Figli del granito

Il secondo romanzo della Trilogia viene pubblicato dal Circolo Culturale Gigliese il 31 marzo 2018 con il titolo "Figli del granito".

Anche per questa opera l' Autore utilizza lo pseudonimo Patrick DG Stefanini.

INDICE

Uno – Sogno d’inverno

Due – Il Paradiso è una vigna

Tre – L’essenza dell’Amore

Quattro – Pecore e slot-machine

Cinque – Il miracolo di Malavalle

Sei – Lo scalpellino marinaio

Sette – Il pastore carabiniere

Otto – La Commedia di Mussolini

Nove – Amore a prima vista

Dieci – L’isola di chi va e viene

Undici – Via Garibaldi, 26

Dodici – I morti traslocano

Tredici – Sette guanciali al Giglio

Quattordici – Pezzi grossi

Quindici – Piove bombe!

Sedici – Sfollati

Diciassette – Meglio i topi o i pidocchi?

Diciotto – Norma

Diciannove – Ermindo quasi Partigiano

Venti – ‘Mussolino’ in Feniglia

Ventuno – Due somari portano scompiglio

Ventidue – Nessuno

Ventitré – Quattro elementi contro

Ventiquattro – Sciopero, e basta!

Venticinque – Rocambolesco

Ventisei – Piove pesci!

Ventisette – Cerbone e Baffetti

Ventotto – I Cinquanta ruggenti

Ventinove – Istantanee

Trenta – La bionda e il marinaio

Trentuno – La serenata di Cecchino

Trentadue – Nel granito

Trentatré – L’ultimo Nemico

INIZIO

Poiché ogni volta che sbarco all’Isola del Giglio mi sembra proprio di mettere un piede in Paradiso, non mi meravigliai affatto quando, arrivando nel Paradiso vero, mi parve di ritrovarmi sull’isola dei miei avi.

Osai intraprendere quella formidabile traversata soltanto a motivo d’un invito che mi giungeva da quei luoghi celesti, di una persona molto cara alla quale non avrei potuto in alcun modo rifiutarmi. Quella persona mi spedì perfino i biglietti per il viaggio: uno per l’andata e, cosa assai rara per quel tipo di destinazione, uno per il ritorno. M’imbarcai dunque sul traghetto Sogno d’inverno, e guadagnai la riva paradisiaca.

La persona cara era mio nonno Ermindo Stefanini, il secondo figlio di quell’Angelo Stefanini che il primo luglio 1915 era sbarcato per la prima volta all’Isola del Giglio; e in seguito decise di trasferirvi tutta la famiglia.

Appena appoggiato il piede in Paradiso, dunque, mi misi a cercare il nonno, curiosissimo di conoscere la ragione del suo singolare appello. In quel Giglio Porto trasfigurato dalla gloria del Signore, i colori delle casette affacciate sull’anfiteatro marino erano perfettamente vividi. Del resto, tutti sanno che la perfezione e la vita sono la norma, in Paradiso.

Mentre dunque camminavo sul pontile perfetto, in quella giornata dalle condizioni meteo marine perfette, in mezzo a persone perfette, un pensiero ‘imperfetto’ lampeggiò sull’orizzonte della mia coscienza: «E se non fossi in grado di riconoscerlo?» E: «Chissà dove, poi, dovrei andarlo a cercare? Al cimitero?»

L’ultima ipotesi mi parve di molto stupida ancor prima di concepirla. In Paradiso, di cimiteri, non dovrebbe essercene neppure l’ombra: è una questione di logica. Il dubbio di poter avere delle difficoltà nel riconoscere il nonno, invece, mi tenne compagnia ancora per qualche istante.

A dire il vero, anche nel mondo di quaggiù capitava non di rado che non lo individuassi subito tra la gente, per la strada; e lui se ne risentiva, un poco. Pensava che lo facessi apposta, che mi vergognassi di lui. La mia goffaggine, invece, era causata soltanto dalla timidezza, che mi tratteneva dal guardare bene in faccia le persone; e soprattutto dalla miopia, che già m’intorbidava la vista (e che mi vergognavo di combattere in pubblico con il vistoso attrezzo in mia dotazione: due fondi di bottiglia incastrati in una spessa montatura nera).

E se non riconoscevo il nonno, e se mancavo di salutare lui, figuriamoci tutti gli altri parenti e conoscenti. Chissà quanti gigliesi avranno pensato di avere a che fare con un bimbo lunatico e maleducato. Beh, adesso finalmente lo sapete: non era questione di superbia o vanità, ma di timidezza e diottrie.

Mentre ancora medito sui miei peccati di gioventù, un gigliese trasfigurato (e, quindi, ottimo lettore di pensieri) m’incrocia proprio davanti alla biglietteria dei traghetti Maregiglio, e mi dice: «Oh Patrì[zio], un [non] ti devi preoccupà[re]: il tu[o] nonno lo sa che sei [ar]rivato; sta sicuro che si fa riconosce[re] lui. Tu devi solo andà[re] dove ti aspetti di trovarlo».

Sto ancora esitando, alla ricerca di un ringraziamento adeguato, un po’ incerto su come l’etichetta imponga di dialogare con un angelo, quando l’avviamento di un autobus rimbomba con fragore, avvisandomi che pure nel Giglio paradisiaco, per salire al Castello, bisogna prendere la corriera. Uniche differenze: non occorre il biglietto e, incredibilmente, l’autista prende le curve con amore.

Quella volta, in particolare, il conducente impegna i tornanti della Provinciale con un supplemento di affetto; si tratta, infatti, di una persona speciale: al volante (pesante, enorme, anni Cinquanta) c’è il prozio Ottavio Stefanini, il quinto figlio di Angelo (già sappiamo che sua sorella Edina gioca per l’eternità tra i piedi del Signore in persona).

«Oh te, chi si rivede!» esclama Ottavio, gioviale come sempre (lo rivedo gioviale perfino mentre guida fuori dalla rimessa il suo autocarro in fiamme, rischiando la vita per non rischiare di far esplodere l’intero vicinato). «Bentornato, eh. Come sta la tu[a] mamma? E’ un pezzo che un[non] vi si vede al Giglio. Salutamela, eh! E la tu[a] macchina, poi, te l’ha più fatti i capricci?»

L’ultima volta che ho incontrato Ottavio, nel mondo di quaggiù, si era dato troppo da fare per far ripartire la mia Ford Galaxy, rimasta improvvisamente orfana della batteria. Corto circuito fatale: defunta dalla sera alla mattina. Era l’estate di uno dei primi anni del nuovo millennio, forse il 2003. Si stava avvicinando il suo ottantacinquesimo compleanno, eppure si mise a spingere la macchina (una pesante monovolume) sul Piano della porta, nel generoso quanto vano tentativo di farla ripartire. (Prendi nota, Lettore, di che pasta sono fatti i gigliesi!)

Lo saluto. Mi scuso di non essere stato lì, il giorno della sua ‘partenza’. Capitò durante l’eclissi. Dieci anni di ‘eclissi di Giglio’: una materia spirituale ostile e opaca si era messa di traverso, e io non ricordavo più da che parte guardare per ritrovare il caro orizzonte. Il prozio mi sorride e mi dice di non preoccuparmi, che l’aveva capito, che l’avevano capito tutti; e che tutti aspettavano il mio ritorno. Soprattutto mia nonna Ulda.

Quando la corriera Macchi, con un ultimo cigolio dello sterzo, irrompe strombazzando sul lato orientale della Piazza Gloriosa, la nonna è già lì, sulla soglia di casa, nel suo abito più bello, a fiori, vivacissimo. E’ lì, sull’uscio, in trepida attesa, come sempre nei trentacinque anni che ci siamo voluti bene nel mondo di qua. Con il suo consueto grande sorriso dall’anima al cuore. Con la mano che si agita piano, quasi con pudore, per dare il benvenuto all’unico nipote che torna da ‘fuori via’.

Poi la corriera si ferma in mezzo alla piazza, proprio davanti al lungo caseggiato degli Stefanini; e la porta si apre di scatto, come se fosse dotata di vita propria, come la bocca di un nuotatore riemerso dall’apnea con i polmoni ai limiti del collasso. In quel preciso momento capisco che la nonna non si è appena affacciata sull’uscio per accogliermi: lei è sempre stata lì, lei sarà sempre lì. Capisco che in Paradiso le persone, trasfigurate, rimangono cristallizzate nei loro atteggiamenti più liberi, più puri, più umani.

Nonna Ulda rimarrà lì, sull’uscio di casa, per tutti i miei infiniti ritorni, fino all’ultimo, quello definitivo; ma nel tempo trasfigurato, immobile, nel medesimo eterno momento, lei è anche tra le ortensie del suo giardinetto, per lodare la perfezione del creato nel tiepido crepuscolo estivo; e nella mistica frescura della chiesa, in adorazione del Santissimo, mentre libera il canto con l’inconfondibile tonalità da soprano; e pure sull’arenile delle Cannelle, con il suo sposo, nella magica sera delle pietruzze lucenti, per la rinnovata riconciliazione con la vita... E così via, per tutti quegli innumerevoli istanti di prosaica santità che, soli, danno un senso al trasmigrare del tempo.

La nonna è sola (non è ancora l’ora di ritrovarci tutti insieme), e io mi dirigo velocemente verso il suo sorriso. Sicuramente ci sono molti altri angeli tutt’attorno, nella piazza; tante persone che ho conosciuto, e che ricordo con tenerezza e malinconia. Tuttavia, il desiderio più forte mi conduce dritto nelle braccia della mamma di mia mamma. Nonna Ulda mi viene incontro con queste precise, affettuose parole:

«Ce l’hai fatta, finalmente! Te la sei ricordata, questa benedetta strada di casa!» E poi, con un tono più sommesso: «Io, però, in tutto questo tempo, un [non] mi so[no] mica dimenticata del mi[o] nino».

Era così che mi chiamava, mia nonna: “il mi[o] nino”. Il mio ‘piccolo’. Anche a vent’anni, anche a trentacinque. E adesso ho la certezza che lei, anche nell’eternità, continua a chiamarmi così.

Poi mi abbraccia; e io sento tutta la simpatia della sua presa forte, quasi virile. Sul momento mi pare un po’ strano che uno spirito possa trasmettere una sensazione così corporea; ma poi, ripensandoci, riconosco nelle sue carezze quell’amore anima e corpo che mi aveva accompagnato per un lungo tratto della vita, fin dalla culla, e che nulla avrebbe potuto sensatamente interrompere.

La notte che mia nonna Ulda morì, mi trovavo a diverse centinaia di chilometri di distanza, nel profondo nordest dell’Italia. Era la fine della notte, verso le quattro o le cinque. Nel sonno udii distintamente il suo richiamo: «Patrizio!»; tanto che mi svegliai di botto, e completamente. Non riuscii più a riaddormentarmi; e rimasi in attesa della telefonata che mi avrebbe annunciato, un paio d’ore più tardi, quello che già sapevo. Uno spirito che ti ama, può chiamarti. Può abbracciarti.

«Va’ dal nonno, adesso, va’. Ti deve raccontà[re] una bella storia. Per questo, ti ha mandato a chiamà[re]. Va’, va’, non sei curioso?»

Eccome, se sono curioso. Prendo la corsa e attraverso la piazza. Fatti alcuni balzi, tuttavia, realizzo con sgomento che non mi è affatto chiaro dove dovrei andare, esattamente. Mi volto. Mia nonna è ancora sull’uscio, e mi guarda sorridendo (resterà per sempre lì, in quello stesso atteggiamento, mite e accogliente per tutti i secoli dei secoli). Mi fa cenno di continuare. Ma in quale direzione? Su per il lastricato, verso l’interno del castello? Oppure a destra, nella strada detta di Sotto i cannoni? O a sinistra, lungo la provinciale (un gigliese direbbe: la strada nòva)?

Ebbene, penso, se è giusta la teoria sul funzionamento del Paradiso che incomincio a capire piano piano, il nonno deve trovarsi in uno dei luoghi che ha vissuto più intensamente e più intimamente: la vigna.

GALLERIA FOTOGRAFICA - IL ROMANZO "FIGLI DEL GRANITO"

Albero genealogico in forma di tempesta di fulmini.

Rappresentazione grafica della seconda e terza generazione della famiglia Stefanini.

GALLERIA FOTOGRAFICA - LA PRESENTAZIONE ALL'ISOLA DEL GIGLIO (31 marzo 2018)

Tutte le foto dell'evento, per gentile concessione dell'amico Sergio Giorgi (SerJo'): scarica il file .7z (dimensioni: 410 MB)

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GALLERIA FOTOGRAFICA - LETTURA PUBBLICA NEI VICOLI DEL CASTELLO (13 agosto 2018)