di Lorenzo Balma

La questione curda


“Credo che noi curdi stiamo lottando per tutto il mondo libero.”

Ma’sud Barzani


Il territorio del Kurdistan coincide (o meglio, coinciderebbe) con il vasto altopiano anatolico, la regione chiamata “mezzaluna fertile” ricca di risorse idriche (ma anche petrolifere), che include la Turchia orientale, l’Iraq settentrionale, l’Iran Nord occidentale e la Siria settentrionale, il cui tessuto etnico e religioso si era formato da migliaia di anni grazie alla coesistenza e convivenza di diversi popoli. Curdi, armeni, arabi, assiri, turchi, turcomanni, ebrei, azeri e persiani vivevano insieme da migliaia di anni, in un calderone religioso e linguistico. La maggioranza della popolazione curda professa l’islam sunnita sciafeita, ma sono presenti comunità di cristiani, ebrei, aleviti e zoroastriani. Per quanto riguarda il profilo linguistico dell’area, il curdo appartiene al gruppo iranico del ceppo linguistico indoeuropeo, presentando molte forme dialettali (Kurmanji, Badini, Sorani) e coesiste con le lingue di ceppo turco e semitico. Si contano 45 milioni di curdi in Medio oriente, di cui la metà vive nelle zone turche.

Con la caduta dell’impero ottomano, il crollo degli equilibri in medio oriente e il modello dello stato nazionale imposto dagli accordi di Sykes-Picot, che ridisegnavano nuovi confini e manifestavano nuovi progetti politici imperialisti nell’area da parte dell’Occidente, il sodalizio tra popoli venne meno e incominciarono guerre etniche e religiose, che sfociarono anche nella soppressione culturale e al genocidio, come nel caso dei curdi. I gruppi di potere delle nuove realtà nazionali infatti, per paura di una possibile frammentazione interna, usarono il nazionalismo come nuovo collante ideologico, arrivano a negare l’esistenza di interi gruppi etnici. Con il trattato di Losanna del 1923 si formarono le nuove realtà nazionali di Turchia, Siria, Iran e Iraq, ma i curdi conservarono una propria identità e unità culturale di fondo, benché si trovarono divisi tra i nuovi stati nazione e i protettorati europei come la monarchia irachena, che ignorarono sistematicamente le disposizioni ONU sul riconoscimento dei diritti e delle zone di indipendenza curde. Da questo momento la storia del popolo curdo si frammenta nei vari contesti nazionali, ma si unisce nel fasto destino della persecuzione e della lotta armata.

La prima figura di spicco della resistenza fu Mustafà Barzani, che rifugiatosi nel Kurdistan iraniano nel 1945 e con l’appoggio delle truppe sovietiche forma la Repubblica popolare curda sotto l’azione del Partito democratico curdo (PDK), con capitale Mahabad e presidente Qazi Muhammad. Con il ritiro delle truppe sovietiche, gli iraniani ripresero il controllo dell’area.

In Iraq invece, quando il generale Qasim rovesciò la monarchia i curdi furono invitati a tornare in Iraq, incentivati dalla promulgazione di una costituzione che tutelava i diritti dei curdi e ne riconosceva l’etnia.

La prima vera rivolta curda, che chiamano “Raperin” (insurrezione/ribellione), avvenne a Erbil, dopo che Qasim limitò le libertà ai curdi. Guidati da Barzani, i partigiani peshmerga e i militari del PDK si batterono contro l’esercito regolare iracheno, che li costrinse ad una ritirata sulle montagne. Nemmeno la deposizione di Qasim nel 1963 cambiò la situazione, dato che il nuovo regime di Arif (appoggiato dal partito baathista di ispirazione panarabista) riprese i combattimenti con il PDK che si opponeva alle politiche di arabizzazione forzata, portando al riconoscimento di una zona curda nella regione montuosa tra Turchia e Iran. Le ostilità con il regime baathista iracheno continuarono anche durante gli anni ‘70, sempre all’insegna di continue azioni di lotta armata a cui seguivano contrattazioni spesso caratterizzate da concessioni solo di facciata, che poi venivano ritirate, come ad esempio nel 1974 quando Saddam Hussein revocò le libertà precedentemente concesse nel 1970 (che comprendevano libertà civili, la legalizzazione del PDK, l’uso della lingua curda e cariche istituzionali nel governo iracheno) e a cui seguì una seconda insurrezione popolare sostenuta dallo Shah di Persia Pahlavi. Nella città di Erbil si formò un governo e un parlamento curdo protetto dall’Iran, che successivamente tolse la protezione sul confine in seguito agli accordi di Algeri che ridisegnavano i confini Iraq-Iran, provocando l’avanzata dell’esercito iracheno e causando un esodo verso l’Iran decine di migliaia di profughi curdi, mentre solo una parte del PDK rimase in Iraq.

In Siria invece venne fondato nel 1975 l’Unione patriottica del Kurdistan (UDK) da Jalil Talabani, che incominciò azioni di guerriglia a sud est del Kurdistan iracheno, in contumacia con la guerriglia del PDK, portando concreti risultati e la ritirata da parte delle truppe di Hussein. Incominciarono però dissidi di natura organizzativa tra i due partiti di liberazione curda.

Durante la guerra tra Iran e Iraq, i curdi ne approfittarono per intraprendere una nuova insurrezione armata, repressa duramente da Hussein che distrusse i villaggi curdi e ne deportò la popolazione, tanto che nel 2005 il tribunale internazionale dell’AIA qualificò l’attacco come genocidio verso il popolo curdo. La prima e la seconda guerra del golfo, nel 1991 e nel 2003, segnarono importanti passi avanti nel riconoscimento dell’autonomia e nella tutela da parte dell’ONU. In virtù dell’alleanza curda con le forze occidentali (USA in primis), venne eretto nel 1992 il Parlamento curdo regionale in territorio iracheno, con i due partiti ormai rivali che vennero votati in proporzioni pressoché uguali. Questa rivalità sfociò in violenze e lotte civili, che portarono alla divisione del territorio autonomo nelle due province di Erbil e Sulaymaniyya, gestite rispettivamente da PDK e UPK, poi riunificate grazie alla nuova costituzione irachena in una sola regione autonoma curda.

In Turchia invece, che ospita attualmente come detto quasi la metà della popolazione curda, dalla creazione della Repubblica di Ataturk fino ad oggi, vennero negati fin da subito i diritti e la lingua dei curdi, nonché addirittura l’esistenza di un’etnia curda, tant’è che venivano chiamati “turchi delle montagne” e venne loro negato l’uso dei loro cognomi. Nel 1978 venne fondato il Partito dei lavoratori del Kurdistan, di stampo marxista leninista, con capo Abdullah Ocalan (arrestato nel 1999 e tutt’ora in carcere con condanna all’ergastolo). La violenta lotta del PKK lo portò ad essere considerato dal tribunale internazionale come “organizzazione terroristica” sull’onda dell’attentato alle Torri Gemelle nel 2001. Il PKK ha abbandonato la visione marxista, in favore di teorie di confederalismo democratico ed è attualmente coinvolto al fianco dello YPG siriano, fondato nel 2012, nella lotta contro lo stato islamico.


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