Dietro le quinte
Rubrica di Cinema e Teatro
Rubrica di Cinema e Teatro
Natale in casa Cupiello
A Natale, tra presepi, pranzi interminabili e discussioni familiari che “tanto finiscono”, c’è un’opera che sembra raccontare tutto questo meglio di qualsiasi altra: Natale in casa Cupiello di Eduardo de Filippo.
Scritta inizialmente come atto unico nel 1931 e rappresentata per la prima volta nello stesso anno a Napoli, poi ampliata fino a diventare uno dei capolavori del teatro napoletano. Il suo successo si rafforzò grazie alla celebre versione RAI del 1977, diretta e interpretata dallo stesso Eduardo.
A dimostrazione della sua incredibile attualità, nel 2024 Vincenzo Salemme ha riportato l’opera in scena, confermando che anche ai giorni d’oggi questa commedia ha un tema attuale.
Fuori da Napoli Natale in casa Cupiello è meno conosciuta come opera, soprattutto per la lingua: il napoletano, ma a parte questo, l’opera affronta problemi che in realtà sono universali.
La storia ruota attorno a Luca Cupiello, padre di famiglia ingenuo , completamente immerso nella costruzione del suo presepe, a cui dedica più attenzione che ai problemi di casa. Intorno a lui, però, la situazione è tutt’altro che serena, infatti, la moglie Concetta cerca di tenere insieme una famiglia che si sta separando, il figlio Tommasino detesta il presepe e lo dice espressamente “Te piace ‘o presepe” - “No!”, mentre la figlia Ninuccia è intrappolata in un matrimonio infelice ed è innamorata di un altro uomo.
Tutti sperano che dopo le feste la situazione possa migliorare.
Il tono cambia però nel finale, Luca si ammala gravemente e viene costretto a rimanere a letto. Ninuccia ha lasciato il marito ed è fuggita con l’uomo che ama e la famiglia è definitivamente divisa.
Per non spezzare il cuore a Luca, Concetta e gli altri scelgono di mentirgli, facendogli credere che Ninuccia sia tornata dal marito e che tutto si sia finalmente sistemato. È una bugia che potremmo definire “bianca” detta per amore e non per cattiveria. Luca, rasserenato, sorride e, prima di morire, fa ancora una volta la domanda che attraversa tutta l’opera: “Te piace ’o presepe?”. Questa volta la risposta è “Sì”. Non perché sia vero, ma perché è ciò di cui Luca ha bisogno di sentire.
In Natale in casa Cupiello il presepe non è solo una tradizione natalizia, ma il simbolo di un mondo rassicurante che Luca usa per nascondersi da una realtà più dura. Eduardo ci fa ridere fino all’ultimo, ma dietro le risate riconosciamo le nostre famiglie, le nostre bugie “pietose” e il nostro bisogno di credere, almeno a Natale, che tutto possa andare bene.
di Elena Rossi
Una poltrona per due
Il Natale in Italia non inizia con l’8 dicembre, non inizia con l’albero e nemmeno con il primo panettone: il Natale inizia quando in TV parte Una poltrona per due. È una legge non scritta, un cult, qualcosa che va avanti puntualmente ogni 24 dicembre dal 2012, preciso come un parente che chiede “Allora, che farai dopo la scuola?”.
Anche se lo conosciamo a memoria, restiamo lì, seduti sul divano…o sulla poltrona, a guardarlo come se fosse la prima volta. Non importa se dura quasi due ore, non importa se lo conosciamo scena per scena: si guarda. Punto.
Il film, di cui il titolo originale è Tranding Places, uscito nel 1983 è una commedia perfetta diretta da John Landis, che già sapeva come far ridere con Animal House, The Blues Brothers…
Landis dirige il film come se fosse un grande esperimento sociale mascherato da risata continua, tutto è come una grande partita a scacchi…solo che le pedine sono esseri umani.
Ci troviamo in una Philadelphia invernale governata dal capitalismo, in cui i veri “registi” della storia sono i fratelli Duke, due anziani e ricchissimi uomini d’affari che, invece di godersi la pensione e giocare a carte, muovono i personaggi, cambiano le regole e si divertono osservando tutto dall’alto.
I due decidono di fare una scommessa assurda: dimostrare che una persona è ciò che è solo grazie all’ambiente in cui vive. Per farlo, prendono due esseri umani e li scambiano come fossero pedine su una scacchiera. In pratica si domandando: possiamo rovinare due vite per noia? Spoiler: sì, e anche con grande eleganza.
Da una parte c’è Louis Winthorpe III interpretato da Dan Aykroyd, ricco, elegante, perfetto, con un maggiordomo che lo chiama “signore” anche quando starnutisce: un uomo che possiede tutto e perde tutto con una precisione matematica. Dall’altra parte c’è Billy Ray Valentine interpretato da Eddie Murphy, un imbroglione di strada, sveglio, furbo e con una risata che ancora oggi riecheggia nelle case italiane: AHAHAHAH!
Da qui parte una catena di disastri, equivoci e situazioni sempre più assurde. Louis perde tutto nel giro di pochi giorni e scopre che essere poveri non è esattamente una passeggiata natalizia. Billy Ray, invece, passa da dormire per strada a mangiare salmone e bere champagne, dimostrando che l’eleganza si può anche imparare. Nel mezzo ci sono travestimenti improbabili, vendette, treni, scambi di valigette e battute che ormai anticipiamo prima ancora che vengano dette.
Il bello di Una poltrona per due è che riesce a far ridere anche quando sai esattamente cosa sta per succedere, sappiamo già chi vince, sappiamo già chi perde, sappiamo già come finisce, eppure ridiamo lo stesso. Ridiamo di Eddie Murphy che prende in giro tutti con la massima naturalezza possibile, ridiamo di Dan Aykroyd che tocca il fondo in modo tragicomico, ridiamo dei fratelli Duke che incarnano l’avidità più pura, capaci di distruggere vite per una scommessa…volete sapere da quanto? Volete sapere quanto vale rovinare la vita di due persone per puro divertimento? Vi immaginereste milioni e milioni di soldi…no: 1 dollaro.
E sotto tutte queste risate si nasconde il significato del film, infatti, Una poltrona per due ci racconta che il successo spesso non è meritato, che il sistema premia chi è già in alto e schiaccia chi cade, è una satira feroce sul capitalismo, sulle disuguaglianze sociali. Però il tutto viene trasmesso facendo ridere, perché ridere è il modo migliore per dire cose serie senza rovinare la Vigilia. Ed è proprio per questo motivo che Una poltrona per due lo guardiamo ogni anno. Perché fa ridere, perché è diventato una tradizione e perché a Natale ci piace vedere un film in cui i cattivi perdono e i buoni vincono. E mentre qualcuno in casa dice “Ma lo fanno sempre!”, parte la risata di Eddie Murphy e sappiamo che sì, anche quest’anno il Natale può iniziare.
“Buon Natale, signor Winthorpe!”
di Elena Rossi
Avete presente quella sensazione quando arriva il Natale e tutti sembrano improvvisamente più buoni, più gentili, più… natalizi? Ecco, Il Canto di Natale parte esattamente dal lato opposto.
Il protagonista, Ebenezer Scrooge, è tutto tranne che lo spirito delle feste. Odia il Natale, non sopporta la gente, pensa solo ai soldi e probabilmente spegnerebbe anche le luci dell’albero pur di risparmiare sulla bolletta. Insomma, uno che se vedesse Babbo Natale gli chiederebbe lo scontrino dei regali.
Eppure, una notte succede qualcosa. Qualcosa di strano. Qualcosa di decisamente poco normale. Scrooge riceve la visita di tre spiriti: quello del Natale Passato, del Presente e del Futuro. No, non è un sogno dopo aver mangiato troppo a cena, ma l’inizio di un viaggio che gli cambierà la vita.
Sul palco questo viaggio funziona alla grande. Le scene cambiano velocemente, le luci e le musiche creano un’atmosfera quasi magica e il pubblico si ritrova catapultato tra ricordi, momenti di vita quotidiana e visioni inquietanti di ciò che potrebbe accadere. Il futuro, in particolare, non è proprio una passeggiata: vedere dove portano le proprie scelte fa decisamente riflettere.
La cosa bella è che, pur essendo una storia scritta tantissimo tempo fa, Il Canto di Natale sembra parlare proprio a noi. Racconta di errori, di seconde possibilità e del fatto che non è mai troppo tardi per cambiare. Anche se sei scorbutico come Scrooge. Anche se pensi di essere ormai “fatto così”.
Alla fine dello spettacolo resta una sensazione chiara: il Natale non è solo regali e vacanze, ma è soprattutto attenzione verso gli altri. E forse, usciti dal teatro, viene voglia di essere un po’ più gentili. O almeno di non comportarsi come Scrooge… prima della visita degli spiriti.
Perché, come dimostra questa storia, basta una notte – o uno spettacolo – per cambiare tutto.
di Vittoria Porcari