Confirmatio extra causam

(Pro Archia, 12-13; 16; 19; 23; 26)


[12] Quaeres a nobis, Gratti, cur tanto opere hoc homine delectemur. Quia suppeditat nobis ubi et animus ex hoc forensi strepitu reficiatur, et aures convicio defessae conquiescant. An tu existimas aut suppetere nobis posse quod cotidie dicamus in tanta varietate rerum, nisi animos nostros doctrina excolamus; aut ferre animos tantam posse contentionem, nisi eos doctrina eadem relaxemus1? Ego vero fateor me his studiis esse deditum: ceteros pudeat, si qui se ita litteris abdiderunt ut nihil possint ex eis neque ad communem adferre fructum, neque in aspectum lucemque proferre2; me autem quid pudeat, qui tot annos ita vivo, iudices, ut a nullius umquam me tempore aut commodo aut otium meum abstraxerit, aut voluptas avocarit, aut denique somnus retardarit?






[13] Qua re quis tandem me reprehendat, aut quis mihi iure suscenseat, si, quantum ceteris ad suas res obeundas3, quantum ad festos dies ludorum celebrandos, quantum ad alias voluptates et ad ipsam requiem animi et corporis conceditur temporum, quantum alii tribuunt tempestivis conviviis, quantum denique alveolo, quantum pilae, tantum mihi egomet ad haec studia recolenda sumpsero? Atque id eo mihi concedendum est magis, quod ex his studiis haec quoque crescit oratio et facultas; quae, quantacumque est in me, numquam amicorum periculis defuit. Quae si cui levior videtur, illa quidem certe, quae summa sunt, ex quo fonte hauriam sentio.



[16] [...] Quod si non hic tantus fructus4 ostenderetur, et si ex his studiis delectatio sola peteretur, tamen, ut opinor5, hanc animi remissionem humanissimam ac liberalissimam iudicaretis. Nam ceterae6 neque temporum sunt neque aetatum omnium neque locorum7: at haec studia adulescentiam acuunt, senectutem oblectant, secundas res ornant, adversis perfugium ac solacium praebent, delectant domi, non impediunt8 foris, pernoctant nobiscum, peregrinantur, rusticantur.




[19] Sit igitur, iudices, sanctum apud vos, humanissimos homines, hoc poetae nomen, quod nulla umquam barbaria9 violavit. Saxa et solitudines10 voci respondent, bestiae saepe immanes cantu flectuntur atque consistunt; nos instituti rebus optimis non poetarum voce moveamur? Homerum Colophonii civem esse dicunt suum, Chii suum vindicant, Salaminii repetunt, Smyrnaei vero suum11 esse confirmant itaque etiam delubrum eius in oppido dedicaverunt, permulti alii praeterea pugnant12 inter se atque contendunt13.




[23] Nam si quis minorem gloriae fructum putat ex Graecis versibus percipi quam ex Latinis, vehementer errat, propterea quod Graeca leguntur in omnibus fere gentibus, Latina suis finibus, exiguis sane, continentur. Qua re si res eae quas gessimus orbis terrae regionibus definiuntur, cupere debemus, quo hominum nostrum tela pervenerint, eodem gloriam famamque14 penetrare, quod cum ipsis populis de quorum rebus scribitur haec ampla15 sunt, tum eis certe qui de vita gloriae causa dimicant hoc maximum et periculorum incitamentum est et laborum16.



[26] Neque enim est hoc dissimulandum quod obscurari non potest, sed prae nobis ferendum17: trahimur omnes studio laudis, et optimus quisque maxime gloria ducitur. Ipsi illi philosophi, etiam in eis libellis quos de contemnenda gloria scribunt, nomen suum inscribunt18; in eo ipso, in quo praedicationem nobilitatemque despiciunt, praedicari de se ac nominari volunt.


(12) Tu ci domanderai, Grattio, per quale motivo quest'uomo ci è tanto caro: ma perchè ci offre un'oasi di pace in cui lo spirito può ricrearsi da questo frastuono del foro e le orecchie, affaticate dallo schiamazzo dei litiganti, possono trovare un po' di pace. O tu ritieni, invece, che potremmo avere a nostra disposizione la materia per i discorsi che ogni giorno dobbiamo, in questioni tanto diverse, pronunciare, se non affinassimo l'animo con lo studio delle lettere, oppure che il nostro spirito potrebbe resistere a una sì forte e continua tensione, se non si rilassasse attraverso il suddetto studio? Quanto a me, lo confesso apertamente, a questo genere di studi mi dedico con passione; quanto agli altri senta pure vergogna chiunque se ne sta tanto sprofondato negli studi letterari da non saper ricavarne nulla che torni utile alla collettività né pubblicare i frutti del proprio lavoro ponendoli davanti agli occhi di tutti perché se ne giovino; ma di cosa dovrei vergognarmi io che ho da tanti anni impostato la mia vita in tal modo che, signori giurati, ogni volta che s'è trattato di difendere qualcuno in un processo, penale o civile che fosse, non ne sono mai stato né distolto dal desiderio di quiete né distratto da qualche piacere né infine attardato dal bisogno di dormire?


(13) Di conseguenza, chi mai potrebbe biasimarmi o chi avrebbe il diritto di prendersela con me se tutte quelle ore che gli altri dedicano alla cura dei propri affari, alla celebrazione dei giorni di festa in occasione dei pubblici spettacoli, ad altri piaceri ed anche solo al riposo spirituale e fisico; se quelle ore che gli altri dedicano ai banchetti prolungati, al gioco dei dadi o della palla, io, per parte mia, me le sarò prese tutte per tornare a coltivare questi studi? E questa concessione io me la merito ancora di più in quanto questi studi alimentano e incrementano pure la mia capacità di oratore che, piccolo o grande che sia, non ha mai abbandonato i miei amici in pericolo; e se pure a taluno essa sembra ben misera cosa, c'è certamente dell'altro, e di altissima importanza, e la fonte cui l'attingo la conosco bene.


(16) Se poi non si mostrasse tanto evidente questo grande vantaggio e se si cercasse da questi studi solo il piacere, tuttavia, a mio parere, dovreste giudicare questa occupazione dello spirito come la più degna di un vero uomo e di un libero cittadino. Infatti le altre non si addicono a tutte le circostanze né a tutte le età né a tutti i luoghi; sono di stimolo per i giovani, costituiscono un godimento per i vecchi, rendono più belli i momenti felici, offrono rifugio e conforto in quelli dolorosi, in casa danno gioia, fuori non sono d'impaccio, passano le notti in veglia con noi, ci accompagnano nei viaggi, trascorrono con noi la villeggiatura.


(19) Sia dunque sacro davanti a voi, o giudici, che meritate pienamente il nome di uomini, questo nome di poeta che nessun popolo barbaro ha mai profanato. Le montagne e i deserti riecheggiano la voce umana, le bestie feroci non di rado vengono rese mansuete dal canto del poeta e si fermano; e noi, che abbiamo ricevuto una raffinata educazione culturale, potremmo non sentirci commossi dalla poesia? Colofone afferma che Omero é suo cittadino, Chio lo rivendica come suo, Salamina lo pretende; Smirne a sua volta garantisce che appartiene ad essa e gli ha addirittura dedicato un tempietto in città, molti altri se lo disputano vicendevolmente e se lo contendono.


(23) Se infatti si ritene che dalla poesia greca si ricavi una minore resa in gloria che da quella latina, si sbaglia di grosso, giacché la poesia greca è letta in quasi tutti i paesi, quella latina è limitata ai propri limitati confini. Perciò, se le imprese che abbiamo compiuto hanno per limiti i confini stessi del mondo, dobbiamo desiderare che, dove sono giunte le armi dei nostri uomini, là riesca a penetrare la fama della nostra gloria, sia perché queste opere arrecano onore agli stessi popoli delle cui gesta si scrive, sia perché questo è certamente il maggiore stimolo ad affrontare i pericoli e le fatiche per coloro che mettono a repentaglio la vita per amore della gloria.


(26) Non va poi dissimulato un fatto che non può essere tenuto nell'ombra ma si deve dichiarare apertamente: tutti siamo attratti dal desiderio di lode e ognuno, quanto più vale, tanto più è attratto dal desiderio di gloria. Quegli stessi filosofi, appongono il proprio nome in quei libretti che scrivono sul disprezzo della gloria; in quello stesso libro in cui stigmatizzano celebrità e gloria, vogliono poi autocelebrarsi e autocitarsi.

1. Pluralis maiestatis con il quale Cicerone si riferisce a tutti gli oratori.

2. Questo è uno dei punti di maggiore interesse dell'orazione; è una polemica che vuole colpire il disinteresse degli intellettuali e dei letterati nei confronti dello Stato.

3. Obire: con valore transitivo e significato di "sostenere", "intraprendere".

4. Sott. "che essi offrono".

5. Lett. "come penso".

6. Sott. "occupazioni".

7. Temporum, aetatum e locorum: genitivi di pertinenza.

8. Non impediunt: litote.

9. Barbaria: metonimia (astratto per il concreto).

10. Saxa...solitudines: allitterazione di s.

11. Suum: iterazione.

12. Permulti...praeterea pugnant: allitterazione di p.

13. Pugnant e contendunt: duplicatio che si può rendere con "se lo disputano vicendevolmente e contendono" oppure con un'endiadi "se lo disputano con accanita contesa".

14. Gloriam famamque: endiadi.

15. Amplus: con significato di "splendido","onorevole".

16. Pericolorum e laborum: genitivi oggettivi.

17 Lett. "porre dinanzi a sé".

18. Scribunt...inscribunt: figura etimologica.

Analisi

La confirmatio extra causam, che si estende dal paragrafo 12 al 30, si risolve in un'esaltazione delle lettere e della poesia, intesa come piacere personale e come forza civilizzatrice per il suo incitamento alla virtù e alla gloria.

Il paragrafo 12 si apre con un'apostrofe a Grattio e con l'utilizzo del pluralis maiestatis, frequente in questi periodi, con il quale Cicerone vuole riferirsi, in generale, a tutti gli oratori; inoltre il paragrafo contiene un intervento nelle discussioni letterarie sviluppatesi a Roma, un'aspra polemica che va al di là del fatto puramente letterario che vuole colpire il disinteresse degli intellettuali e letterati nei confronti dello Stato, il venir meno ai propri doveri di cittadino rinchiudendosi in un distaccato particolarismo.

Nel paragrafo seguente l'autore ribadisce l'utilità degli studi letterari, adatti a tutte le epoche e a tutte le età, tanto alle circostanze felici quanto alle dolorose, ai momenti di svago o a quelli di veglia. Esso si apre con un periodo ipotetico le cui apodosi, coordinate tra loro ("si non hic tantus fructus ostenderetur", "si ex his studiis delectatio sola peteretur") sono seguite dalla protasi "hanc animi remissionem humanissimam ac liberalissimam iudicaretis", introdotta da "tamen". Per l'uso dei tempi al congiuntivo imperfetto, si deduce che il periodo ipotetico è del 3° tipo, o della irrealtà. Il periodo successivo é diviso in due blocchi separati dal punto e virgola e posti in relazione avversativa dalla congiunzione coordinante "at"; il primo blocco è costituito da una proposizione principale che ha come soggetto sottinteso "le occupazioni" e in cui si osserva l'uso del genitivo di pertinenza ("temporum", "aetatum", "locorum"). Nel secondo blocco, invece, si hanno brevi proposizioni, coordinate per asindeto, di cui sei ordinate per significato in coppie antitetiche ("haec studia adulescentiam acuunt", "senectutem oblectant", "secundas res ornant", "adversis perfugium ac solacium praebent", "delectant domi", "non impediunt foris") e seguite da tre verbi, "pernoctant", "peregrinantur" e "rusticantur".

Si giunge poi alla celebrazione della potenza della voce poetica nel passo 19 ricordando il sommo poeta Omero: Cicerone inizia con un'esortazione rivolta ai giudici a ritenere sacro il nome del poeta che nessun popolo barbaro ha mai profanato. Si noti l'uso, piuttosto raro in latino, dell'astratto ("barbaria") al posto del concreto, delle frequenti allitterazioni nei periodi successivi (della s- in "Saxa...solitudines" e della p- in "permulti praeterea pugnant") che rendono il tutto pervaso da una certa musicalità, dell'iterazione del possessivo "suum" ("eius" è riferito ad Omero) e della duplicatio costituita dai verbi "pugnant" e "contendunt". A seconda dell'interpretazione, i verbi possono essere resi con un'endiadi, in questo modo: "se lo disputano con accanita contesa".

Poiché Archia scrive in greco e qualcuno potrebbe obiettare che non è idoneo a celebrare e immortalare la gloria di Roma, Cicerone, nel paragrafo 23, come argomento a favore, utilizza la diffusione della lingua greca rispetto al latino, limitato in ambiente italico; il particolarismo che ancora predomina nella cultura latina contrasta con la visione universale propria dell'imperialismo romano, a cui l'oratore fa riferimento con "debemus cupere, quo hominum nostrorum tela pervenerint, eodem gloriam famamque penetrare".

Nel passo 26 Cicerone introduce uno dei morivi della difesa del poeta: il proposito di Archia di scrivere un'opera a celebrazione del suo consolato. La parola del poeta supera i confini del tempo e dello spazio e dona la certezza dell'immortalità alle imprese celebrate e a chi le ha sostenute: come afferma l'autore "tutti siamo attratti dal desiderio di lode e quanto più una persona ha dei meriti, tanto più è attirato dalla gloria". I verbi "trahimur" e "ducitur" rispettivamente all'inizio e alla fine del periodo sono in posizione chiastica rispetto ai sostantivi che fungono loro da soggetto. Si noti inoltre la figura etimologica "scribunt...inscribunt" e l'espressione "de contemnenda gloria", con la consueta predilezione del concreto rispetto al sostantivo astratto.

CICERONE.m4v