Mostar

Diario di bordo

Dopo esserci svegliati di buon'ora e aver fatto colazione nella sala dell’albergo Saraj, abbiamo preparato i bagagli e siamo partiti alla volta di Mostar. Ci attendeva così un viaggio di circa 3 ore, che ci avrebbe condotto in una delle città simbolo della guerra di Bosnia, che fu soggetta a bombardamenti e ad un assedio lungo nove mesi da parte delle truppe federali jugoslave.

Una volta arrivati ci siamo subito recati all'hotel 4 stelle che ci avrebbe ospitato, il Kriva Cuprija. Dopo aver lasciato i bagagli abbiamo pranzato all’aperto gustando una prelibatezza tipica del posto, il cevapcici, una panino farcito con salsicce di manzo e agnello, e per non farci mancare nulla abbiamo concluso con un baklava. 


Ci siamo rinfrescati e abbiamo riposato per circa un’ora, dopodichè abbiamo incontrato Adi, la guida che ci avrebbe condotti alla visita della parte est di Mostar, quella musulmana. Proprio Adi infatti ci ha spiegato che i croati (cattolici) dopo aver respinto assieme ai bosniaci (musulmani) l’assedio serbo, puntarono le armi contro questi ultimi. La maggior parte della popolazione musulmana venne così confinata e isolata nella parte est della città, collegata a quella ovest grazie allo Stari Most, l’unico ponte rimasto in piedi. Il conflitto tra croati e bosniaci musulmani rimane presente ancora oggi ed è testimoniato dalla creazione di servizi pubblici duplicati e differenziati per i due popoli, come poste, scuole, servizi commerciali, pompieri e ospedali. La prima parte della visita si è concentrata proprio sullo Stari Most, ricostruito nel 2004, dopo il suo crollo nel 9 novembre del 1993 a causa degli attacchi dell’artiglieria croata. 


In seguito ci siamo spostati nel quartiere dell’artigianato, dove venivano realizzati macina pepe, caffè, servizi da tè e molto altro, tutto in ottone, rame o argento. Infine ci siamo recati alla Moschea di Nesuh-Aga Vucjakovic, che fu per gran parte distrutta durante il conflitto croato-bosniaco, per poi essere ricostruita solo nel 2010. Il suo harem fu aperto, ampliato e trasformato in un cimitero dedicato ai martiri della guerra. In seguito ci è stato concesso di visitare liberamente, per un’ora circa, la zona della città vecchia per poi rincontrarsi e tornare in hotel per la cena. Infine abbiamo fatto un giro per la città accompagnati dai professori.  


Scritture intimistiche

Il nostro viaggio giunge al termine con una visita a Mostar, una graziosa cittadina ricca di storia e tradizioni. Il nome della città deriva dal celebre “ponte vecchio”, lo Stari Most, e dalle torri sulle due rive, i mostari, ossia i custodi del ponte.


Fin da subito rimaniamo colpiti dal clima mite della città, perché, pur non trovandosi sulla riva del mare, presenta delle temperature molto alte. Veniamo accolti da una guida locale, Adi, che ci accompagna attraverso i suoi romantici vicoletti medievali, caratterizzati da piccoli negozi di artigianato tradizionale. Grazie ad Adi veniamo a conoscenza della storia affascinante di questa città, tramite il racconto delle sfide che essa ha affrontato e delle sue diverse influenze culturali. Ci lasciamo trasportare dalle parole della guida, mentre la storia si anima davanti ai nostri occhi.


Una volta raggiunto il ponte abbiamo la possibilità di ammirarne la maestosità e l’importanza simbolica. La guida ci racconta di come questo luogo sia stato testimone di momenti di divisione e distruzione, ma allo stesso tempo anche di resilienza e di unione. In questo modo ci rendiamo conto dell'importanza di preservare e valorizzare il patrimonio culturale di Mostar.


Successivamente la guida ci ha condotti al cimitero nel centro storico di Mostar, un luogo silenzioso e solenne, in cui però riecheggiano le voci di decine di testimoni della triste storia della città. Ci ha spiegato che il cimitero documenta le numerose tragedie che hanno avuto luogo durante la guerra. Innumerevoli vite sono state spezzate e questo è diventato il luogo di riposo finale per molte di loro. Mentre ascoltavamo le parole della guida, abbiamo sentito un senso di profonda tristezza pervadere l’aria. Abbiamo preso un momento per sostare davanti alle tombe, lasciando che le loro storie ci toccassero profondamente. Abbiamo reso omaggio a quelle vite spezzate e abbiamo pregato per una pace duratura.


Questa esperienza a Mostar ci ha insegnato l’importanza di ricordare il passato e di trarre insegnamenti dalle tragedie che sono accadute. Abbiamo compreso che anche di fronte all’oscurità più profonda, la luce può ancora giungere e la speranza può riaffiorare anche nei momenti più difficili. 

Il racconto di Adi

Prima di lasciarci, Adi ci ha regalato una bellissima testimonianza della sua esperienza durante la guerra.

Nessuno della mia famiglia ha perso la vita. Sono nato esattamente dietro la Chiesa Francescana, proprio su questo viale, che era la linea del fuoco. La casa è stata distrutta ma, per fortuna, nessuno della mia famiglia ha perso la vita. Non sono stato volontario, mi hanno mobilitato nel giugno 1992 ed ero membro dell’esercito locale croato HVO. In questa prima fase della guerra croati e bosniaci combattevano insieme contro i serbi, poi quando sono scappato (io non avrei pensato di rimanere cinque anni in Italia), dopo un mese è scoppiata la guerra tra croati e bosniaci. Non potevo tornare e sparare a mio cugino, era pazzesco per me, e così sono rimasto in Italia fino alla fine della guerra, diciamo fino al 2000. Nel 2000 sono tornato qua, ecco cinque anni dopo la fine della guerra.

Io dico che prima della guerra c’è sempre stata un'atmosfera di guerra perché un anno prima della guerra di Bosnia è scoppiata la guerra in Croazia. Ricordo che siamo sempre stati uno stesso paese, la Federazione jugoslava, e io non potevo credere che la guerra sarebbe scoppiata anche a Mostar, dove tutti siamo amici, tutti siamo per noi,  non era importante, noi andavamo a festeggiare le

feste cattoliche sotto quella collina, quella dove c'è quella croce c’era un vecchio quartiere, una

volta c’era una casa cristiana e una casa musulmana, i vicini cristiani andavano a casa dai loro vicini musulmani - parlo prima della guerra -  ad augurare buon Bairam, la festa musulmana, sempre il secondo giorno perché il primo giorno è riservato alla famiglia. I vicini musulmani andavano a casa dei loro vicini cristiani ad augurare buon  Natale e buona Pasqua, sempre il giorno.

Purtroppo durante la guerra tanti sono morti, così adesso devono passare anni per arrivare al livello di convivenza di una volta.

 

Fino all'anno scorso a Mostar ci sono stati ancora 150 circa matrimoni misti, non tanti come prima, ma vuol dire che l’amore non conosce le frontiere. Secondo me è un grande sbaglio perché adesso i ragazzi sono divisi a scuola, ci sono scuole dove vanno insieme, ma ci sono materie nazionali. “Materie nazionali” vuol dire lingua, vuol dire storia, ognuno ha la sua storia, la sua religione. E si dividono perché qui da noi, in merito alla guerra, esistono tre verità: la verità dei croati, la verità dei serbi e la verità dei bosniaci. Tutti e tre si giurano che la loro versione è quella vera. E questo significa numero dei morti, numero dei profughi, numero dei dispersi. Dopo la guerra l’ONU ha istituito una commissione internazionale con rappresentanti di tutte e tre le nostre etnie e hanno contato tutti i morti in tutto il paese, si parla di una cifra di un po' meno di 100.000 morti, ci sono circa ancora 7.000 dispersi perché non sono state trovate tutte le fosse comuni oppure sono state trovate le ossa ma si deve ancora fare il test del DNA per sapere a chi appartengono. Ma durante la guerra, qualche anno dopo la guerra il numero di morti andava fino a 200-250.000 anche 300.000, per cui 100.000 morti.  

 

E, niente, dico un grande sbaglio perché i ragazzi sono divisi. Certo ci sono, diciamo, c'è una società giovanile - qui a Mostar, c'è anche un centro di musica che porta il nome “Luciano Pavarotti”, grazie ai famosi concerti a Modena per i bambini della guerra negli anni 1990. Il Centro è a pochi metri da qui, doveva venire proprio Luciano a inaugurare l’apertura, Luciano e Bono degli U2, ma era già malato e non è potuto venire. Mi pare tre anni dopo la sua morte è venuta sua moglie per prendere un premio postumo che hanno assegnato a Luciano. In questo centro c’è una scuola di rock, una “Rock School” e vanno tutti i ragazzi: croati, serbi, bosniaci. Poi c'è anche una organizzazione giovanile che organizza concerti di artisti che non sono molto famosi, di tutte e tre le etnie.

Purtroppo la politica nel nostro paese è una cosa molto complicata. Negli ultimi 30 anni hanno governato partiti nazionalisti. Non sono dell’estrema destra come durante la guerra, sono un po' più

moderati, verso il centro, ma prima delle elezioni si sentono sempre gli stessi discorsi: “Noi dobbiamo essere uniti, dobbiamo essere attenti che si creino minoranze”, perché in tutto il paese i bosniaci sono circa il 50%, i serbi il 30% e i croati sono circa il 17-18%, e poi gli altri sono ebrei, Rom, albanesi ecc. come minoranza nazionale.

Così qui non si può andare avanti senzail federalismo. Prima della guerra eravamo quattro milioni e mezzo, adesso invece siamo circa 2 milioni e mezzo in tutto il paese, come una grande città in Italia.

Abbiamo più di 200 ministri, abbiamo 14 governi, il nostro federalismo è una macchina burocratica che mangia troppi soldi.  

Spero che queste nuove generazioni dimentichino, perché questa guerra è stata una continuazione della Seconda guerra mondiale, perché anche durante la Seconda guerra mondiale c'erano stragi tra le etnie.

 

Grazie mille.