Le Filippiche sono l’ultima produzione oratoria di Cicerone; sono state composte tra il 44 a.C. e il 43 a.C. nell'intento di contrastare il tentativo di Antonio di imporsi come erede di Cesare, e quindi come continuatore della sua politica, e appoggiare invece Ottaviano.
A noi sono pervenute soltanto 14 orazioni, ricche di invettive durissime rivolte ad Antonio, definito anche “uomo da nulla”. Alcuni discorsi furono pronunciati in Senato, altri di fronte al popolo e altri ancora furono diffusi solo per iscritto . La seconda fu la più violenta di tutte: Cicerone fece finta di pronunciarla di fronte ad Antonio durante una seduta in Senato a cui in realtà non partecipò. Nell’ultima orazione definì Marco Antonio ”l'infimo di tutti i briganti”.
Quello delle Filippiche è uno stile oratorio purificato, caratterizzato da frasi nette, semplici e abbastanza brevi.
Nell’antichità erano chiamate Antonianae, ma successivamente il titolo divenne Philippicae per l’accostamento, fatto da Cicerone stesso in una lettera a Bruto, alle celeberrime orazioni di Demostene contro Filippo di Macedonia; le orazioni di Cicerone si avvicinavano ad esse per vigore, impeto polemico e ardore appassionato dell’oratore.
Le Filippiche furono "mortali" per Cicerone, in quanto, in seguito alla formazione del secondo triumvirato, l'oratore venne inserito nelle liste di proscrizione di Marco Antonio e ucciso a Formia nel dicembre del 43 a.C.
Prima di iniziare l'orazione Cicerone espose le ragioni della propria recente assenza da Roma e del motivo del suo ritorno: dalla prima convocazione del Senato (17 marzo 44 a.C.) successiva alla morte di Cesare, egli si era adoperato per la pacificazione civile e in quell'occasione Marco Antonio si era mostrato disponibile a cercare la pace e un accordo con il Senato, ma il primo giugno regnò il disordine in una seduta e i senatori vennero messi da parte. Preferendo non assistere a tale situazione, Cicerone partì per la Grecia, deciso a tornare a Roma entro il primo gennaio, data per la quale era fissata una convocazione del Senato. In Grecia alcune persone giunte da Roma gli mostrarono il testo di un discorso di Antonio che aumentò la sua speranza sul fatto che egli si sottomettesse all'autorità del Senato e decise quindi di tornare in città.
Cicerone arrivò a Roma il 31 agosto, ma non partecipò, a causa della stanchezza del viaggio, alla seduta del Senato del primo settembre, dove Antonio pronunciò un'invettiva contro di lui minacciando addirittura di far demolire la sua casa.
Nella prima Filippica, pronunciata in una seduta successiva del Senato, l'oratore, oltre ad offendere Marco Antonio e a contrastarlo, in seguito all'affermazione di quest'ultimo di voler modificare alcune leggi e crearne di nuove (per esempio, un provvedimento per consentire ai condannati per violenza di potersi appellare al popolo), ribadì che le leggi emanate da Cesare erano del tutto valide e si augurò che quelle da lui proposte (concessione di cittadinanza, condoni fiscali, ecc.) venissero approvate, in quanto le cose più importanti per lo Stato, secondo lui, erano la concordia e l'ordine pubblico. Affermò inoltre che se lo Stato fosse stato nelle mani di Marco Antonio, le decisioni sarebbero state imposte con la forza e non assunte per mezzo delle leggi.
Cicerone in questa Filippica fece uso di grande diplomazia: ad ogni attacco ai suoi avversari fece corrispondere un elogio della loro vita e del loro passato. Affermò che Antonio e Dolabella non aspiravano al potere dittatoriale o a illeciti guadagni, ma soltanto alla gloria. La gloria, per l'oratore, è conseguenza dell'approvazione, del consenso, del plauso dei concittadini per le azioni giuste e buone che vengono compiute: quindi, Antonio e Dolabella non avevano compreso quale fosse la via che portava ad essa e confondevano il consenso con il potere e l'essere amati con l'essere temuti.
La prima orazione si conclude con la seguente minaccia: "Perché Marco Antonio, dopo aver reso tanti preziosi servizi allo Stato, aspira a prendere il potere con la violenza? La sua nota onestà esclude che si tratti di avidità, la sua fermezza nega che possa essere stato influenzato da parenti ed amici, dunque è solamente in errore e per comprendere da che parte sia la giustizia deve riflettere sui molti segnali che il popolo ha lanciato dopo la morte di Cesare, sui lunghi applausi alla statua di Pompeo durante i giochi e gli spettacoli teatrali, e si renda conto che un popolo che con questi segnali esprime un preciso giudizio può certamente maturare una decisione sul suo futuro."