CULTURA

Caposervizio GIULIA (3A)

booktalk su bianca come il latte, rossa come il sangue DI A. D'AVENIA

a cura di Noemi (3A)

Potrei scrivere un testo per presentarvi questo libro. E invece ho pensato: perché non ne parlo a voce? Allora ecco il mio BookTalk sul romanzo "Bianca come il latte, rossa come il sangue" di Alessandro D'Avenia.

ade, thomas e... io!

a cura di Maya (2A)

In questi ultimi mesi ho letto due libri: “Better” di Carrie Leighton e “I peccati degli dei” di Katee Robert. Di questi libri mi hanno colpito in particolare modo i protagonisti maschili perché a mio parere si assomigliano: Ade de “I peccati degli dei” e Thomas Collins di “Better”. Sono molto simili sia per l’aspetto che per il carattere. L’aspetto è quello da “bad boy”, coperti di tatuaggi, ma sotto sotto sono amorevoli e gentili con chi li sa trattare bene. Tutti e due hanno avuto un passato difficile che li ha segnati sia fisicamente, con le cicatrici, che dentro nel carattere. 

Loro due mi assomigliano molto per il carattere: noi siamo gentili con chi vogliamo, noi siamo antipatici con chi ci tratta male, e se qualcuno ci fa un torto c’è la classica vendetta (è sbagliato lo so ma è più forte di me…). Amiamo tanto e soffriamo altrettanto, impariamo dalle sconfitte e maturiamo, dalle cicatrici ricaviamo il dolore e la consapevolezza, del nostro passato ne facciamo uso per crescere. 

Nessuno sa mai cosa proviamo veramente: noi stiamo zitti in disparte, pronti per aggredire la prima persona che ci provoca, nessuno conosce davvero il nostro passato tranne l’unica persona che c’è da quando siamo piccoli e si è presa cura di noi. 

Facciamo fatica a fidarci e a volte siamo scontrosi e - lo ammetto - non siamo facili da sopportare, ma vi assicuro che abbiamo un cuore grande e, se ci teniamo davvero a voi, vi diamo il mondo e verrete sempre prima di noi.

a quest'età non pensavo fosse reale...

a cura di Gabriel (3A)

A quest’età non pensavo fosse reale

Credevo che esistesse solo nei sogni

Poi abbiamo iniziato a parlare

E lì ho capito che mi sbagliavo.


Continuavo a pensare a te, prima

Come penso a me stesso, ora

Con te parlo e mi colmo delle tue parole

Di te parlo e mi si disegna un nuovo sorriso sul volto.


Continuo ad avere la tua voce dentro la testa

E lentamente il mio cuore si accresce

Poi mi lasci un vuoto

Un cielo senza stelle, buio e piatto.


Ma, poi, quando spengo le luci al di fuori di me

Tu con la tua buonanotte,

Riaccendi quelle che mi scaldano 

Quando sono solo.


Domandavo a me stesso tutto

se avrei preso una decisione.

La risposta ogni giorno cambiava.

Ne sarebbe valsa davvero la pena?


Ma cosa perderei 

Se non tutto tra di noi,

Forse anche una parte di me stesso,

Quella che preferisco.


Ciò che è il mio futuro non lo so

E non lo saprò mai, finché non diventerà presente.

Ma so che vorrei che tu

Ne facessi parte.


La poesia mi ha sempre affascinato. In tutte le sue forme. Le rime, le metafore, i paragoni e i significati. Penso che ciò che sto provando in questo periodo sia un’occasione perfetta per scriverne una. E proprio ciò che mi ha ispirato a realizzare la mia prima vera poesia è l’argomento principale.

Un turbinio di emozioni concordanti e contrastanti. Il vuoto che ho dentro e ciò che lo riempie. Un amore giovane, alle prime esperienze, che vuole esprimersi per ciò che è e ciò che vorrebbe essere. Un amore a metà che desidera di essere completato da un altro amore, quello di lei. E questo amore, appunto giovane, nella poesia è descritto e vissuto dall’autore stesso. Un ragazzo di 14 anni, che ha trovato la prima persona che gli ha fatto provare qualcosa di speciale, di nuovo. 

Questo, viene ovviamente confermato dall’ausilio dei verbi espressi in prima persona singolare, e dal fatto che, nell’ultima strofa, l’autore scrive che il suo futuro non gli è chiaro. Con questo l’autore intende che, per lui, l’età con un futuro confuso e pieno di scelte, sia proprio questa. 

Inoltre, l’autore sceglie di parlare con la mente di un adolescente, per mostrare quante emozioni quest’ultimo provi e di come le viva. Nella poesia, quelle che si notano di più, sono ovviamente l’amore verso una ragazza, la felicità di quando parla con lei e di quando parla di lei. Poi, la paura che lo affligge, il dubbio di prendere una decisione. Infine, parla di un vuoto. Una sensazione che gli risucchia tutto quello che ha dentro e lo abbandona ai suoi pensieri. Solo queste emozioni mi fanno molta paura e ansia. Un cambiamento immediato tra sensazioni totalmente diverse, contrarie. Eppure, da adolescente, mi ci rivedo molto. Tutte cose che possono realmente buttare giù un ragazzo. E specialmente il desiderio che l’autore esprime alla fine della poesia, mi fa provare anche un dovere, quello di riflettere. Riflettere sui miei desideri, su quello che voglio ottenere e su ciò che posso realizzare per migliorarmi. Però, tutto questo, mi sa chiedere anche quale sia lo scopo, perché l’autore abbia scritto questa poesia. 

Mi viene da pensare che, forse, il vuoto che cita nella poesia, lui voglia colmarlo con delle parole. Le sue parole rivolte ai suoi pensieri e sentimenti. Infatti, scrive che si riempie con le parole della ragazza. Queste potrebbero essere racchiuse in parte della poesia. Ma, pensando da adolescente, penso che liberarsi di quello che si ha dentro, sia la cosa migliore da fare. 

E sotto forma di poesia, si può nascondere ciò che si vuole utilizzando altre parole o concetti, e mettere in evidenza i pensieri più importanti. Solamente la poesia permette di fare tutto ciò. Non è solo una serie di versi divisi in strofe. Ma è una parte di se stessi in forma di lettere. È un’esperienza che fa del bene a chi vuole fare del bene.

la medicina nell'antico egitto

a cura di Agata (3A)

L'impero Egizio è un regno tra i più potenti al mondo. Durò per molti secoli dal 3.100 avanti Cristo fino al 100 dopo Cristo. 

Fu un periodo di prosperità, innovazione e sviluppo. Grazie al popolo del Nilo oggi abbiamo maestosi monumenti e incredibili reperti che riportano indietro fino alle grandi piramidi e ai tempi dei maestosi Faraoni. Questo popolo contribuì a sviluppare molte discipline scientifiche come l'astronomia o la medicina. 

Il che ci porta all'argomento principale: com'era la medicina nell'Antico Egitto? Innanzitutto bisogna sapere che gli egizi creavano un legame importante tra religione e medicina ma conoscevano anche 320 malattie e ben 180 farmaci. 

Dopo queste prime nozioni una domanda sorge spontanea: come facciamo noi a sapere le loro antiche tecniche mediche? Il motivo è molto semplice. Ci sono stati tramandati dei papiri che descrivevano le loro conoscenze, come il papiro di Rameusseum, il papiro di Kalman, il papiro di Ebes e il papiro di Edwin Smith. Grazie ad essi possiamo sapere molte cose sul loro metodo di curare le persone e anche scoprire le loro conoscenze. È l'esempio del papiro di Edwin Smith possiamo capire che gli antichi egizi conoscevano il cuore:"Il cuore è una massa di carne origine della vita e centro del sistema muscolare (...) Attraverso la pulsazione il cuore parla ai vasi e alle membra del corpo". 

In questo contesto storico nell'Egitto per parlare di medicina bisogna innanzitutto sapere chi si occupava di curare le persone. Il papiro di Ebes descrive tre tipi di medici: i sacerdoti di Sejmet che erano i mediatori con gli dei e per guarire utilizzavano numerose droghe; i medici civili (sun-mu) che potevano guarire usando la magia e infine gli aiutanti detti ut che assistevano i medici, erano simili agli infermieri del giorno d'oggi.

La particolarità maggiore è che i medici avevano una specializzazione che li riduceva a curare una specifica parte del corpo. Ai tempi degli egizi ciò era molto raro e perciò questi medici erano richiesti anche all'estero. Alcuni curavano gli occhi, altri il ventre e qualcuno persino le malattie "oscure". Un'altra particolarità è che abbiamo notizie di un medico donna. Il suo nome era Pesheshet e ricopriva il ruolo di sovrintendente dei medici donna alla corte del faraone. 

A quei tempi i medici dovevano provare a curare malattie molto insidiose anche gravi. Sulle mummie sono state rinvenute varie malattie come: arteriosclerosi, artrite, vaiolo e tumore. Malattie più diffuse erano legate all'acqua infetta e alla sabbia che entrava nel cibo e negli occhi. Malattie comuni erano anche: cefalea, bilharziosi (per colpa dell'acqua infetta), lebbra, obesità, malnutrizione, palorechite e malattie gastrointestinali. 

Per trattare queste malattie i medici egizi usavano diverse sostanze e rimedi che oggi noi chiameremo medicinali. Le più usate erano le droghe come l'oppio, utilizzato per il dolore. Gli estratti vegetali venivano somministrati come sonnifero o analgesico per esempio le mandragole. Se ne usavano molti altri: sicomoro, ginepro incenso, uva e alloro. Anche il salice veniva usato, come analgesico, così anche il loto che fungeva da sonnifero. Oltre ai vegetali anche gli estratti animali erano sfruttati punto infatti la carne veniva usata per le ferite, la bile per il dolore agli occhi e anche il fegato aveva un suo utilizzo. C'erano poi prodotti alimentari come il latte - di qualsiasi tipo - un principio attivo per la pelle; ma il più utilizzato di tutti era il miele che noi ancora oggi usiamo per alleviare il mal di gola. Si usavano perfino prodotti inorganici come minerali, specificatamente sale e malachite impiegati per curare le infezioni agli occhi. Parallelamente a queste "medicine" venivano utilizzati trattamenti e cure casalinghe; alcune fantasiose altre un po' meno ma tutte molto interessanti. Venivano applicati i massaggi o inalazioni di resine e datteri. Oltre a questi rimedi "normali" esistevano anche altri metodi molto strani e pressoché inutili, come la ricetta in cui consigliano l'uso di un topo bollito in olio di palma per la perdita dei capelli. 

Al di là delle apparenze data da tutti questi "rimedi" strani gli egizi avevano capito l'importanza dell'igiene. Si lavavano spesso le mani e facevano la doccia senza usare acqua "sporca". Curavano l'igiene orale con il bicarbonato di sodio. Si lavavano accuratamente unghie e capelli con oli che mantenevano la pelle integra ostacolando l'ingresso dei batteri nell'organismo.

Ovviamente per guarire malattie più gravi si ricorreva alla chirurgia. Era una pratica estrema e non molto sicura. Utilizzavano però strumenti "moderni": bendaggi, forbici, bisturi, forcipi e contenitori per i medicamenti. Si ipotizza che questi fossero usati solo per le cerimonie religiose. La chirurgia non si sviluppò molto soprattutto perché gli egizi mummificavano i cadaveri non permettendo ai chirurghi di "fare pratica". Infatti intervenivano chirurgicamente solo per guarire foruncoli e ascessi o per amputare alti. Cercavano poi di creare protesi in legno o metallo; quest'ultimo usato soprattutto per i denti. 

Nell'Antico Egitto c'erano medici specializzati per aiutare le donne nel parto o in generale curavano le malattie del ventre. Le donne per partorire devono compiere molti riti religiosi e anche dopo aver partorito dovevano purificarsi per ben 12 giorni perché "sporche" dal sangue del bambino.

Per proteggere la donna durante il parto venivano invocate alcune divinità che avrebbero allontanato gli spiriti malvagi dal bambino. Per il parto la partoriente si accovacciava su quattro mattoni rituali e lasciava alle ostetriche il compito di far nascere il neonato. Una cosa curiosa è che per capire se è una donna era incinta essa urinava su due sacchi: uno uno pieno di grano e l'altro di orzo. Si credeva che se germinava prima l'orzo il bambino era un maschio, se invece era prima il grano la bambina era femmina e se invece nessuno dei due germinava la donna non era gravida.

Un fatto evidente della medicina egizia è che mescolavano molto la scienza con la religione. La storia ci dice che dopo gli egizi sarà così per molti secoli. Il motivo è che quando all'epoca non si capiva qualcosa si chiamava in causa la religione per "chiarire" tutto. Grazie a questi dubbi la scienza ha saputo trovare risposte fondamentali e metterle al servizio del benessere comune. E quindi grazie alla base che ci hanno dato le popolazioni antiche che oggi la scienza e la tecnologia sono progredite fino ad essere ciò che sono.