Procurandosi un poco d’ombra con la mano ampia, scruta il profilo dell’isola con occhi veloci e piccoli, castani e smaliziati, pronti a coglierne i dettagli più significativi in mezzo a tutto quel bailamme di colori e di riflessi: le case variopinte del porticciolo, l’anfiteatro che è tutta una vigna, qua e là le tinte più chiare degli agrumeti, i fuochi d’artificio dei gozzi arcobaleno sonnecchianti alla battigia dopo un’intera nottata di pesca insonne. E infine la torre, Saracena, la più antica dell’isola; della stessa scura materia degli ultimi lastroni di granito, digradanti verso l’alba, sui quali è stata fondata ed eretta. Mezzo millennio di onorata vedetta. E poi, chissà che cosa c’era prima, nello stesso luogo, al tempo dei Romani, a difenderne la villa e la murenaria: vivaio di prelibatezze ittiche a pelo d’acqua. Certo è che, ancora alla fine del Settecento, erano visibili, al piede della torre, i ruderi del molo d’attracco delle galere imperiali. Su quegli stessi ruderi, nel 1796 l’architetto senese Alessandro Nini, su incarico del Granduca Ferdinando III dei Medici, lanciò la costruzione del molo che ancora oggi protegge a levante la baia del Porto. Quanto alla torre, poi, appartenne alla confraternita del Santissimo Sacramento di Giglio Castello fino a pochi anni prima della nostra storia. Nel 1905, infatti, fu acquistata dal Demanio dello Stato e ceduta al Comune in comodato gratuito per 99 anni.