Valsugana. Lì è possibile mangiare i piatti tipici delle zone di origine degli abitanti e indossare i costumi tradizionali; il proprietario è italiano.

Durante il nostro viaggio abbiamo intervistato alcuni abitanti di questo bellissimo paesino, tra cui: 

Regina Montibeller: Regina è una signora la cui famiglia è originaria di Roncegno. Regina è nata e ha trascorso gran parte della sua vita a Štivor. I suoi figli, come molti giovani del posto, hanno deciso di cercare lavoro altrove. Regina parla l'italiano e il dialetto trentino, ma ha imparato la sua lingua dai suoi genitori poiché a Štivor non ci sono mai state scuole italiane e la maggior parte delle persone parla il dialetto trentino. Nonostante la presenza di soli anziani a Štivor, Regina ama molto il suo paese e ne apprezza la bellezza e la tranquillità. Non racconta di difficoltà o disagi particolari, ma con malinconia spiega che molti giovani sono andati a lavorare altrove, lasciando la comunità più anziana. Regina ha una grande famiglia composta da tre figli, sette nipotini e sette pronipoti. Una delle sue figlie si è sposata con un trentino e ora vive in Italia con la sua famiglia. Regina ha anche la responsabilità di custodire le chiavi della chiesa di Štivor. La guerra non ha causato grandi problemi a Štivor, che è rimasta al riparo dalle violenze e dalla distruzione che, invece, hanno colpito molte altre città e paesi durante quel periodo. Regina ci ha anche parlato della festa del Carnevale a Štivor, una celebrazione molto importante per la comunità locale. Tuttavia, negli ultimi anni, la partecipazione alla festa è diminuita e sempre meno persone vi prendono parte. Regina ci ha anche fatto conoscere i piatti tipici trentini che lei ama cucinare, come lo strudel, la polenta e i canederli. Questi sono piatti tradizionali della zona che hanno un sapore unico e sono molto apprezzati dalla comunità locale. In generale, Regina è una donna molto legata alle sue radici e alla sua cultura, e si dedica con passione alla conservazione delle tradizioni locali. 

Paolo Andreatta: Il signor Paolo Andreatta ha 75 anni ed è nato a Štivor; insieme alla moglie Giuseppina vive ancora nella sua casa d'infanzia, procurandosi tutto quello di cui ha bisogno per vivere. Trascorre, infatti, le giornate tra la campagna che possiede e il grande giardino che circonda tutta la sua proprietà, coltivando l’orto, curando le vigne della sua campagna, facendo il vino, andando a tagliare la legna nel bosco e preparandola tagliata a pezzi per l’inverno. Ci ha raccontato la sua giornata tipo da pensionato, come gli piace definirsi: si sveglia alle 7:15, si fa il caffè, mangia un paio di brioches, prende le sue pastiglie e poi va a lavorare nel campo. Fino a pochi anni fa possedeva anche dei maiali con la cui carne faceva carne secca, salami, pancetta ma ora tra i frequenti viaggi in Italia e l’età gli manca il tempo. I figli non vivono in Bosnia-Erzegovina ma sono emigrati in Italia per cercare lavoro e per questo, per Paolo, i giorni preferiti nel paese sono quelli delle feste, come la Pasqua e il Natale e le ferie di agosto, quanto tutta la sua famiglia viene a Štivor a trovare lui e la moglie. Questo è anche il momento in cui il figlio lo aiuta con i lavori di casa e lui si può riposare. Paolo ha una cugina che abita in Australia e ogni sei mesi torna in BosniaErzegovina a fargli visita. La moglie Giuseppina, come lui, è originaria di Roncegno ed entrambi parlano trentino, serbo e croato (perché Paolo ha vissuto per trent’anni in Croazia). 

Pietro: L’ultima persona che abbiamo intervistato brevemente a Štivor ci ha raccontato di essere, in realtà, residente a Borgo Valsugana. Con lui abbiamo discusso della situazione del paese e dei suoi figli. Ci ha spiegato che Štivor è un paesino che si sta via via spopolando, salvo una piccola presenza di persone anziane. Il problema, dice l'intervistato, è che non c’è lavoro, di conseguenza i figli di queste famiglie tendono a emigrare per cercare di lavoro oppure sono emigrate in passato per scappare dalla guerra. Molti sono andati a cercare lavoro in Trentino, ma anche in Svizzera e in altre parti d’Italia. Pietro ci ha spiegato che è difficile ripopolare il paese prendendo l’esempio dei suoi figli che, una volta emigrati, hanno formato a loro volta una famiglia e i loro figli si sono radicati nei luoghi in cui sono nati e vissuti, quindi sarebbe impensabile riportarli in un luogo come Štivor, dove di ragazzi di quell’età ce ne sono pochi. Nonostante ciò, ci ha raccontato che i suoi figli vengono spesso con lui a Štivor, dove ancora vive la moglie, per esempio in occasione di festività come la Pasqua. Pietro ci ha raccontato che conosce molte lingue, come il russo, il tedesco e l’ucraino. Ci ha, infine, mostrato una zucca di 4 anni fa, tenuta in ottime condizioni, con una forma a spirale, che tiene nel suo grande giardino a scopo decorativo. 

Scritture intimistiche

A cura di Sofia Scandaglia

Dopo un lungo, ma piacevole tragitto in autobus, ci siamo ritrovati a Štivor, la nostra prima tappa di un viaggio itinerante in un paese per me mai visitato prima, la Bosnia-Erzegovina. La prima impressione è stata quella di un posto isolato, immerso nella campagna verdeggiante, con le casette bianche distribuite ai lati dell’unica strada da noi percorsa, poco abitata ma con un qualcosa di familiare. Era impossibile non notare quella casa a due piani, per metà in legno e per metà bianca, sul cui balcone era esposta la bandiera italiana con la scritta TRENTINO. Era familiare anche la parlata delle persone del posto con cui ci siamo intrattenuti a chiacchierare: la loro lingua era la nostra, a volte accompagnata da un accento tipicamente trentino. È gente accogliente, desiderosa di raccontare la propria storia, nata lì da genitori o parenti trentini, ma che non ha mai dimenticato le proprie origini, anzi le difende orgogliosamente mostrando a chi arriva i colori della “propria” bandiera. Abbiamo dapprima visitato la loro chiesa, tipicamente cattolica, con i segni dei colpi di mortaio sulle pareti, a ricordare che lì la guerra non ha risparmiato nemmeno un luogo sacro. L’unica eccezione è quell’immagine della Madonna sull’altare, rimasta indenne. Grazie a questo piccolo miracolo, gli abitanti considerano la chiesa un posto speciale. Successivamente ci siamo recati presso il piccolo cimitero del paese, le cui lapidi avevano impressi nomi italiani privi di lettere doppie… il tutto è stato così suggestivo da lasciare nella mente dei ricordi emozionanti. Terminata la passeggiata per Štivor, siamo risaliti sull’autobus per ripartire verso una nuova meta. Man mano che ci allontanavamo, il mio sguardo era rivolto all’indietro a ricordare quei posti e quegli sguardi sorridenti, che ci hanno fatto capire che, nonostante alcune volte si è costretti a lasciare la propria terra, la si può ricreare da un’altra parte senza mai perdere le proprie radici 

A cura di Ettore Ceresi 

On April 17th we started our school trip to Bosnia, which was an amazing opportunity to get to know a cruel reality that happened not far from us. Before we started this trip we had to participate in a conference that had the goal to prepare us on an emotional level but also on the history of the country. We first visited Stivor, a small village with only a few inhabitants, who were all originally from Trento. It’s very unusual to drive so many hours to reach a very distant place but then end up surrounded by people coming from your same city. Unfortunately, we weren't very lucky with the weather, the sun wasn’t shining and it had stopped raining just a few hours before we came. Hearing our guide presenting the history of the village and having a chat with the local people at "Trentino's" bar was enough for us to get an idea of how life is in the village. I must admit that, even if we were warmly welcomed, I could feel a sort of melancholy, further explained by the empty houses, the absence of young people, and the many cemeteries around us. After we drank something and exchanged some final words with the locals we were ready to reach our next destination: Srebrenica 

Srebrenica is a small village on the shores of a river in the middle of the mountains. This city was, in my opinion, the most impactful one: so many abandoned houses with gun holes in the walls, numerous stray dogs, and only one bar. We didn’t waste time and immediately went out to have a walk through the abandoned houses of Srebrenica. It was very hard to fully understand a place where so many cruel events took place and feel comfortable walking around its streets. After the walk we went for dinner in two rooms, specially prepared for us, then, we went to the only bar in the village which was called ‘42’. In this bar, we had the opportunity to meet the younger generation living in Srebrenica, and I have to admit that they really impressed me… They were so happy, smiling, and willing to chat with us... it even seemed unreal! How could they be so cheerful after having witnessed so many sad and negative events? From them and from their stories I learnt that you can still find happiness despite the past sad events that you have experienced in life. 

Even if we stayed there for only two days, I felt a strong bond with those people and we spent a very nice evening together, dancing and talking a lot. 

The rest of the journey was carried out in a more touristic way. We saw all the mosques, squares, and tourist attractions. I especially liked seeing the famous cultural fusion that characterizes Sarajevo’s streets. I also really enjoyed the museum and the memorial victim’s cemetery with its impressive number of white columns (which were actually graves) one next to the other. 

Overall, it’s been a great school trip and I feel grateful for having learnt so many new things. Even if it's not emotionally easy, I would definitely recommend visiting Bosnia and exploring its culture