Gaetano Abela (1778-1826) fu uno dei protagonisti della prima rivolta autonomista contro i Borbone, esplosa a Palermo nel 1820. Le origini della sua nobile famiglia partono della Catalogna, diverse vicissitudini portano i suoi antenati a stabilirsi prima a Malta e poi a Siracusa. Il legame con l’isola dei Cavalieri fu sempre importante per Gaetano che, dopo essere diventato un abile spadaccino, vi si recò per affiliarsi all’Ordine. Qui, però, il suo temperamento, spesso non ligio alle regole, non tardò a metterlo in difficoltà, infatti, nel 1803, fu arrestato per aver maltrattato un impiegato comunale. Ottenuta la grazia, per intercessione dell’Ordine dei Cavalieri, entrò nell’esercito francese, arrivando al grado di colonnello e contemporaneamente si affiliò alla massoneria e successivamente alla carboneria. Rientrato in Sicilia, nel 1817, cominciò a diffondere quelle idee carbonare che portarono alla ribellione contro il potere napoletano e all’aspirazione indipendentista. La sua fama si diffuse al punto che il Governo rivoluzionario palermitano lo mise a capo di una “guerriglia” di 400 uomini per “convincere” quelle città che non volevano seguire il programma separatista di Palermo. Siracusa era una di quelle. Così Abela tentò di arrivare nella sua città natale, per coinvolgerla nella lotta contro il sovrano. L’impresa però non riuscì e la fortuna, che fino ad allora lo aveva aiutato, cominciò ad abbandonarlo. Lui, che si presentava spavaldo e fiero con un’uniforme rosso brillante, un cappello decorato con “soli dorati” e piume di vari colori, fu subito tradito dalla quella accozzaglia di uomini che comandava e che, poco dopo la partenza per Siracusa, tentò addirittura di ucciderlo. Finita la rivolta, trovato un compromesso che vedeva la nobiltà palermitana abbandonare il programma separatista, Gaetano fu arrestato e rinchiuso nelle carceri di Palermo dove, dopo un lungo processo, abbandonato dagli amici carbonari, fu fucilato nel 1826.