Scuola

Quel treno che cambia la vita

La vincitrice del Premio Campiello giovani Alice Scalas Bianco incontra le classi terze della scuola Besozzi. Appassionata e coinvolgente la giovane scrittrice si racconta a cuore aperto, incoraggiando gli studenti a seguire i propri sogni e a immergersi nel mondo della scrittura.

a cura di Rebecca

Alice Scalas Bianco ha vinto il Premio Campiello giovani con il racconto "Ritratto di Parigi".

Durante l'incontro con le classi terze la giovane scrittrice ha raccontato traguardi e progetti futuri.

Alice Scalas Bianco, una giovane ragazza di 19 anni, nata a Vigevano e adesso studentessa all'università di Bologna, ha vinto nel 2021 il Premio Campiello Giovani under 21 con il suo racconto "Ritratto di Parigi" .

Alice ha incontrato tutte le classi terze dell'istituto Besozzi di Vigevano. La scrittrice si è mostrata molto gentile, educata, simpatica, socievole e coinvolgente. Ha risposto alle domande, ha dato consigli di vita, ma anche di scrittura, ha incoraggiato i ragazzi a seguire i propri sogni e ha parlato della sua vita, delle esperienze personali in merito alla partecipazione del premio Campiello e del racconto che le ha fatto vincere il premio.

Il premio Campiello è un treno, sul quale tu sali e ti porta in un mondo di cultura bellissimo che non pensavi esistesse” - spiega la giovane scrittrice -. “Grazie al premio Campiello ho fatto cose che non pensavo sarei arrivata a realizzare. Ho fatto una collaborazione con la Biennale di Venezia, ho messo in musica il mio racconto con il CPM Music Institute di Milano. È magica l’atmosfera che si crea, gli amici che si conoscono, le esperienze che si condividono e la crescita che si ha, il premio Campiello ti fa crescere”.

Questa giovane scrittrice è riuscita a essere professionale e giovanile allo stesso tempo riuscendo a non mettere a disagio i ragazzi.

Le sue parole hanno coinvolto i giovani nel mondo della scrittura. “Devi pensare ad allenarti e a scrivere tanto, poi le cose si sviluppano da sè. I libri rileggeteli dopo un po’, perché hanno sempre qualcosa da dirvi. Se è un bel libro, rileggetelo fino a stordirvi, storditevi di lettura e di rilettura, anche le riletture sono importantissime." - dice Alice.

Questa è l'intervista di Alice Scalas svolta con la classe 3^D della scuola Besozzi, durante un'ora scolastica.


Come ti è venuta l’idea di scrivere un racconto?

Di base già scrivevo racconti, perché amo scrivere. In quel periodo non stavo bene, mi sono sfogata in questo modo ed è venuto fuori il racconto. Scrivere è una maniera di esprimermi.

Perché hai ambientato il racconto a Parigi?

"Ritratto di Parigi" non è solo il ritratto della città, ma anche del protagonista, l’uomo d’affari. Parigi è una città dal doppio volto, io la vedo così. Quest’uomo ha una doppia vita, un doppio volto. Io sono convinta che tutte le città abbiano un’anima, ho un rapporto molto particolare con le città, le vivo molto, le sento addosso. Parigi per me ha una dualità fortissima, mi assorbe ogni volta che ci vado. Quest’uomo ha una fortissima dualità che lo schiaccia, il racconto è il ritratto di quest’uomo, dei suoi dolori, dei suoi rimpianti, della sua vita.

Hai intenzione di scrivere il seguito di questo racconto?

Ci sono cose che nascono con una certa dimensione e devono rimanere così. Questa è una storia che io ho vissuto e non finisce bene. Non ha senso scrivere un continuo in cui la storia deve finire bene, non avrebbe senso, deve finire così.

Come ti è venuta l’idea della trama?

Dall’abbandono di mio padre. Ho vissuto delle cose, non in questo modo, ovviamente le ho rivisitate. Il mio motto quando scrivo è scrivere i miei pensieri e i miei sentimenti tramite i volti degli altri. Mi invento dei personaggi, delle situazioni, ma poi racconto quello che sento, quello che vedo. Questo è il mio modo di scrivere. Da quando ho 13 anni ho vissuto l’abbandono della mia figura paterna e quindi il racconto è questo. Il racconto è cinico, sadico e anche un po’ dolce. La realtà è così, la vita non è dolce di base, io ho scritto sempre la mia esperienza e quello che ho sentito.

Hai avuto difficoltà a scrivere il racconto?

Era un momento difficile della mia vita perché stavo per diventare diciottenne. L’ho scritto in poche settimane, è stato un momento catartico, poi ho dovuto rivedere la forma quando ho deciso di mandarlo. In realtà non ho capito subito quello che avevo scritto. Non l’ho più riletto per sei mesi dopo che lo avevo mandato. Quando poi sono arrivata alla cinquina finalista ho capito un po’ di più come mi sentivo in quel momento.

Quando hai iniziato a scrivere il racconto l’hai detto a qualcuno?

Quando ho scritto il racconto l’ho fatto leggere alla mia prof.ssa di italiano e a mio nonno, l’ho mandato e nessuno ha saputo niente fino a quando non sono entrata nei primi 25. Non volevo che si sapesse perché sono molto scaramantica, avevo paura che non sarei finita nei 5 se si fosse saputo.

Ti piacerebbe che realizzassero un cortometraggio tratto dal tuo racconto?

Mi piacerebbe un sacco, anche perché la musica c’è, l’abbiamo composta con un mio grande amico e bravissimo compositore. Lo stanno traducendo in francese, mi ha contattato una casa editrice per un semestrale che esce con dei pezzi di autori francesi affermati e sconosciuti, uscirà a gennaio.

Hai avuto difficoltà a immedesimarti nel protagonista del racconto?

No, perché io scrivo di uomini, io faccio fatica a scrivere di donne. Ho uno stile abbastanza maschile, non so come mai. Mi piace scrivere di uomini un po’ dannati, insoddisfatti, gli antieroi. Anche i racconti che sto scrivendo adesso trattano di uomini di questo tipo o di donne che si comportano da uomini. Il protagonista del romanzo che sto scrivendo adesso è un ragazzo.

Hai sempre avuto la passione per la scrittura o è nata recentemente?

Da sempre, da quando avevo sei anni. Mi inventavo le storie e le raccontavo ad alta voce, le facevo interpretare alle bambole. In seconda media durante una lezione di geometria ho preso un foglio e ho scritto una di queste storie e ho visto che si possono scrivere le storie. Ho iniziato a scrivere in seconda media, poi in terza liceo ho capito che con le mie storie potevo farci qualcosa.

Pensi di scrivere altri libri?

Adesso sto scrivendo altri racconti e il mio romanzo, non con l’idea di pubblicarlo. Sto lavorando con un editore, ma per allenarmi, perché ovviamente non sono pronta per pubblicare e quindi lui mi ha detto, io ti edito, lavoriamo insieme, se poi il risultato mi piace te lo pubblico, però questa è una palestra, un ginnasio, come è giusto che sia, pubblicare a 19 anni o a 22 anni non mi cambia la vita. Sicuramente voglio pubblicare libri. Ho tanta pressione, però è molto bello, mi diverte molto. Ci sono dei momenti di sconforto come in qualsiasi altra carriera, ma si affrontano senza lagnarsi.

Come mai hai deciso di studiare all’università di Bologna?

Avevo bisogno di nuovi input. Bologna è una città multiculturale, arrivano ragazzi da tutta Italia. Io ho amici ancoretani, abruzzesi, siciliani. E’ un ambiente molto aperto, non c’è la mentalità di provincia, non importa se una persona è ricca o povera, se una persona è eterosessuale o meno, è un mondo in cui puoi essere quello che vuoi, è una città calda che sa amare. Vigevano è una città fredda in molti sensi, avevo bisogno di un po’ di calore, dell’abbraccio degli archi, dei portici di Bologna. Poi l’università di Bologna è meravigliosa, prestigiosa, volevo un’università che mi desse tanti input, in cui poter scegliere i corsi man mano e in cui poter stare lontano da casa perché è arrivato il momento in cui bisogna staccare.

Secondo te una persona deve essere portata per la scrittura o può diventarlo?

Scrittori non si nasce, ma ci sono delle qualità innate. Io ho innato l’animo narrativo, non faccio poesia, perché non è parte di me. Ci sono persone invece che hanno l’animo poetico e non riescono a fare prosa, ci sono persone portate per il fantasy o generi specifici. Delle inclinazioni ci sono, ma il talento senza lavoro è niente. Io è da quando sono in terza media che ho capito che mi piace scrivere, faccio corsi su corsi e scrivo e cancello, mi impegno e leggo. Ho fatto tanti corsi, qui e all’estero. Ci deve essere un impegno costante dietro. Ci sono delle inclinazioni, ma scrittori non si nasce, si diventa e io non lo sono ancora. Questo per farvi capire quanto lavoro ci deve essere dietro.

Ti piacerebbe fare la doppiatrice?

Sì, mi piacerebbe, perché per tanto tempo ho fatto teatro e canto e ho anche delle certificazioni che mi permetterebbero di farlo. Se non avessi perseguito la scrittura avrei continuato nel mondo del teatro e dello spettacolo che inevitabilmente mi avrebbe portato a lavorare come doppiatrice visto che ho studiato anche un po' di dizione.


Quando i diritti dell'infanzia erano negati

Per commemorare la Giornata della memoria è stata allestita nel Castello Sforzesco una mostra in memoria dell'infanzia negata ai bambini, vittime dell'Olocausto e dell'orrore dei campi di concentramento.

“Shoah-l’infanzia rubata” è una mostra per non dimenticare, allestita il 26 Gennaio 2022 presso la sala dell’affresco del Castello di Vigevano.

Organizzata dall’associazione “figli della Shoah”, la mostra ha aperto le sue porte alle classi terza della scuola secondaria di primo grado Besozzi.

Gli studenti hanno potuto osservare i cartelloni esposti e riflettere su un periodo buio della storia dell'Umanità.

Il 27 Gennaio del 1945 i soldati dell’Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento di Aushwitz e liberarono 7mila prigionieri. Questa, oggi, è la data della giornata della memoria, commemorata in molti paesi del mondo.

L’evento ha messo in evidenza alcuni aspetti della Shoah non spesso trattati, riguardanti i diritti negati ai giovani, costretti ad abbandonare l'infanzia.

Uomini, donne e bambini perseguitati e resi prigionieri, prima nei ghetti e poi nei campi di sterminio.

In questi luoghi, la salute non era un diritto! Nei ghetti ebraici i bambini vivevano in condizioni pessime: con vestiti strappati, scalzi, infreddoliti e ammalati.

Spesso senza casa e famiglia, morivano a causa del freddo.

Testimone della libertà negata è stata la stampa italiana. Come mostrano alcune pagine di quotidiani italiani, pubblicati fra agosto e novembre del 1938, gli alunni e gli insegnanti di etnia ebraica furono esclusi dalle scuole, in questo modo venne negato ai giovani il diritto all’istruzione.

Le leggi razziali erano entrate in vigore non solo nel nostro paese, ma anche in altri paesi europei primi fra tutti la Germania, patria del razzismo antisemita.

La vita quotidiana non era più la stessa, i genitori erano costretti ad avvertire i figli su come comportarsi davanti a numerosi divieti non giustificabili, mentre i bambini si chiedevano perché non potevano andare a scuola, divertirsi, oppure giocare con i propri amici.

Questo periodo sinistro della storia dovrebbe farci riflettere, affinché oggi non capiti più.

Il rafting ci riunisce di nuovo

La scuola "rinfresca" i ragazzi con la tradizionale attività sportiva sul fiume Ticino: il rafting. Dopo due anni di fermo gli studenti partecipano a un'uscita didattica in mezzo alla natura.

a cura di Andrea

Quest’anno l’attività sportiva del Besozzi è ricominciata dal rafting!

Tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, le classi terze della scuola media Besozzi, dopo ormai due anni di fermo, hanno fatto la loro prima uscita didattica. Gli alunni, a turno, si sono recati presso il centro sport fluviali del Parco del Ticino per fare un’escursione di rafting alla scoperta degli angoli più belli del parco.

Appena arrivati, i ragazzi, dopo l’appello dei prof, hanno lasciato i loro zaini e con l’aiuto delle guide hanno indossato l’attrezzatura: caschetto e giubbotto salvagente. Con un pulmino sono arrivati fino a Cerano, dove, dopo una breve spiegazione su come pagaiare e su tutti i sistemi di sicurezza nel caso qualcuno cadesse nel fiume, si sono “gettati” nel fiume con i gommoni e sono partiti.

Durante il percorso le guide davano ordini per iniziare a pagaiare e per fermarsi nei luoghi dove volevano far osservare aspetti particolari della natura che non si vedono in altri periodi dell'anno.

Durante l’escursione hanno fatto una piccola sosta in mezzo ad un boschetto per fare merenda. Il tempo di mangiare, bere, fare alcuni giochi con le guide e sono ripartiti per ritornare alla centrale dell’ENEL dove li aspettavano i loro genitori.

Gli alunni si sono mostrati entusiasti dell’esperienza vissuta, considerato che ad oggi non avevano potuto partecipare a nessuna attività extrascolastica che solitamente l’Istituto offre. Hanno raccontato aneddoti e fatti accaduti nel corso delle tre giornate dedicate.

Un salto verso la vittoria

La giovane studentessa del Besozzi, che a soli 13 anni è riuscita a vincere i prestigiosi titoli di campionessa regionale e campionessa italiana di free-jump, trascorre le sue giornate fra scuola, compiti, amici e pattinaggio.

a cura di Verena

Viola è una ragazza di tredici anni frequentante la scuola Besozzi a Vigevano. Ha iniziato a praticare lo sport del pattinaggio a rotelle quando aveva sei anni e da lì non ha più smesso; ha vinto diversi premi importanti come Campionessa regionale e Campionessa italiana di free jump nel 2021. Il free-jump è una disciplina del pattinaggio a rotelle in cui si effettua un salto in alto in seguito a una corsa, con l’intento di superare un ostacolo senza alcun aiuto di rampe.

Grazie a questo sport Viola è riuscita a sfogarsi quando ne aveva bisogno e a divertirsi con i suoi amici, oggi, infatti, il pattinaggio rappresenta tutto per lei.


Come hai scoperto il mondo del pattinaggio?

Ho conosciuto il mondo del pattinaggio nel mese di settembre di molti anni fa, io e mia sorella ci siamo messe a tavola per decidere che sport fare per l’anno seguente. Visto che eravamo stanche di fare nuoto, abbiamo deciso di guardare i vari sport che si potevano praticare e abbiamo trovato il pattinaggio. Ci è piaciuto molto quindi siamo andate a provarlo.


A che età hai iniziato a praticarlo e come hai capito che era lo sport giusto per te?

Faccio questo sport da sette anni. Mi è piaciuto subito tantissimo perché mi interessano le cose spericolate: quando vedevo i ragazzi del corso avanzato che saltavano anche due metri di altezza, ho detto “devo arrivare come loro”. Poi sono molto competitiva quindi ho capito che era lo sport giusto per me.


Osservare i più grandi ti è servito per crescere in questo sport?

Sicuramente, infatti fin da piccola guardavo sempre, anche su youtube, persone più esperte ed erano felici mentre lo facevano per la soddisfazione di arrivare ad un sogno.


Cosa significa per te questo sport?

La mia vita gira un po’ tutta intorno al pattinaggio perché tornata da scuola o quando sono triste, voglio liberarmi da tutto e quello è il mio sfogo. Quando mi chiedono: “Ma non ti stanca tornare a casa sempre alle dieci e passa?” io rispondo: "No, non mi stanca perché pattinaggio è la mia vita".


Quale consiglio daresti ad un ragazzo che ha appena cominciato a praticare questo sport?

Il consiglio che darei qualsiasi persona è quello di non arrendersi alla prima difficoltà, perché è pesante ma alla fine se ti impegni ed è quello che vuoi fare, arrivi a raggiungere il tuo obiettivo. In più l’importante è divertirsi, anche se io dico sempre che l’importante è vincere non partecipare, questo è il mio lato competitivo. Ci vuole tanta competizione e tanto sforzo, sicuro.


Quali emozioni hai provato quando hai vinto il premio di “Campionessa italiana di free jump”?

Ho provato una gioia infinita a vincere il premio di free jump. Quando ho saputo di essere arrivata prima in tutta Italia è stata davvero una gioia immensa, soprattutto perché avevo iniziato quella disciplina soltanto quest’anno in quanto si può iniziare a gareggiare dopo i tredici anni, per me è stata la gioia più bella che io potessi mai avere. Il giorno prima mi sono detta “io non me ne devo andare via di qua fin quando non avrò vinto la maglia di campionessa italiana” e quando l’hanno detto è stato troppo bello.


Coltivi altre passioni oltre al pattinaggio?

Da quando ero molto piccola appena ho tempo libero mi dedico al disegno e cerco sempre di farne sempre più difficili per imparare. Poi mi piace fare trucchi di magia con le carte.

Ti senti molto appoggiata dalla tua famiglia in questo tuo percorso?

Non abitando vicino al luogo dove pratico sport, i miei genitori prendono ogni volta un impegno per portarmi agli allenamenti, sono orari scomodi perché inizio e finisco tardi; solitamente non mi accompagnano alle gare infatti sono quasi sempre da sola o con i miei amici. Però quando ho vinto quest’anno ho chiamato mia mamma ed era felicissima, aveva le lacrime agli occhi , perché sa quanto mi impegno e quanto ci tengo a questo sport. E’ difficile perché devo studiare per verifiche o interrogazioni, poi fare gli allenamenti fino a tardi, tornare a casa, mangiare, ripassare, non è semplice, però ce la sto facendo.


C’è una frase o un concetto che ti ha spinto a dare il massimo e ad andare avanti?

“Non puoi vincere senza aver prima imparato a perdere”, che è la verità, nonostante io non sappia perdere. Questa è la frase che mi ha portato avanti.


Il pattinaggio ti ha anche aiutato nella crescita personale?

Questo sport mi ha aiutato soprattutto nella crescita personale perché penso che qualsiasi sport liberi la mente e ti aiuti in ogni modo in quanto è uno sfogo.