SCUOLA

VISITA PASTORALE 

DI MONS. LUIGI RENNA

a cura di Danilo (1G)

Si è tenuta giovedì 16 marzo la visita pastorale dell’Arcivescovo di Catania, Mons. Luigi Renna, presso l’Istituto Comprensivo “Elio Vittorini”.

Un’occasione di incontro e di dialogo, con gli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado dei plessi di Viale Falcone di Camporotondo Etneo e di Via Piave di San Pietro Clarenza, sul tema “Un sogno: che ogni Rosso Malpelo incontri don Milani sulla sua strada”.


L’intervento di Mons. Renna, accolto dall’esibizione dei giovani strumentisti dell’orchestra dell’Istituto Comprensivo, ha fornito interessanti considerazioni e spunti di riflessione sul valore della scuola nel processo di crescita individuale e su scelte di vita che siano giuste e significative, quali inseguire i propri sogni, condividerli con gli altri e avere modelli positivi di riferimento.


Nel corso dell’incontro, grazie alla generosa disponibilità e attenzione dell’Arcivescovo, abbiamo avuto l’opportunità di rivolgergli diverse domande.

 

- Come conduce la missione di vescovo che le è stata affidata?  

 

Credo che sia importante non fare una cosa ogni tanto, ma vivere ogni giorno con impegno. Ogni giorno deve avere il sapore del pane quotidiano. Ci piace il pane vecchio? No. Ci piace il pane quando è fragrante. Così l'impegno di un papà, di una mamma, di un sacerdote, di un professore, di un vescovo deve essere un impegno di ogni giorno, deve avere il sapore quotidiano. Io cerco di vivere il mio impegno tutti i giorni. Non un giorno la settimana.


- Quali sono i vantaggi e gli svantaggi della sua missione? 


Svantaggi non ne vedo. I vantaggi sono invece quelli di incontrare sempre tante persone, tanti ragazzi. Sto girando per le scuole della diocesi e ho già incontrato tanti ragazzi di tutte le età. Ecco, il vantaggio è incontrare sempre tanta, tanta gente, persone di tutte le età.


- Le scelte che ha fatto in gioventù hanno determinato qualche volta in lei dei rimpianti, dei ripensamenti?


C'è sempre qualche errore che si fa nella vita. Se una persona non avesse mai rimpianti e se non tornasse mai indietro, sarebbe semplicemente una persona poco intelligente. Quelli che si irrigidiscono sono persone un po’ chiuse. Invece noi possiamo dire beh, quella cosa avrei potuto farla meglio, su questa cosa ho sbagliato. Ricordatevi, se vogliamo essere all'altezza dell'intelligenza che il Signore ci ha dato, dobbiamo saper anche a volte cambiare idea. Dopo aver naturalmente valutato se quello che abbiamo fatto ha avuto delle conseguenze negative o positive. Se negative, si cambia strada.


- Le sarebbe piaciuto conoscere don Milani? 


Sì, mi sarebbe piaciuto conoscerlo ma è come se l’avessi incontrato in tanti docenti che si spendono ancora oggi, con il suo stile, con i ragazzi, soprattutto con quelli che si perdono per strada e questi docenti, come don Milani, li recuperano. Mi ha sempre affascinato il fatto che per don Milani la scuola era tutto e tutto era scuola, mi piace questo fatto perché ha formato delle persone che poi nella vita si sono affermate, persone che non avevano che una alternativa, o la scuola o spalare il letame nella stalla dei loro papà che erano semplicemente degli allevatori.


- A oltre cinquant’anni dalla morte, il messaggio di don Milani è ancora attuale? 


Attualissimo, soprattutto qui nella nostra Sicilia e a Catania, dove registriamo il triste primato dell’evasione scolastica, ma in generale è attuale in tutto il mondo, perché ci sono ancora tanti Paesi dove i ragazzi non hanno l’opportunità di andare a scuola.

Con l’Ufficio per la Pastorale Scolastica della Diocesi di Catania abbiamo promosso quest’anno il concorso “Ho un desiderio, sospeso tra sogno e realtà: quello che ogni Rosso Malpelo incontri un don Lorenzo Milani sulla sua strada”. Abbiamo invitato gli studenti delle scuole a leggere la novella di Rosso Malpelo, trarre da essa opportune considerazioni e riflessioni sul valore della scuola che aiuta a compiere significative scelte di vita e immaginare che Rosso Malpelo avesse incontrato sulla sua strada un adulto come don Milani.

Chissà che tanti Rosso Malpelo possano incontrare sul loro cammino professori ed educatori attenti e sensibili come lo fu don Milani.

INCONTRO CON L'AUTORE:

"ERO UN BULLO" DI ANDREA FRANZOSO

a cura di Alice (2A)

Lunedì 27 marzo, nel plesso scolastico di Camporotondo Etneo, abbiamo avuto il piacere di incontrare lo scrittore Andrea Franzoso, autore del libro “Ero un bullo”.

Con il suo entusiasmo coinvolgente e la sua energia, durante l’incontro Andrea Franzoso ha risposto alle numerose domande poste dagli alunni delle classi seconde e terze della scuola secondaria di primo grado.

Argomento di discussione sono state le tematiche affrontate nel libro “Ero un bullo”, che accompagna il lettore alla scoperta della storia vera di Daniel Zaccaro, un ragazzo che vive a Quarto Oggiaro, nella periferia di Milano, tra i cortili delle case popolari. Nella sua famiglia il clima non è sereno, i soldi a disposizione sono pochi e i litigi frequenti.


Daniel è una giovane promessa del calcio, all’età di dieci anni gioca già con i pulcini dell’Inter, la sua squadra del cuore, e tutti si aspettano grandi cose da lui. Un giorno però, durante una partita, fallisce il goal decisivo e il sogno di diventare un campione si infrange. Inizia quindi a covare rabbia e ad avere un atteggiamento aggressivo nei confronti del mondo esterno; gli anni delle medie passano tra giornate di sospensione e pomeriggi a fare “scavalli”, a 17 anni arriva la prima rapina in banca e a 18 anni finisce al carcere Beccaria. 

Proprio in carcere, l’incontro con il cappellano, don Claudio, gli cambierà la vita.

Anche noi della redazione de “Il Clarentino” abbiamo rivolto alcune domande allo scrittore. 

Il contenuto dell’intervista è riportato qui di seguito (avvertimento per chi volesse leggere il libro: contiene spoiler).

- Come ha conosciuto Daniel e che rapporto avete oggi?

Ho conosciuto Daniel leggendo un articolo di giornale, in cui si parlava di questo ragazzo che era stato un bullo, un ladro, che era finito al Beccaria (il carcere minorile di Milano) ma che, una volta uscito dal carcere, era riuscito a laurearsi ed era diventato un educatore. Questa storia mi ha intrigato subito e allora ho pensato di mettermi in contatto con lui. Ho telefonato a Don Claudio Burgio, il cappellano del carcere, e ho ottenuto il numero di Daniel. Dopo averlo contattato, ci siamo dati appuntamento da lì a qualche giorno. Ci siamo incontrati in una libreria di Milano e gli ho proposto di raccontare la sua storia in un libro. Lui mi ha detto subito di sì, oggi siamo ancora ovviamente in contatto e ogni tanto facciamo qualche presentazione insieme.

- Com’è nata l’idea di “Ero un bullo”? È nata già con uno scopo didattico o successivamente vi siete resi conto della potenza che poteva avere su noi ragazzi il punto di vista interno del protagonista?

L’idea di “Ero un bullo” è nata per caso, non cercavo una storia sul bullismo né una storia di riscatto, di rinascita. Semplicemente ho trovato questa storia e ho pensato che potesse diventare un bel romanzo per ragazzi ma non solo. La lezione di questo libro, infatti, è anche per gli adulti; quando si parla di essere credibili penso che ci siano riflessioni che anche genitori e insegnanti possono farsi.

-Lei ha scritto anche “#disobbediente! Essere onesti è la vera rivoluzione”. Cosa significa per lei (dato che ha fatto parte delle forze dell'ordine per otto anni) essere onesti?

Penso che l’onestà riguardi la qualità delle nostre relazioni con gli altri. Essere onesto vuol dire rispettare gli altri e anche se stesso, rispettare il bene comune, rispettare ciò che è di tutti, rispettare l’ambiente. L’onestà è quella cosa che riguarda anche il nostro modo di pensare, il nostro agire.

-Quando gli educatori iniziano a immaginare per Daniel un futuro diverso da quello che sembrava  già segnato per lui, inizia la svolta decisiva. Con Fiorella Daniel si rende conto di aver sprecato un sacco di tempo e che per recuperare avrebbe dovuto fare tutto di fretta, senza poter gustarsi il bello delle cose con calma. È un po’ quello che succede a noi ragazzi in questo mondo così frenetico, in cui si tende a bruciare le tappe (non per forza compiendo atti criminali come succede a Daniel ma magari dietro a cose poco importanti anziché concentrarsi su ciò  che conta: l’istruzione, il conoscere, lo sperimentare passo dopo passo). Nota che nei giovani questo aspetto sia limitante? E come si fa, da parte di voi adulti, a “sognare” per noi un futuro migliore?  


Il mondo in cui vivete non l’avete costruito voi sicuramente. La ricerca dei soldi facili, del successo ad ogni costo, dei brand è qualcosa che avete respirato nell’aria in qualche modo. Purtroppo molti giovani, oggi, non vedono il futuro, sono schiacciati sul presente, cercano una compensazione forse nel possesso di cose. Le nostre relazioni sono spesso relazioni d’uso, ci si usa e c’è competizione più che cooperazione. Quindi come fare per cambiare? Daniel è cambiato quando ha incontrato degli adulti credibili che sono andati oltre l’etichetta, oltre l’immagine, oltre l’apparenza, che hanno saputo sognare per Daniel un destino diverso da quello che sembrava già scritto e hanno saputo vederci bene. Perché ogni relazione, anche quella tra un alunno e un insegnante, è una relazione anche affettiva; si avverte il bisogno di sentirsi amati, accolti dagli insegnanti. Molto spesso le materie che ti piacciono di più sono quelle in cui l’insegnante ti piace di più. Penso che ci sia bisogno proprio di questo, che gli adulti abbiano a cuore voi ragazzi e non si impadroniscano dei vostri sogni, come ha fatto il papà di Daniel per esempio.

- La cosa che mi ha colpito di più è il fatto che don Claudio lascia liberi i ragazzi, non si impone, aspetta e non pretende di cambiare nessuno. Non usa il suo ruolo di sacerdote e per Daniel, nel suo processo di maturazione, è sufficiente il suo esempio. Cosa pensa di questo metodo educativo “rivoluzionario”?   

La figura di don Claudio ci fa capire che c’è bisogno di esempi credibili e positivi nel mondo adulto, al di là delle parole, che spesso sono ipocrite, e del comportamento di adulti che predicano bene ma razzolano male. Ciò che conta è l’esempio. Pensiamo al fatto che Daniel è scappato da tutte le comunità normative, come ad esempio quella di Castronno, dove Daniel arriva e la prima cosa che gli fanno fare è firmare il regolamento, agitando subito lo spauracchio delle sanzioni. Nella comunità Kayros di don Claudio, invece, i cancelli erano sempre aperti, non c’erano lucchetti né regolamenti da firmare, eppure Daniel non è mai scappato da lì. Don Claudio punta sulla qualità della relazione e le regole sono sorte spontaneamente.