P.S. Se la lezione sull'uso delle ripetizioni in poesia non vi giunge nuova un motivo c'è! ;-)
In occasione dell'8 marzo la classe è stata impegnata in due attività distinte: mentre i ragazzi si preparavano, a coppie, a regalarci alcuni momenti di riflessione e divertimento reiterpretando le vite di grandi donne "ribelli" (prese da questo libro ), le ragazze si sono riunite attorno ad un grande tavolo e hanno scritto un'intervista a "ventiquattro mani" ad Alessandra Marcer, ingegnera delle telecomunicazioni alla "Thales Alenia Space".
L'idea è nata in seguito ad una affermazione un po' frettolosa e molto infelice di uno dei ragazzi ("Eh, ma certi lavori non sono adatti ad una donna!"), per fortuna velocemente contestata da compagne e compagni. Abbiamo quindi riflettuto su come le "S.T.E.M." (acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics) siano spesso considerate discipline poco adatte alle ragazze.
Così ho raccontato di Alessandra e del suo lavoro, proponendo quindi di scrivere un'intervista per chiederle quale fosse il suo punto di vista in merito.
Confidavo nella disponibilità della mia amica che, come potrete leggere, è andata ben oltre le mie aspettative, meritandosi la mia eterna gratitudine: grazie a lei la 2C si è portata a casa molti spunti su cui riflettere, grazie a lei loro hanno aperto una finestra sul mondo e un po' ne è entrato in classe.
Buona lettura!
D: Cos’è la Thales Alenia Space?
R: È una società italo-francese che si occupa di progettare, costruire e fornire sistemi spaziali end-to-end. I suoi clienti fanno parte sia del settore pubblico (Agenzie Spaziali, Ministero della Difesa) che privato (ad esempio Globalstar o Iridium che sono costellazioni di satelliti per la telefonia mobile).
Le applicazioni di questi sistemi sono molteplici: telecomunicazioni (Fisso/ Mobile, Banda larga, Duale / Militare, Sicurezza), osservazione della Terra (Cambiamento climatico, Meteorologia, Oceanografia, Intelligence, Sorveglianza), navigazione (Localizzazione, applicazioni specialistiche per l’Aeronautica, Comunicazioni, Raccolta dati), esplorazione (Planetologia, satellite per ricerche di Fisica fondamentale, Astronomia, Voli umani tra cui la Stazione Spaziale Internazionale, Sistemi di trasporto spaziale).
La Thales Alenia Space conta 7.500 impiegati, suddivisi fra le sue 12 sedi in 7 nazioni in tutta Europa. In Italia ce ne sono 4: Torino, Milano, Roma e L’Aquila. La sede di Torino, dove lavoro io, si concentra principalmente sul mercato istituzionale, che riguarda i sistemi per osservazione ed esplorazione: insomma, ci occupiamo dei satelliti e dei moduli non commerciali ma scientifici.
D: In che cosa consiste il tuo lavoro?
Io mi occupo di progettare i sistemi di telecomunicazioni montati sui satelliti scientifici, e seguirne l’assemblaggio ed i test. Adesso sto lavorando su quello di ExoMars, che nel 2020 verrà lanciato verso Marte. Comunicare dallo Spazio verso Terra, coprendo distanze più elevate di quella che ci separa dal Sole, richiede molte analisi e simulazioni, e l’utilizzo di tecnologie altamente specializzate per i trasmettitori, gli amplificatori e i sistemi di puntamento delle antenne. Inoltre, dobbiamo anche prestare attenzione al rispetto delle normative europee, che servono a garantire la sicurezza sia per la Terra (non bisogna interferire con gli altri sistemi di telecomunicazioni) che per gli altri pianeti (ad esempio, ogni unità mandata su un altro pianeta deve essere accuratamente sterilizzata, per evitare che la vita che andiamo a cercare la possiamo avere, inavvertitamente, portata noi stessi).
Per ora, i sistemi di comunicazione tra i satelliti e la Terra avvengono tramite le onde radio, però noi stiamo anche studiando dei nuovi sistemi di comunicazione via laser, che saranno molto più veloci e precisi, ma che richiedono delle tecnologie ancora in fase di perfezionamento.
D: Quanto tempo passi al lavoro, ogni giorno?
R: La mia giornata lavorativa normalmente è di 9 ore: 8 di lavoro e 1 di pausa pranzo. A volte ci possono essere scadenze o riunioni che richiedono di fermarmi più tardi la sera, oppure altre volte vado a visitare qualche fornitore (ad esempio, a Mosca, o in Belgio o Spagna) oppure il nostro cliente principale, l’ESA (European Space Agency in Olanda) ed in questo caso sto via di casa per 2-3 giorni.
Quando entreremo nella fase finale del progetto che sto seguendo adesso, poi, probabilmente mi verrà richiesto di effettuare trasferte più lunghe, anche di qualche settimana, per seguire la campagna di lancio (cioè gli ultimi collaudi e test sul satellite prima della sua partenza). I satelliti che produciamo vengono lanciati dalla base spaziale di Kourou, nella Guyana Francese subito a nord del Brasile, oppure da quella di Baikonur, in Kazakistan (questo è il caso di ExoMars).
D: Ti trovi bene con i colleghi?
R: Con i miei vicini di ufficio e con i colleghi di progetto mi sono sempre trovata, fortunatamente, molto bene. In certi casi si sono sviluppate anche delle bellissime amicizie, che durano ancora oggi anche se alcuni sono andati via dall’azienda, e spesso organizziamo uscite serali o qualche scampagnata durante i weekend.
Devo dire, però, che purtroppo ho vissuto anche qualche episodio spiacevole con qualche collega che ci ha provato con me in maniera insistente, quando ero appena stata assunta. In quel caso i miei colleghi-amici mi hanno aiutata e li hanno convinti a smettere di infastidirmi. È sempre importante raccontare tutti ai propri amici! Anche se, in realtà, avrei dovuto raccontare tutto al mio capo, e io non ne avevo il coraggio. Adesso sarebbe tutto più facile, perché si può denunciare lo stalking alla polizia.
D: Quante donne ci sono nell’azienda?
R: Nella mia azienda ci sono molte donne soprattutto nel ramo degli studi astronomici (sono astronome, fisiche e matematiche) e del software, mentre le ingegnere sono ancora una minoranza. E in totale, comunque, la percentuale di uomini è più alta. Comunque, il numero di donne sta crescendo sempre di più. Le materie scientifiche stanno appassionando sempre più ragazze, e in più, nelle università di ingegneria (ad esempio, al Politecnico di Torino), sono stati introdotti degli incentivi per le ragazze che vogliono intraprendere questi studi. E così, adesso ci sono molte giovani ingegnere che arrivano nella mia azienda, e sono sempre molto apprezzate per la loro capacità e precisione nel lavoro.
La mia azienda riconosce il valore delle donne. Si sono accorti che le donne non sono solamente capaci quanto gli uomini, ma anche che sono diverse da loro per molti versi, e questa diversità si può sfruttare per aumentare l’efficienza e per lavorare meglio. Il nostro reparto di Risorse Umane ci ha fatto anche seguire alcuni corsi a riguardo, dove una psicologa e una life coach ci hanno fatto notare che, ad esempio, le donne sono più inclini degli uomini al multitasking (cosa molto importante nella gestione dei progetti) e che sanno interpretare meglio i rapporti interpersonali all’interno dei team, per far funzionare meglio il lavoro di squadra. Inoltre, anche nel lavoro tecnico sono più inclini degli uomini a mantenere presente anche una componente emotiva (questo è dovuto alla conformazione del cervello, non possiamo farci niente!), il che, anche se può sembrare svantaggioso per via del pericolo di crolli emotivi, in realtà, in un ambiente di lavoro sano, aiuta a mantenere l’armonia e, quindi, la concentrazione. Infatti nella mia azienda ci sono molte donne manager.
D: Com’è stata la tua infanzia? Quale lavoro volevi fare da piccola?
R: Sono cresciuta in una famiglia direi normale, e la mia infanzia è stata bella. Mia mamma fa la maestra alle elementari, quindi quando ero piccola ho potuto passare molto tempo con lei, oppure mi sono potuta dedicare a molte attività pomeridiane: poverina, era sempre impegnata ad accompagnarmi di qua e di là, tra lezioni di pianoforte, sport e ginnastica correttiva (avevo la scoliosi). Mio papà fa l’ingegnere meccanico, quindi lavorava tutto il giorno e lo vedevo solo alla sera. E poi ho un fratello più piccolo di me di 6 anni che si chiama Paolo e adesso fa l’architetto a Udine. Quando eravamo piccoli, spesso gli facevo da baby-sitter.
Abitavamo nello stesso pianerottolo dei nostri nonni paterni, mentre quelli materni abitavano a circa due ore di macchina insieme a tutti dli zii e cugini, che vedevamo quindi solo per i compleanni o le feste. Comunque ho sempre avuto tantissimi amici, anche viste tutte le attività che facevo, quindi di certo non mi sono mai annoiata.
Tutte le estati andavamo in vacanza al mare, e ci andiamo ancora adesso, sempre nello stesso posto, a Bibione, e così anche lì ci eravamo creati una bella compagnia di amici che si ritrovavano tutti gli anni (alcuni li ritrovo ancora oggi), e proprio lì, molti anni dopo, ho anche conosciuto mio marito!
Da piccola piccola, quando ero all’asilo, avevo il sogno di fare la cassiera o la postina, perché mi piaceva tantissimo catalogare le cose e metterle al loro posto, e poi ero una chiacchierona (mia mamma mi chiamava “prezzemolina”) quindi volevo stare in mezzo alle altre persone. Poi, crescendo e andando a scuola, ho iniziato ad appassionarmi di spazio, e ho pensato che sarebbe stato bello studiarlo e provare a lavorarci. Ero al liceo quando mio papà mi ha portata con sé in una trasferta lavorativa proprio alla Thales Alenia Space, con la quale all’epoca la sua azienda aveva un contratto di fornitura, e io ho potuto toccare con mano (non letteralmente, perché nelle camere di montaggio non si può toccare niente!) un modulo della Stazione Spaziale Internazionale. Questa esperienza mi ha folgorata!
Comunque, devo ammettere che ho sempre avuto anche un’altra passione che mi ha portata a fare un lavoro molto diverso, che ora però ho abbandonato. Mi sono sempre piaciuti lo spettacolo e il ballo, e soprattutto le attività di fitness coreografico. Così, a 17 anni ho iniziato a lavorare come animatrice in estate, e tenevo i corsi di aerobica e balli di gruppo in spiaggia, ed ero anche la coreografa degli spettacoli serali. Ho fatto questo lavoro per sei anni, poi però ho dovuto smettere perché l’università non mi lasciava abbastanza tempo libero. Comunque ancora adesso mi piace ballare e vado in palestra almeno 3 volte alla settimana.
D: Andavi bene a scuola? Qual era la tua materia preferita?
R: Mi è sempre piaciuto studiare e a scuola andavo bene. Si può dire che incarnassi lo stereotipo un po’ sfigato della secchiona, soprattutto alle medie, quando avevo anche dei brutti occhiali da vista e il busto per la schiena! Però comunque avevo tanti amici, anche perché li aiutavo volentieri con i compiti.
Non avevo una materia preferita, ma detestavo la chimica, perché era la materia che obbligava, più di tutte le altre, ad imparare le cose a memoria, e io non ho una buona memoria. Imparo meglio le cose se seguono un filo logico, o se ci posso arrivare con un ragionamento (in questo senso, l’ingegneria è il mio campo ideale!).
D: Che liceo hai frequentato? E che università?
R: Ho frequentato il liceo scientifico, con sperimentazione di informatica. Questo significava che, ogni settimana, qualche ora di matematica veniva dedicata alla programmazione di algoritmi, e in più che abbiamo iniziato a studiare fisica già dal primo anno, anziché dal terzo.
Poi all’università ho studiato ingegneria delle telecomunicazioni. Avrei voluto iscrivermi ad aerospaziale, ma a Padova non c’era, e le telecomunicazioni mi sembravano la scelta più “futuristica” tra quelle che avevo a disposizione e che erano applicabili all’ambito spaziale.
D: I tuoi genitori ti sostenevano?
I miei genitori mi hanno sempre sostenuta in maniera propositiva. Mi hanno sempre spronata a puntare al meglio, anche dimostrandosi molto esigenti. A volte è stata dura, ma adesso guardandomi indietro non posso che dire di essere soddisfatta dall’impegno che ho saputo mettere nei miei studi e dai risultati che mi hanno portata dove sono adesso. E non parlo solo della scuola e del lavoro: anche nelle attività extra scolastiche, loro mi hanno sempre incoraggiata ad esplorare nuovi interessi e ad essere curiosa e attiva (sicuramente anche perché io, di mio, invece sarei una pigrona!). Sono stata fortunata, perché da piccola ho potuto provare molti sport e imparare a suonare uno strumento, insomma ho imparato che più cose si fanno, più ci si arricchisce, e questa è la cura migliore alla pigrizia.
D: Quand’è che hai deciso di intraprendere questa carriera, e perché l’hai scelta?
Come ho scritto prima, ho concretizzato il mio sogno di imparare a costruire i satelliti durante il liceo, quando ho visitato la Thales Alenia Space. Lo spazio mi ha sempre affascinata, ma non ho un animo contemplativo, da pura studiosa: sono una persona che vuole “sporcarsi le mani”, quindi volevo trovare il modo di occuparmi di spazio, ma non mi andava di diventare astronoma o fisica, cioè una pura ricercatrice (e poi, una ricercatrice senza memoria non si è mai vista!). Preferivo un lavoro pratico, anche forse vedendo l’esempio di mio papà, che sa aggiustare tutto e mi ha insegnato il piacere di cercare le soluzioni ai problemi e poi metterle in pratica. La scelta che ho fatto era, quindi, l’unica possibile per coniugare la passione per lo spazio ed il mio senso pratico.
D: Hai trovato molti ostacoli nella tua vita? Come li hai superati?
Penso che tutti troviamo degli ostacoli nella vita, e che siano grandi o piccoli, ci sembrano (giustamente) sempre enormi quando ci capitano. Il mio problema non era poi così gigante, ma devo dire che, mentre lo vivevo, a volte mi sembrava totalizzante.
Io ho sempre avuto problemi osteo-articolari, da quando sono nata. Alla nascita, avevo i piedini “torti” (girati verso l’interno) e mi hanno messo subito dei gessi, dicendo ai miei genitori che non avrei mai camminato. Loro invece mi hanno portata in un centro specializzato dove mi hanno fatto delle sedute di fisioterapia, e piano piano mi hanno (quasi) raddrizzata. Poco dopo, mi hanno diagnosticato i piedi piatti, così ho trascorso le scuole elementari portando i plantari e facendo altre sedute di fisioterapia più volte alla settimana. Guarita dai piedi piatti, mi è venuta la scoliosi, e per tre anni ho portato il busto per la schiena, sempre continuando con la ginnastica correttiva, sia al centro di fisioterapia che da sola, a casa, tutte le sere.
Allora vivevo tutti questi avvenimenti con filosofia, avevo un forte senso del dovere e sapevo che avrei dovuto impegnarmi per risolvere il problema (approccio ingegneristico), ma a volte mi scoraggiavo, perché le mie condizioni fisiche mi impedivano di fare quello che preferivo (per colpa della scoliosi ho dovuto smettere con la danza e con il pattinaggio artistico, che adoravo, e iscrivermi a nuoto, che detestavo).
Per fortuna, alla fine, tutti questi anni di correzione e ginnastica sono serviti e adesso sto bene. Ho ancora le articolazioni deboli, ma mi basta tenermi in forma, con la muscolatura tonica, per compensare il problema. È anche un altro strumento contro la pigrizia!
E poi chissà? Magari anche quest’avventura ha contribuito a rendermi ingegnera: c’è un problema? Vediamo di capire come si risolve, per il resto è inutile crucciarsi.
D: A che età hai cominciato a lavorare?
R: Il mio primo contratto da animatrice ce l’ho avuto a 17 anni, mentre il mio primo contratto da ingegnera è arrivato a 25. E ho fatto e faccio anche altri lavori: organizzatrice di feste (alle medie), segretaria in un’autoscuola (durante l’università), produttrice di gioielli di bigiotteria (adesso).
Nomino anche questi lavoretti perché penso che tutto il mio percorso sia stato, e sia, utile. E non sono la sola: anche il mio primo capo, quando mi ha assunta, mi ha detto che il fatto che io avessi fatto l’animatrice e la segretaria era apprezzato in azienda, perché voleva dire che avevo capacità relazionali e organizzative, e che me la cavavo con le lingue straniere. E poi, secondo me è bellissimo diventare autonomi e iniziare prima possibile a darsi da fare, perché quando si vede che il proprio lavoro è apprezzato e ricompensato, la sensazione è bellissima (ancora meglio di un bel voto a scuola).
I miei primi contratti da ingegnera sono stati precari. Ho lavorato per 9 mesi gratis, come tesista prima per la laurea e poi per un master, e poi ho avuto un contratto temporaneo, che è stato rinnovato per tre volte prima di diventare indeterminato. In quel periodo, sono stata fortunata perché i miei genitori mi hanno supportata economicamente, altrimenti non avrei potuto permettermi di vivere da sola a Torino senza un introito fisso e contando solo sui miei risparmi provenienti dal lavoro estivo. Purtroppo oggi questo tipo di percorso è molto comune, e quindi anche per questo è importante avere flessibilità e voglia di adattarsi.
D: Hai mai avuto dubbi sulla tua carriera?
R: Attualmente non ho dubbi riguardo alla mia scelta e non ne ho avuti in passato. Ma penso che potrei averne in futuro, perché sono una persona che dopo un po’ si annoia e vuole provare cose nuove. In più, non sono sicura che mi piacerebbe fare carriera nella mia azienda, perché i manager spesso sono costretti ad occuparsi di gestione burocratica ed economica dei progetti, e meno dell’aspetto tecnico, che è quello che piace a me. Se dovesse succedere questo, penso che cercherò un nuovo lavoro: qualche nuovo problema da risolvere.
D: Avresti mai pensato di fare questo lavoro?
R: Quando si fa un lavoro, si scopre sempre che i compiti sono molto diversi da quelli che ci si aspettava prima. Ogni attività è composta da molte sfumature da seguire; a volte un singolo aspetto del tuo lavoro prende il sopravvento sugli altri e ti consuma tutte le energie, e non ci si accorge di queste dinamiche finché non ci si trova in mezzo. Quindi ho imparato a non aspettarmi niente e ad adattarmi a quello che mi viene richiesto di volta in volta.
Ad esempio, la settimana scorsa ho scoperto che un fornitore aveva dei problemi con una saldatura del tuo trasmettitore. Nella mia azienda ci sono degli esperti di saldature, mentre io che ho studiato telecomunicazioni di certo non me ne intendo! Eppure, mi sono trovata io a dover coordinare la risoluzione del problema, e anche se i miei colleghi esperti mi hanno aiutata, ho dovuto imparare dei dettagli sulle saldature anch’io, in modo da capire bene se il problema fosse effettivamente risolto. Non si sa mai, quindi, cosa capita di dover fare, e alla fine ogni nuova competenza acquisita diventa un valore aggiunto, perché un buon ingegnere deve sapere un po’ di tutto.
D: Sei contenta del lavoro che svolgi?
R: In generale sono contenta del mio lavoro, anche se sono ancora in una fase di progetto in cui bisogna portare pazienza. In realtà non vedo l’ora di passare alla realizzazione e, soprattutto, al lancio del satellite!
Il mio è un lavoro in cui i tempi sono molto più lunghi rispetto ai lavori più “normali”: può capitare di lavorare sul progetto di un satellite per più di dieci anni prima che venga lanciato. E il satellite è un prototipo unico: non ci si può permettere che qualcosa non funzioni, visto che, una volta in orbita, non è più possibile raggiungerlo per ripararlo. In più, bisogna anche essere pronti ad affrontare i casi peggiori, che purtroppo non sono rari: ad esempio, capita a volte che il razzo con cui i satelliti vengono lanciati esploda in volo, volatilizzando in un solo secondo tutto il lavoro di centinaia di persone e di decine di anni! Si tratta di shock molto forti e anche, forse, difficili da gestire. Però, d’altra parte, se tutto funziona, penso che sia una grossa emozione poter pensare che c’è qualcosa, nello spazio, su cui hai messo lo zampino. Spero che capiti anche a me, un giorno non troppo lontano!
D: Se avessi un figlio cambierebbe qualcosa per la tua carriera?
R: Se avessi un figlio non penso che ci sarebbero impatti sulla mia carriera. Vedo che le mie colleghe riescono a gestire bene figli e lavoro, al rientro dalla maternità, e tutte le manager che conosco hanno figli. Alcune mie colleghe, dopo la nascita dei figli, hanno richiesto la modifica del loro contratto da tempo pieno a tempo parziale, quindi ogni giorno lavorano 6 ore anziché 8. Anche in questo caso, comunque, vedo che il lavoro funziona bene lo stesso, sarà perché noi donne siamo brave ad organizzarci? ☺
D: Quali sono i tuoi hobby?
R: Penso che i miei compagni di facoltà mi vedessero come chiunque altro, anche perché (a parte giocare a calcio!) facevo esattamente le stesse cose che facevano loro. E questa è una cosa che ho sempre apprezzato, perché essere coccolata o privilegiata in quanto donna è una cosa che mi mette a disagio: io sono uguale a tutti gli altri! Insomma, pur mantenendo la mia femminilità, non sono abituata alla cavalleria, e ne sono pure felice. E poi sono una persona amichevole e alla mano, e quindi non mi formalizzo di fronte alle goliardate tipiche dei maschi (non si può fare, quando si sta in mezzo a loro tutto il giorno!). Come risultato, ho sempre avuto tanti amici, anche perché all’università ero una grande organizzatrice di feste, e invitavo sempre i miei compagni di corso a bere il caffè a casa mia, davanti a una puntata dei Simpson, prima di metterci a studiare insieme.
D: Quali sono i tuoi hobby?
R: Al momento sono alla ricerca di un nuovo hobby! Infatti non riesco a mantenere lo stesso per troppo tempo: mi piace imparare a fare cose nuove, e poi, quando mi sembra di padroneggiare la tecnica, mi annoio e voglio iniziare una nuova sfida. In passato ho fatto pianoforte, tango, hip hop, krav maga, pattinaggio artistico a rotelle e poi sul ghiaccio, la dj, le perline in fimo e altri gioielli di bigiotteria (che ogni tanto vendo ancora adesso). Adesso, invece, stavo pensando di provare a cimentarmi con il cucito per imparare a fare delle borse, ma non ho la macchina per cucire e, se la comprassi, non saprei dove metterla… ci devo pensare!
D: Hai animali domestici?
R: Sì, ho due gatti, si chiamano Margot e Spritz. Margot l’ho adottata quando mio marito (allora ancora fidanzato) aveva trovato lavoro in Austria, quindi era andato via di casa per un anno, e io non volevo rimanere da sola. Lui era restio perché gli piacciono di più i cani, ma non ha potuto opporsi alla mia proposta, e a dire la verità adesso è quasi più innamorato dei gatti di me… E così, al suo ritorno, abbiamo adottato anche Spritz, in modo che Margot avesse compagnia mentre siamo al lavoro. Vogliamo loro molto bene ed è bellissimo stare in loro compagnia, ti fanno sentire più “a casa”.
D: Che sport praticavi, se ne facevi?
R: Come ho scritto prima, ho fatto molti sport nella mia vita, cambiando spesso sia per curiosità che per necessità legate ai miei problemi articolari. Però se dovessi trovare un tratto comune tra tutti gli sport che ho praticato, direi che non sono mai stati sport di squadra. Mi piacciono gli sport individuali, in cui la sfida è contro me stessa più che contro qualcun altro, ed in particolare mi piacciono gli sport coreografici (ad esempio l’aerobica e lo step).
D: A casa tuo marito ti aiuta?
R: Fortunatamente, viviamo in un periodo di passaggio in cui i ruoli nella famiglia sono sempre meno imposti da concetti predefiniti, e sempre più dettati dalla vita vera. Anche a casa mia infatti, come in tante altre, la gestione della casa è suddivisa tra me e mio marito a seconda di chi ha tempo o voglia di fare le cose; io e lui siamo interscambiabili, nel senso che entrambi sappiamo fare tutto (anche se io sono più brava con gli impianti elettrici e lui è più bravo a cucinare). In questo senso, non saprei dire chi aiuta chi, perché la casa è di tutti e due, e tutti e due ci diamo da fare in maniera equa. E meno male, perché sinceramente mi sentirei profondamente offesa se lui desse per scontato che i lavori di casa spettino a me solo in quanto donna (beh… in effetti se lui la pensasse così non l’avrei nemmeno sposato!).
D: Come hai conosciuto la prof.ssa De Martin?
R: Io e la vostra prof siamo amiche ormai da 17 anni! L’ho conosciuta durante il bellissimo periodo da studentessa universitaria fuori sede, perché eravamo vicine di casa, e la mia compagna di stanza, Giorgia, era già amica sua e della sua coinquilina, Federica. Loro 3 sono di poco più grandi di me, ma quella piccola differenza a 18 anni si faceva notare, perché distingueva le matricole come me, che non avevano mai vissuto fuori casa e non sapevano fare niente, dagli “studenti grandi”, che conoscevano la città ed erano esperti in tutto. Fortunatamente per me, quando mi hanno conosciuta mi hanno praticamente “adottata” e mi hanno subito inserita nella loro compagnia, e pazientemente insegnato tante cose. La vostra prof, ad esempio, era la maga delle crepes light!
Per chiudere in bellezza, eccovi un'interessante TED talk sull'importanza di insegnare alle ragazze il coraggio, non la perfezione. Buona visione.
Di seguito trovate le riflessioni di Matteo e Catalina sull'imprevista esperienza di cui sono stati protagonisti: come è stato vedersi letti e commentati come scrittori?
Qui accanto puoi rivedere la Prezi su "La grande fabbrica delle parole" (Agnès de Lestrade, Valeria Docampo), mentre qui sotto puoi vedere un video dell'albo illustrato.