Estate Anno 2012

"LA FATA CHE DIEDE IL NOME AL MONTE PERALBA"

Hermann Plozzer fin da bambino manifesta il suo amore per il legno, facendolo via via diventare elemento principale della sua espressione artistica. La sua è oggi una scultura spontanea ed immediata, che si esprime con uguale forza sia nel campo figurativo che in quello astratto.

Negli anni ‘90 inizia anche a realizzare le maschere per il carnevale saurano, che vengono subito apprezzate sia da chi le usa nelle serate di rievocazione, che dai numerosi visitatori che giungono in paese e le notano nel negozio che nel frattempo ha aperto nella piazzetta del paese. Caratteristiche essenziali della sua vasta produzione sono l’attenzione particolare alla leggerezza e la varietà dei soggetti intagliati che colgono sempre particolari aspetti della natura umana, ed emergono nel volto.

Hermann Plozzer

Fienile di Giusto De Bettin

La fata che diede il nome al Monte Peralba

Una bellissima fata viveva, in un tempo molto lontano dal nostro, alle pendici del monte Peralba, che allora però non aveva alcun nome. Era una fata dei boschi e nei lunghi capelli scuri portava intrecciati i fiori che amava raccogliere nei prati. nelle ampie distese ad alta quota al confine tra il Veneto, l’Austria e il Friuli-Venezia Giulia. Qualche volta scendeva a Sappada, lasciando una scia di profumo al suo passaggio che era l’unico modo per indicare la sua presenza, dal momento che la bella fata sapeva rendersi invisibile quando passava attraverso i villaggi abitati.

Si racconta che quella splendida creatura amasse tanto quei luoghi da trascorrere ore ed ore ad ammirarli mentre il sole percorreva il suo arco nel cielo: quando scompariva dietro le montagne, le rocce, gli alberi e i prati prendevano a poco a poco il loro colore naturale, tingendosi di malinconia. Qualche boscaiolo giura d’averla vista abbracciare i grossi tronchi d’abete in uno slancio d’amore, cercando il contatto con quella natura da cui però la divideva sempre una sottile barriera. Se fosse stato per lei si sarebbe trasformata subito in foglia, levandosi leggera nel vento oppure in una genzianella azzurra per colorare l’erba e i cespugli. Le sembrava quasi di volare per la felicità quando entrava nell’ampia Val Visdende o nella vicina Val di Sesis dove i monti si aprivano, inchinandosi all’azzurro del cielo.

Il suo desiderio di fondersi con l’anima delle alte cime crebbe sempre più finché una notte la montagna rispose alla sua preghiera e sussurrò parole sommesse che solo lei riuscì a percepire. Sorridendo la bella fata si alzò in piedi sollevando le braccia al cielo e dopo aver compiuto una graziosa piroetta, quasi cullata dalle ali del vento, tornò piano piano a toccare terra adagiandosi senza fare rumore.

Non appena i lunghi capelli scuri toccarono il suolo ne scaturì acqua sorgiva, zampillante e fresca, che presto scivolò in piccoli rivoli lungo il pendio, giù verso valle. L’abito intessuto di veli colorati si sbriciolò polverizzandosi in mille farfalle colorate che sfioravano i prati trasformandosi in fiori profumati, mentre il candore della sua pelle si rifletté con un bagliore sulla roccia dell’alta montagna dandogli il nome di Pietra Bianca, Peralba.

In certe notti, guardando attentamente verso la cime, nelle rocce più alte e candide si può scorgere ancora riflesso il volto della bella fanciulla dal cui amore per quei meravigliosi luoghi nacque il fiume Piave.

"LA PRIMA STELLA ALPINA"


Stefano Comelli nasce a Trieste nel 1968. Vive e lavora a Romans d'Isonzo.

Nasce artisticamente scultore, nel solco di una tradizione familiare.

Toccare la materia e riconoscerla e trattarla nelle sue recondite qualità, affrontarne e amarne le potenzialità creative inducono l'artista ad approfondimenti sul valore autonomo della materia stessa. L'artista non perde di vista la possibilità di interagire con l'ambiente considerato dimensione dialettica e vitale al suo pensiero scultoreo

Stefano Comelli

Fienile di Giancarlo De Bernardin

La prima stella alpina

Una volta tanto tempo fa una montagna malata di solitudine piangeva in silenzio. Tutti la guardavano stupiti: gli abeti, i faggi, le querce, le pervinche e i rododendri. Nessuna pianta però poteva farci niente, poiché era legata alla terra dalle radici. Così neppure un fiore sarebbe potuto sbocciare tra le sue rocce. Se ne accorsero anche le stelle, quando una notte le nuvole erano volate via per giocare a rimpiattino tra i rami dei pini più alti. Una di loro ebbe pietà di quel pianto senza speranza e scese guizzando dal cielo. Scivolò tra le rocce e i crepacci della montagna, finché si posò stancamente sull'orlo di un precipizio. Brrr!!! Che freddo faceva! ...che pazza era stata a lasciare la quiete tranquilla del cielo! Il gelo l'avrebbe certamente uccisa. Ma la montagna corse ai ripari, grata per quella prova di amicizia data col cuore. Avvolse la stella con le sue mani di roccia in una morbida peluria bianca. Quindi la strinse, legandola a sé con radici tenaci. E quando l'alba spuntò, era nata la prima stella alpina...

"LA LEGGENDA DELLE DOLOMITI"

Roberto Merotto nasce a Pieve di Soligo nel maggio del 1968.

Comincia a modellare e scolpire frequentando il Liceo Artistico di Treviso dove si diploma nel 1987. Nel 1994 consegue la licenza di scultura all’Accademia di Belle Arti di Venezia.

E’ stato allievo degli scultori Antonio Giancaterino e Giancarlo Franco Tramontin.

In più di vent’anni di scultura ha realizzato le sue opere sperimentando materiali diversi quali: argilla, gesso, pietra, ferro e bronzo.Dal 1995 al 2004 ha insegnato discipline plastiche presso il Liceo Artistico di Belluno.

Partecipa a numerosi concorsi nazionali ed internazionali di scultura e le sue opere sono esposte in Italia e all’estero ottenendo ampi consensi.

Roberto Merotto

Fienile della famiglia De Bernardin

La leggenda delle Dolomiti

Forse non tutti sanno che le Dolomiti vengono chiamate anche Monti Pallidi a seguito di un prodigioso incantesimo...Si narra che le Dolomiti siano chiamate Monti Pallidi a seguito di un prodigioso incantesimo avvenuto ai tempi dell'Antico Regno delle Dolomiti. Tale regno era ricoperto di prati fioriti, boschi lussureggianti e laghi incantati. Ovunque si poteva respirare un'aria di felicità e armonia. Tranne che nel castello reale, perchè il figlio del re aveva sposato la principessa della Luna, ma un triste destino condannava i due giovani amanti a vivere eternamente separati. L'uno non poteva sopportare l'intensa luce della Luna che l'avrebbe reso cieco, l'altra sfuggiva la vista delle cupe montagne e degli ombrosi boschi che le causavano una malinconia talmente profonda da farla ammalare gravemente. Ormai ogni gioia sembrava svanita e solamente le oscure foreste facevano da solitario rifugio al povero principe. Ma le ombrose selve sono luoghi popolati da curiosi personaggi, ricchi di poteri sorprendenti e capaci di rovesciare inaspettatamente il corso degli eventi. Così un giorno il principe si imbattè nel re dei Silvani, un piccolo e simpatico gnomo in cerca di una terra per il suo popolo. Egli propose al principe uno scambi se la sua gente avesse avuto il permesso di abitare quelle terre, in cambio si impegnava a rendere lucenti le montagne del suo regno. Siglato il patto, gli gnomi tessero per un'intera notte la luce della Luna e ne ricoprirono tutte le rocce. La principessa potè così tornare sulla terra per vivere felicemente con il suo sposo. E le Dolomiti presero il nome di Monti Pallidi.