di Lorenzo BalmaLE MILLE E UNA NOTTE

LA DISGREGAZIONE DELL’IMPERO OTTOMANO

La storia dell’Impero ottomano è stata densa di avvenimenti che hanno coinvolto e segnato, direttamente o indirettamente, lo sviluppo dell’Europa e quello di altre vaste regioni del Nord Africa e del Medio Oriente. È opinione diffusa, infatti, che i tentativi delle potenze occidentali di appropriarsi dei territori disgregatisi dall’Impero tra Ottocento e Novecento, in parallelo ad un processo di laicizzazione e modernizzazione coatto, furono tra le cause che scatenarono la reazione fondamentalista e la confusione politica che tutt’ora affliggono l’area un tempo sottomessa alla Sublime Porta.

Per molti secoli l’impero ottomano ha rappresentato un grande ed importante organismo politico, etnico, religioso e militare, che si proponeva contemporaneamente come erede del mondo greco-romano e guida dell’universo islamico, nel duplice ruolo di impero-califfato. La grande forza di Istanbul aveva saputo ereditare e metabolizzare la tradizione istituzionale bizantina, mantenendo a lungo un saggio equilibrio fra le fedi e le etnie, utilizzando le istituzioni locali a proprio vantaggio e rispettando, secondo i precetti della legge islamica, le prerogative dei sudditi non musulmani, creando quindi un impero multietnico e abitato da sudditi di varie religioni differenti.

Durante l’Ottocento, la perdita di territori causata dalla Guerra di indipendenza Greca (1821-1832), la conquista francese dell’Algeria (1830) e l’imposizione, sempre da parte francese, del protettorato in Tunisia (1881) e di quello inglese a Cipro (1878) Egitto (1883), nonché l’arretratezza logistica e bellica dimostrate durante la guerra di Crimea (1853-1856), furono fattori che stimolarono uno sforzo di modernizzazione civile, istituzionale, militare ed economica. Nel primo decennio del Novecento, dunque, l’Impero ottomano, definito “il malato d’Europa”, finì per essere sostanzialmente supervisionato – ed in parte controllato – dalle principali potenze europee: il vuoto di potere ed il conseguente caos che si sarebbero potuti verificare in seguito ad un crollo definitivo dell’apparato amministrativo e militare ottomano in Medio Oriente, inquietava i diplomatici occidentali, prudentemente in gara per spartirsi il ricco bottino. Fu per questa ragione che, consci del pericolo di un’imminente disgregazione politica e nazionale, alcuni intellettuali turchi iniziarono a teorizzare e a reclamare una radicale modernizzazione strutturale e funzionale dell’impero. Innescare un rapido processo di occidentalizzazione degli apparati burocratici ed istituzionali dello Stato sembrava infatti l’unica alternativa possibile alla frantumazione territoriale o, peggio, alla colonizzazione dell’impero da parte di potenze europee.

Il Sultanato mancava innanzitutto della necessaria coesione politica interna; non era in sostanza una nazione, ma un insieme di popoli assai diversi gli uni dagli altri uniti soltanto dalla comunanza del potere centrale. Inoltre, grave problema nella visione politica dell’epoca, la classe dirigente non faceva capo ad un medesimo gruppo etnico e culturale: molti suoi membri appartenevano a regioni geograficamente, linguisticamente e culturalmente molto distanti tra loro. Ad aggravare la situazione politico-amministrativa concorreva l’ingente debito dell’Impero, detenuto in gran parte dalle potenze europee, per la gestione del quale venne fondata la Banca Ottomana, che ricoprì il ruolo di banca centrale dal 1875.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento, si assistette ad una ventata nazionalista, un vasto movimento panturchista che si opponeva ai principi storici della Sublime Porta, che trovò la sua più forte espressione nel movimento dei Giovani Turchi, il quale aveva forti radici nell’esercito e che costituì l’organizzazione clandestina Unità e Progresso, di impronta nazional-liberale. Nel frattempo, gli spaventosi massacri condotti contro gli armeni contribuirono a isolare sempre più in campo internazionale il governo del sultano, che si trovò schiacciato da irresistibili pressioni interne ed esterne.

Nel 1908, in risposta alle fucilazioni senza processo degli ufficiali sospettati di appartenere al movimento, l’ala paramilitare dei Giovani Turchi marciò su Istanbul nel 1908, deposero il Sultano in favore di suo fratello, Maometto V, e lo obbligarono ad adottare la costituzione del 1876. In seguito a questi fatti, si verificò un aperto contrasto con altre fazioni dell’impero: il movimento filoturco cercava infatti di imporre forzosamente la propria cultura anche alla popolazione araba, greca e slava, la quale invece chiedeva una maggiore decentralizzazione ed una maggiore rappresentanza politica. Gli scontri tra turchi ed altre etnie vennero sedati violentemente dal governo centrale, che procedette con l’imprigionamento e la repressione dei movimenti contrari all’omologazione. La modernizzazione e l’occidentalizzazione dello Stato ottomano, promossa da tutti i paesi Europei e legata a doppio filo con l’idea di autodeterminazione, sembrava dunque coincidere di pari passo però con l’impossibilità di mantenere unito l’Impero.

Quando i Giovani Turchi, sotto il nome di Comitato per l’Unione ed il Progresso (CUP) vinsero le elezioni nel 1912 sotto l’egida di Enver Pascià, abbandonate le tendenze liberali, esasperarono il loro nazionalismo in senso fortemente ostile alle minoranze non turche. Per il CUP però si preannunciò un difficilissimo biennio di governo: tra il 1911 ed 1913 l’Impero dovette affrontare la guerra Italo-Turca (1911-1912), conclusasi con la perdita della provincia di Libia, nonché le Guerre Balcaniche (1912-1913), nelle quali venne sconfitto dalla coalizione formata da Bulgaria, Grecia, Montenegro e Serbia, perdendo la quasi totalità dei territori europei ancora in suo possesso, tranne la Tracia, riconquistata alla Bulgaria durante la seconda fase del conflitto.

La fase finale della disgregazione avvenne a seguito della Prima Guerra Mondiale, nella quale Istanbul scese in campo al fianco degli Imperi Centrali, cercando di dare manforte nel Mediterraneo e nel Mar Nero, impendendo l’accesso alla Russia meridionale attraverso i Dardanelli.

La spartizione delle province arabe dell’Impero, venne stipulata dalla Triplice Intesa con gli accordi di Sykes-Picot, firmati il 16 maggio 1916. Furono i bolscevichi a mettere a repentaglio questi accordi, denunciando in ottica anti-iperialista le trattative segrete, permettendo agli arabi di accorgersi che erano stati traditi e manipolati dagli occidentali. Francia e Gran Bretagna corsero subito ai ripari, cercando nella conferenza di San Remo (aprile 1920) di fissare le nuove frontiere ed i nuovi Stati-nazione, che vennero ufficializzati nel trattato di Sèvres (agosto 1920). Al Regno Unito venne riconosciuta l’influenza su Palestina, Giordania, Egitto e la Penisola Arabica, mentre alla Francia quella su Siria, Libano e Mosul, nell’attuale Iraq, a difesa dei cristiani d’oriente. Il Bosforo e Gerusalemme rientrarono sotto controllo internazionale. Vennero sancite anche la creazione di uno stato Armeno nel nord est, la cessione alla Grecia della Tracia e della provincia di Smirne nonché la possibilità di costituzione di uno stato Curdo. Alla nuova Turchia veniva concesso, senza diritto a nuove reclamazioni territoriali, il controllo dell’Anatolia.

L’insoddisfazione per il trattato fu la causa della sollevazione dei Giovani Turchi guidati da Mustafa Kemal detto “Ataturk”, padre dei turchi. Dopo tre anni di conflitto con la Grecia per il controllo di Smirne, della Tracia e delle isole dell’Egeo orientale, che sfociarono nella riconquista e in una tragica pulizia etnica, e dopo il definitivo collasso del Sultanato, Ataturk riunì ad Ankara la Grande Assemblea Nazionale Turca, dalla quale venne partorito il nuovo governo, che impose creazione di uno stato laico sul modello europeo.

Le potenze alleate riconobbero la nuova situazione creatasi in Turchia, il nuovo stato kemalista e si impegnarono per una revisione del trattato di Sèvres. A Losanna, il 24 luglio 1923 venne firmato il nuovo trattato: furono stabiliti i confini tra Grecia, Bulgaria e Turchia, l'indipendenza della Repubblica di Turchia, ed il rispetto delle minoranze etniche e religiose. Cipro fu assegnata all'Impero britannico, Libia e Dodecaneso all'Italia. La sorte della provincia di Mosul sarebbe stata decisa in seguito dalla Società delle Nazioni.

Il malato d'Europa, dunque, cadde vittima delle lotte per il processo di autodeterminazione dei popoli, mentre la sua eredità geografia venne portata avanti dalla Turchia moderna, che resterà fino ai giorni nostri - come il suo predecessore - snodo fondamentale e finestra affacciata sull’Oriente.

LETTURE ED APPROFONDIMENTI

- Giorgio Del Zanna, “La fine dell’impero ottomano”, Il Mulino

- Suraiya Faroqhi, “L’impero ottomano”, Il Mulino