Oliveto Citra

IL COLOMBRE

Il colombre, “un pesce che i marinai sopra tutti temono”, rappresenta la paura ancestrale e la forte attrazione per l’ignoto, per il pericolo, per l’imprevedibile “...e per qualche tempo Stefano non pensò più al mostro marino, ma l’idea di quella creatura nemica che lo aspettava giorno e notte divenne per lui una segreta ossessione”. Nella prima parte la paura è rappresentata da uno squalo, nella seconda viene suscitata dall’invasione nel nostro territorio degli extracomunitari, la cui presenza suscita reazioni diverse, dalla solidarietà al rifiuto, all’indifferenza. Alla fine si scopre che “la paura è la paura stessa di averne”.

LA FAVOLA DEI SALTIMBANCHI

"Quello che ignori non esiste, trovi? La fantasia per te non è realtà? Ma solo lei ci schiude mondi nuovi: nel creare è la nostra libertà!"

La direzione di una grande industria chimica offre a un gruppo di saltimbanchi l'opportunità di girare per il paese allo scopo di propagandare i suoi prodotti. L'unica condizione è che essi facciano a meno di Eli, una ragazza psichicamente minorata che i saltimbanchi hanno raccolto in fin di vita ai margini di una strada dopo una catastrofe chimica: evidentemente la sua presenza non farebbe gioco in una campagna pubblicitaria! Com'è facile intuire, la vicenda prenderà invece sviluppi inaspettati… LA FAVOLA DEI SALTIMBANCHI è un fantastico racconto in versi dell'autore della Storia infinita che sempre tenta, con l'immaginazione e la poesia, di aprire spiragli di luce in questo mondo grigio.

I PROMESSI SPOSI... VISTI DA NOI!

La rappresentazione ripercorre, grazie anche all’intervento esterno della narratrice, i momenti salienti del romanzo, dalla vicenda di Don Abbondio al rapimento di Lucia, dalle avventure di Renzo a Milano al perdono di Don Rodrigo morente, il tutto però letto in chiave riveduta: i ritmi incalzanti, i contenuti comici e alcune simpatiche variazioni nella caratterizzazione dei personaggi – Lucia ad esempio non appare mite e pura, ma al contrario molto risoluta – presentano allo spettatore un volto nuovo della letteratura, un modo originale di far convivere teatro e scuola. Nel lavoro la spontaneità dei ragazzi è palpabile, ma trapela anche un’ oculata didattica teatrale. Pur con i dovuti accorgimenti, si potrebbe parlare di metateatro, di teatro nel teatro; i piani della rappresentazione sono infatti due: da una parte il tentativo degli alunni di attualizzare il romanzo tramite la messinscena, dall’altra la vera e propria resa scenica dei Promessi Sposi, e lo spettatore è pienamente consapevole di ciò grazie alle continue incursioni della piccola regista, vero e proprio trait d’union tra i due piani, che si alternano continuamente in un fluido gioco di sovrapposizioni. E’ evidente nel lavoro la continuità della formazione e l’efficacia di un lavoro incessante svolto sul territorio e nei luoghi della crescita per eccellenza, le scuole.

NIET SNEK-NARF

Ad uno sguardo attento infatti il titolo non è altro che il capovolgimento letterale di “Frankenstein”, vivo nell’ immaginario collettivo come un “diverso” buono. Non si tratta affatto di una mera traduzione scenica del romanzo di Mary Shelley, ma di un testo completamente reinventato, costruito mescolando vari spunti: i tratti salienti riecheggiano il famoso romanzo - la creazione di una creatura che sfugge al controllo del suo stesso creatore, il dolore celato dalla stessa per la sua “diversità”, la solitudine che si trasforma in mostruosa cattiveria e che porta all’ uccisione dell’ “altro”, dell’ uomo che non sa comprendere ed accettare il “mostro”- ma il complesso intreccio scenico suggerisce molte altre riflessioni, infinite altre storie di diversità. Forte l’uso del linguaggio simbolico, della mimica corporea e facciale, forte il significato di fondo: lo scontro tra la “creatura” – una e trina, bianca e nera, sintesi di bene e male – e le bambole - anch’ esse creazioni artificiali, esseri inquietanti, immobili nel corpo e nell’ anima, ulteriormente diverse perché incapaci di intendere e provare il “bene”- termina con la morte della prima e il trionfo delle seconde, capaci solo di provare invidia e di uccidere chi è diverso come loro, eppure diverso da loro. In scena dunque lo scontro titanico tra l’amore e l’odio, generato dall’amara incapacità di accettare l’ “altro”, dalla paura di essere minacciati dal “diverso”. Un gioco di scatole cinesi, proiettato all’infinito, per riflettere sul valore relativo e mai assoluto della “diversità”, per capire che il diverso è indefinibile, inafferrabile, incontrollabile e perciò irrinunciabile. Tra atmosfere noire, in un turbine di musiche e luci che stordisce, lo spettatore è invitato, velatamente, a riflettere sulla straordinaria, e a volte pericolosa, complessità umana.