Leuto è il nome della lingua in italiano. È un nome inventato, tratto liberamente dal greco antico ἐλεύθερος eleútheros 'libero'.
Si pronuncia lèuto.
Il termine è regolarmente variabile: aggettivi leuti, grammatica leuta, parole leute.
In leuto, il leuto si chiama lewtha.
Parlando e scrivendo in altre lingue, il nome andrebbe adattato nelle forme di ciascuna come fosse un termine classico greco-latino: in spagnolo leuto, in inglese Leuth /luːθ/, in francese leuthe, in esperanto Leŭto, eccetera.
La somiglianza con leùto 'liuto (strumento musicale; imbarcazione)' è casuale; com'è casuale la somiglianza con l'inglese medio leuthe 'riparo, calore'. Sono comunque coincidenze piacevoli, che evocano immagini poetiche.
Il leuto è una LAI, ovvero una «lingua ausiliaria internazionale».
Al mondo esiste una moltitudine di lingue diverse. Per la comunicazione fra popoli diversi, nei vari momenti storici e nelle varie aree del globo, è normale che emergano delle lingue preminenti, che divengono la norma d'uso per una cultura comune. Possono essere lingue più o meno neutrali, di nessun popolo in particolare, come fu il latino in occidente per mille anni dopo la caduta di Roma; più spesso sono le lingue dei popoli dominanti e ancora ben vivi, com'è per l'inglese oggi o come fu per il francese prima.
La lingua internazionale è un fattore d'influenza spesso trascurato ma potentissimo, con ingenti effetti culturali, sociali, economici e politici sulla vita sia delle singole persone sia delle nazioni intere.
La questione è molto articolata e richiederebbe una discussione approfondita; per ciò che c'interessa qui, possiamo rilevare in sintesi tre elementi principali:
La non neutralità: i popoli la cui lingua diventa quella dominante ricevono immensi vantaggi competitivi rispetto agli altri popoli: viaggiano, commerciano, contrattano, senza preoccuparsi o spendere risorse per gli aspetti linguistici; mentre tutti gli altri sono costretti a ingenti fatiche, di tempo e denaro, per apprendere la loro lingua, e non saranno mai comunque al livello di chi la parla nativamente. La lingua egemone farà conoscere i suoi artisti, scrittori, prodotti commerciali, politici, cantanti, personaggi, mentre quelli degli altri popoli saranno ridotti a vaghe comparse ai margini, più o meno ignote. Le menti migliori dei tanti paesi andranno a studiare, lavorare e produrre ricchezza nei paesi della lingua egemone, arricchendoli e lasciando indietro il proprio paese che ha speso per crescerli. I popoli la cui lingua diventa egemone sono, a tutti gli effetti, i popoli dominanti di un vero e proprio «impero» culturale, che è tale in tutto anche se non nel nome. Questa è un'ingiustizia enorme e conclamata, che non si può accettare in un mondo che si vorrebbe giusto e democratico, e deve essere risolta.
La difficoltà per l'apprendimento: la lingua è qualcosa di difficile: non tutti hanno la predisposizione naturale, il tempo e il denaro per apprendere bene e tenere allenata la conoscenza d'una lingua straniera. Perché la comunicazione internazionale sia veramente democratica e alla portata di tutti, non solo di pochi privilegiati, la lingua internazionale dovrebbe essere facile da apprendere e padroneggiare.
la differenza grammaticale: la lingua dominante (come la cultura dominante di cui è il tramite) tende a uniformare a sé le lingue e le culture dominate, nel lessico, nelle strutture grammaticali, nel «pensiero» e nel modo d'esprimersi. Ciò non è bello, perché la varietà dei popoli, con le loro differenze, è qualcosa di prezioso e arricchente che vogliamo tutelare: «il mondo è bello perché è vario». Per minimizzare quest'influenza, in un'ottica d'ecologia linguistica, la lingua internazionale dovrebbe avere strutture grammaticali logiche e lineari: in modo che si possa apprendere e padroneggiare con uno sforzo minimo, che non vada a intaccare l'attenzione e il tempo che sono richiesti per studiare, conoscere e curare la propria lingua madre.
Per risolvere questi problemi, per costruire un mondo più equo, consapevole e democratico, sono state inventate delle LAI, «lingue ausiliarie internazionali»: lingue artificiali create appositamente per essere neutrali, facili, ottimali per essere apprese come seconda lingua per l'interazione fra popoli diversi. Data la complessità e vastità del «fenomeno lingua» in sé, e dei moltissimi fattori che entrano nel problema da più o meno ogni àmbito delle esperienze umane, le soluzioni proposte sono variegate, a volte simili e a volte molto diverse.
La LAI più famosa e di maggior successo è l'esperanto, costruito da Lazzaro Ludovico Zamenofo (1859–1917), medico polacco d'origini ebraiche. L'esperanto ha una storia ormai ricca, e nel '900 fu a un passo dall'essere concretamente adottato dal consesso delle nazioni; ma fu bloccato da interessi miopi ed egoistici da chi vedeva intaccata la propria egemonia, in essere in quel momento o in crescita.
L'esperanto è un ottimo progetto sotto molti aspetti, e non a caso è sopravvissuto a molti concorrenti; tuttavia, molte persone che si avvicinano alla questione, pur condividendo gl'ideali dell'esperantismo (equità, democrazia, fratellanza fra i popoli, ecologia culturale e linguistica) non sono soddisfatte dall'esperanto come lingua in sé, nei suoi caratteri estetici, grammaticali o lessicali, per varie ragioni.
Il leuto è una LAI che parte dall'esperienza dell'esperanto (e di altri progetti) per offrire un'alternativa che risolva o almeno riduca questi problemi.
Le tecnologie di traduzione automatica disponibili oggi —spesso portatili e istantanee— potrebbero rivoluzionare i termini del problema, se diventeranno indistinguibili da una traduzione umana professionale. Non sappiamo se e quando succederà; ma anche se succederà, per gli uomini potrebbe e dovrebbe essere bello e utile poter comunicare parlandosi e ascoltandosi senza l'ausilio di complesse macchine mediatrici: per cui la diffusione d'una LAI resta ancora qualcosa di utile e bello a cui puntare per l'umanità.
Il leuto è massimamente semplice?
No.
Molti progetti di LAI, precedenti e successivi a quello dell'esperanto, hanno puntato a una semplificazione estrema della sintassi, fino a renderla elementare, quasi «primitiva».
Tale semplicità estrema è discutibile, perché in generale implica la perdita di elementi di significato; spesso impoverisce le possibilità espressive, e a volte introduce addirittura delle difficoltà nascoste. Per esempio, spesso tale semplificazione abbandona le marche univoche per i valori grammaticali (realizzate come desinenze regolari in esperanto e in leuto): ma è discutibilissimo che non riconoscere più immediatamente il valore grammaticale delle parole renda la lingua più facile.
Il leuto invece in questo si mantiene vicino allo spirito dell'esperanto, che non è costruito secondo un banale «principio di economia», bensì secondo un più acuto «principio di ottimizzazione» (U. Eco, da A. Zinna). Questo è un pregio speciale dell'esperanto, che a molti suoi detrattori sembra sfuggire.
Il vantaggio reale d'una LAI, infatti, emerge nel momento in cui abbiamo bisogno di una lingua un po' approfondita: quando vogliamo o dobbiamo esprimere pensieri complessi, sfumature sottili e precise. Se l'ambizione della LAI è solo facilitare l'espressione di concetti elementari («io volere mangiare cibo», «lui domani andare Pechino», «dove essere aeroporto?»), infatti, la LAI è quasi superflua: per capirsi basta esprimersi a un livello basilare nella lingua «internazionale» del momento o nella lingua del luogo dove si viaggia, come si possono imparare in qualche settimana di studio, anche da autodidatti nel tempo libero; senza dimenticare l'enorme ausilio dato dalle tecnologie di traduzione automatica e istantanea, oggi spesso portatili. Da questo punto di vista, l'anglofonia diffusa del mondo odierno è più che sufficiente per comunicare senza grandi problemi. Certo, anche in queste situazioni una LAI faciliterebbe le cose; ma il guadagno sarebbe tutto sommato ridotto.
Il guadagno è invece notevole nel momento in cui si vuole elevare la comunicazione, avvicinarsi alla dimestichezza, varietà, profondità, bellezza, ricchezza espressiva con cui si parla la propria lingua madre. Sono interessanti i numeri di uno studio di Helmar Frank del 1977, sulla difficoltà di cinque lingue (francese, inglese, italiano, russo, tedesco) rispetto all'esperanto, su una scala di competenze da un livello 1 (comprensione basilare di scritte minime, eventualmente con l’ausilio di un dizionario) a un livello 12 (padronanza perfetta). Sintetizzando i risultati, si osserva che a un livello di competenza basso l'esperanto è già più facile, ma non in modo troppo rilevante; la differenza, però, si fa sempre più marcata a mano a mano che il livello di competenza cresce. A un livello di competenza 10, di buona dimestichezza nello scritto e nel parlato (livello acconcio a fare il giornalista radiofonico), secondo lo studio l’esperanto sarebbe già circa quindici volte più facile dell’inglese. La differenza è enorme.
In questo vediamo la superiorità dell'«ottimizzazione» rispetto alla «semplificazione», per una LAI che miri a rendere la comunicazione fra gli uomini veramente adeguata, profonda, completa e democratica, non solo elementare.
Il leuto è immediatamente comprensibile?
No.
Alcune lingue artificiali mirano a una comprensione immediata per la persona che ci si avvicina. Il caso più famoso è l'«interlingua» della IALA (International Auxiliary Language Association), che per la maggioranza dei parlanti romanzi è quasi totalmente comprensibile da subito, anche senz'averla studiata.
Il leuto non ha questo scopo, anche se talvolta può dare quest'impressione. Per esempio, per un parlante italiano una frase come Me pensen ka tu skriben bone è intuitivamente comprensibile come «Io penso che tu scriva bene». Tuttavia, ciò è dovuto al fatto che tale frase usa solo parole simili ai corrispondenti italiani, disposte in modo simile all'italiano; in leuto ci sono però anche molte parole diverse, e strutture grammaticali diverse, e basta usarne qualcuna perché la comprensione immediata crolli praticamente a zero. Una frase come Te redwon kiascamu, per quanto elementare —e comunque strutturalmente assai simile all'italiano, una volta compresa—, può dare indizi a chi ha una certa conoscenza delle lingue, ma in generale non è immediatamente comprensibile.
Il leuto richiede quindi di essere studiato, come qualsiasi altra lingua; ma il tempo e la fatica che richiede sono notevolmente minori rispetto a quelli richiesti dalle lingue naturali.
Il leuto è perfettamente neutrale?
Uno degli scopi principali d'una LAI come il leuto è anche mirare a una comunicazione neutrale.
Una neutralità perfetta è qualcosa di difficile da ottenere. Vediamo qualche difficoltà.
Per essere neutrale, una lingua dovrebbe essere una via media; ma quando le lingue del mondo sono migliaia, ed estremamente variegate sotto qualsiasi aspetto (scrittura, fonologia, grammatica, lessico), trovare una via media non è affatto scontato. Qualunque scelta si faccia finirà per essere più vicina a qualcuno, più lontana da qualcun altro. Si potrebbe pensare di creare qualcosa di totalmente alieno, con una scrittura e un lessico a priori, che quindi sia (almeno in teoria) ugualmente nuovo e difficile per tutti: ma ciò cozza col desiderio che la LAI sia facile, e vicina alle lingue umane storiche.
Un altro fatto da considerare è quello pragmatico, della diffusione. Se fra le lingue naturali da considerare abbiamo una lingua parlata da un miliardo di persone, nel cercare il punto medio questa dovrà «pesare» molto di più di una lingua naturale parlata solo da centomila persone: sembrerebbe logico fare una media ponderata. Ma ci sono dei problemi:
La lingua molto parlata può essere molto più difficile e complessa di quella poco parlata. È sensato che, per neutralità, la LAI sia strutturalmente difficile per essere vicina alla lingua grande e difficile, anziché semplice e quindi più vicina alla lingua minoritaria più semplice?
I rapporti demografici fra popolazioni possono cambiare in modo radicale in tempi storicamente brevi, mentre una lingua può e vuole essere molto più stabile e duratura. Pesare l'importanza delle lingue in base alla popolazione in un dato momento storico (o in base a una previsione per il futuro) può voler dire creare una neutralità effimera, condannata a una rapida obsolescenza secondo gli stessi princìpi con cui è definita.
Per queste difficoltà, e avendo anche altri obiettivi a cui mirare oltre la neutralità (la facilità, la funzionalità, l'integrazione con le lingue naturali, l'estetica, eccetera) il leuto non ambisce a una neutralità perfetta, e si accontenta d'una neutralità imperfetta.
Ciò, per molte persone, risulta insoddisfacente, perché appare ingiusto. Se questo sentimento d'insoddisfazione è incanalato nella ricerca d'una soluzione «perfetta» (se esiste), è buono; se invece porta al rifiuto della LAI è un errore. Chi dice «dato che non possiamo avere una LAI perfettamente neutrale, allora tanto vale usare una lingua nazionale egemonica, non neutrale» sta dicendo «dato che non posso avere il 100 % di miglioramento, allora rinuncio al 95 % e preferisco lo 0 %». Questo pensiero è assurdo, eppure è diffuso.
Il leuto è una lingua logica?
Dipende da che cosa intendiamo con quest'espressione.
Le lingue naturali dell'uomo sono intrinsecamente imprecise. Nei secoli, molte persone si sono interrogate sulla possibilità di creare una «lingua logica» che fosse invece del tutto precisa: in cui, tramite regole rigorose, si potessero esprimere i concetti e le relazioni fra concetti senz'ambiguità, con univocità matematica. Ricordiamo fra gli altri gli studi di Lullo, di Leibnizio e il moderno lojban.
Il leuto non ha questa pretesa, perché una lingua che fosse matematicamente univoca sarebbe uno strumento tecnico e difficile, mentre il leuto vuole essere molto facile; e sarebbe alquanto poco naturale, mentre il leuto vuole essere uno strumento "ergonomico" per l'essere umano.
Da un punto di vista prettamente qualitativo, il leuto non è più logico delle lingue umane naturali. Dal punto di vista quantitativo c'è invece una differenza: le strutture grammaticali del leuto, essendo regolari e lineari, consentono al pensiero di muoversi ed esprimersi nella lingua tramite schemi semplici e intuitivi, senza le tortuosità a cui spesso si è costretti nelle lingue naturali. Queste strutture, inoltre, sono costruite per essere complete per le esigenze generali della comunicazione: ciò, unito alla loro linearità, fa sì che siano mediamente anche più precise delle lingue naturali.
In questo senso possiamo dire del leuto che, benché non sia una «lingua logica» in senso assoluto, matematico, è sicuramente una «lingua (più) logica» in senso relativo, rispetto alle lingue naturali.
Il leuto è una lingua povera?
Dipende da come si calcola la ricchezza linguistica.
Se si fa un confronto numerico fra le parole delle maggiori lingue europee e le radici del leuto, si trova che il leuto ne ha meno. Ciò è voluto, per due motivi:
il discente ha meno termini da imparare (quindi impara più facilmente);
essendo nella sua infanzia, la lingua è volutamente un'«intelaiatura», con potenziali dettagli ancora da riempire e definire. Si vuole che siano i parlanti che l'adotteranno a rifinirla e riempirla con l'uso che ne faranno; sarà la comunità a decidere se il leuto abbia bisogno di più radici, e quali, o vada bene così.
Alla minore quantità di materiali, tuttavia, corrispondono più possibilità di metterli insieme. Queste possibilità danno al leuto una libertà espressiva notevole, un vasto patrimonio potenziale di sottigliezze, sfumature, andamenti e densità di vario genere cui accedere liberamente, che sarebbero invece più difficili da raggiungere nelle lingue naturali.
Il leuto ha quindi una sua ricchezza particolare, diversa da quella delle lingue europee più famose; nel fare un confronto, non si conti semplicemente il numero di parole/radici ma si consideri la lingua olisticamente nelle sue possibilità espressive.
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Per approfondire i vari temi qui toccati sinteticamente, con le motivazioni dietro i vari caratteri della lingua, leggi qq.
Assolutamente no.
È diffusa l'idea che le lingue artificiali di questo tipo vogliano rimpiazzare le lingue nazionali: fare una tabula rasa per rendere il mondo uniforme e semplicemente monolingue. Ciò non solo non è vero, ma è un completo rovesciamento della realtà.
Innanzitutto, il leuto è concepito per essere una seconda lingua. E non vuole cancellare le lingue naturali, bensì aiutarle.
Apprendere una seconda lingua per la comunicazione internazionale richiede uno sforzo intellettivo non trascurabile, perché le lingue sono entità vaste e complesse. La nuova lingua, con le sue regole, richiede spazio abbondante nella mente di chi la impara; ma la capacità mnemonica della mente umana non è infinita né precisa: nella mente le cose tendono a sovrapporsi, confondersi, mescolarsi. Succede così che la seconda lingua, quando è molto usata, rubi spazio alla lingua madre, confondendone i dettagli e rimpiazzandoli con i propri. Sommando gl'individui a costituire la società nel complesso, risulta che la lingua internazionale (che spesso è percepita come più prestigiosa) esercita una pressione sulle lingue nazionali, influenzandole e rendendole simili a sé, non solo nel lessico ma anche in generale nelle strutture; nel modo di usare e pensare lo strumento linguistico.
Nella funzione di lingua internazionale il leuto, essendo molto lineare, estremamente di più delle lingue naturali (sempre caratterizzate da contorsioni, bizzarrie e «illogicità», quale più e quale meno), non solo è più facile da imparare, ma avendo strutture per così dire molto leggere, poco ingombranti, impegna poco la mente: ruba meno spazio alla lingua madre, che così può essere imparata, studiata e conservata (nella mente e nella società) con più agio e con più cura.
Se una certa influenza della lingua internazionale sulle lingue nazionali è inevitabile, essa può perlomeno essere minimizzata grazie a una LAI lineare e logica, come il leuto. Col grande risparmio di tempo che comporta, si potrebbe inoltre usare parte di questo tempo per studiare e apprezzare meglio la propria lingua madre (o altre lingue, volendo).
Il leuto, quindi, non è un nemico delle lingue naturali, bensì il loro alleato.
Sì. È molto più facile di qualsiasi lingua nazionale.
La stima precisa e assoluta della «facilità o difficoltà» d'una lingua è essa stessa non facile, dipendendo da molti elementi intricati. Tuttavia, con alcune osservazioni di massima possiamo farci un'idea approssimativa ma sufficiente riguardo alla difficoltà del leuto.
La difficoltà di una lingua dipende principalmente da due fattori: la sua complessità intrinseca (regole, eccezioni, variazioni, numero di elementi da memorizzare) e la sua somiglianza con la madrelingua di chi la vuole imparare. Per esempio, per un italiano lo spagnolo è facile non tanto perché sia intrinsecamente semplice, ma soprattutto perché la sua grammatica e il suo lessico sono molto simili a quelli dell'italiano.
A noi qui interessa conoscere la difficoltà del leuto non specificamente per gl'italofoni ma in generale per chiunque: cerchiamo quindi di valutarne le strutture "in sé".
Tra le maggiori lingue europee, l'inglese è generalmente considerato la più facile: facciamo dunque un confronto veloce fra le strutture del leuto e quelle dell'inglese, per vedere quante informazioni bisogna memorizzare e padroneggiare per usare l'una e l'altra lingua.
Inglese. L'inglese ha il sistema di scrittura più difficile fra le maggiori lingue europee. È un sistema etimologico, che non rappresenta la pronuncia delle parole. La parola scritta è una sorta di «etichetta» più o meno arbitraria: la pronuncia non è ricavabile dalla scrittura, e dev'essere conosciuta come informazione indipendente; e idem la scrittura dalla pronuncia. Uno stesso suono si può trovare trascritto in decine di modi diversi; uno stesso gruppo di lettere si può trovare pronunciato in decine di modi diversi. Benché l'inglese usi il nostro alfabeto latino, il suo sistema ha una logica che lo avvicina a scritture opache come gl'ideogrammi cinesi. Lo sforzo di memorizzazione e interpretazione richiesto, puramente nozionistico, è grande e impegnativo. La cosa è problematica persino per i parlanti nativi: fra i bambini inglesi, la dislessia è molto più diffusa che negli altri paesi europei. E se è così difficile per i nativi, immaginiamo per gli stranieri...
La pronuncia stessa dell'inglese, a prescindere dalla sua relazione con la scrittura, presenta un'altissima variabilità: come scrive Canepari,
le vocali inglesi hanno un enorme spazio d’oscillazione, che sembrerebbe persino impossibile —se non assurdo— in altre lingue. Infatti, in aggiunta a un numero assai considerevole di fonemi e diafonemi (e tassofoni!) vocalici, che è già qualcosa di “sovrabbondante” di per sé, i parlanti nativi danno libero corso, ognora, alle proprie ampie possibilità.
Naturalmente, anche tra i parlanti nativi, incertezze e ambiguità comunicative sono certamente possibili. Tuttavia, per i parlanti stranieri capire esattamente ciò che si sente è indubbiamente più difficile.
Leuto. Il sistema di scrittura del leuto è molto semplice, con una corrispondenza ottima, facile e regolare fra suoni e lettere. Si può imparare tutta l'ortografia della lingua, e tutta la pronuncia, in una sola sessione di studio.
Di primo acchito, alcuni suoni del leuto possono risultare un po' difficili da pronunciare, a seconda di qual è la propria lingua madre; ma grazie alla grafia logica e al loro valore preciso, è possibile individuarli con esattezza e impararli velocemente.
Inglese. In inglese il plurale è fatto in vari modi diversi, a seconda della terminazione della parola e di altri caratteri: in generale si aggiunge una -s; per una serie di terminazioni si aggiunge invece -es; per altre terminazioni la consonante finale (con eventuale vocale al seguito) si sostituisce con -ves; per altre ancora si sostituisce l'ultima vocale con -ies; certi termini greco-latini fanno il plurale seguendo più o meno la lingua d'origine, con una serie di regole a loro volta, per cui non basta conoscere la forma della parola in inglese, ma bisogna conoscerne l'origine; ci sono termini pluralizzabili ma invariabili; ci sono i termini solo plurali; ci sono i plurali di forma semplicemente irregolare, per varie ragioni: mouse ~ mice, foot ~ feet, ox ~ oxen, man ~ men, tooth ~ teeth, child ~ children... Insomma molti casi e sottocasi, più informazioni non desumibili dalla forma della parola ma da conoscere indipendentemente, più eccezioni e termini irregolari vari; il tutto da memorizzare.
Leuto. In leuto tutti i plurali sono regolari, e si fanno in modo semplice e prevedibile: alle desinenze singolari -a, -u, -um corrispondono biunivocamente le desinenze plurali -as, -us, -ur; gli elementi con altre desinenze non distinguono singolare e plurale.
Inglese. In inglese ci sono circa 200 verbi irregolari, di cui bisogna memorizzare le forme specifiche.
Leuto. In leuto c'è un'unica forma verbale irregolare; e il suo uso è comunque facoltativo, per cui se si dimentica d'usarla va benissimo anche la forma regolare.
Inglese. In inglese molte parole hanno più significati: per esempio, spring significa 'primavera', 'balzo', 'molla', 'fonte, sorgente'; bat significa 'mazza', 'battuta', 'battitore', 'pipistrello'; right significa 'giusto', 'diritto (di fare qualcosa)', 'destra'; eccetera. Il contesto generalmente aiuta a chiarire il significato, ma si possono generare ambiguità.
Leuto. Anche in leuto le parole possono avere più significati, ma ciò capita più raramente che in inglese. La lingua risulta meno ambigua, più immediata.
Inglese. In inglese una stessa parola, senza cambiare esteriormente, può avere funzioni grammaticali diverse: aggettivo, sostantivo, verbo, avverbio... La posizione nella frase chiarisce; ma in frasi complesse o con molti elementi la cosa può diventare difficile, e richiedere un certo sforzo interpretativo.
Leuto. In leuto, invece, le desinenze rendono immediatamente visibile il valore grammaticale delle parole, rendendo più facile l'interpretazione, sia della parola isolata sia della frase nel complesso.
Inglese. Una delle difficoltà rilevanti dell'inglese, per gli stranieri, è il suo gran numero di espressioni idiomatiche.
Un'«espressione idiomatica» è una combinazione di parole il cui significato complessivo non è dato dalle singole parole componenti, per cui dev'essere conosciuto indipendentemente. In inglese sono idiomatiche molte locuzioni verbali: get over, put up with, give up, give in, come across, get away with, take off...
Leuto. Le espressioni idiomatiche esistono in tutte le lingue, e anche in leuto. Tuttavia, in leuto il loro numero è molto minore che in inglese, rendendo la comunicazione più immediata e trasparente.
Il lessico ha una parte corposa d'origine greco-latino-romanza, in particolare per quanto riguarda i termini che appartengono al linguaggio delle scienze (intese in senso ampio) o hanno una buona probabilità d'essere usati in composti tecnico-scientifici e simili. Grazie a questo il lessico ha una buona coerenza esteriore con la terminologia dotta delle lingue occidentali, che spesso in leuto viene anche resa trasparente, cioè immediatamente comprensibile. Per esempio:
theologeya 'teologia' è un composto trasparente, leggibile come 'attività, disciplina [-eya] dello studioso [-olog-] del divino [the-]';
liquescento 'liquescente' è un composto trasparente, leggibile come 'nell'atto [-ento] di diventare [-esc-] liquido [liqu-]';
qq 'qq' è un composto trasparente, leggibile come 'qq [-qq] qq [qq-] qq [-qq-]'. qq
Per gli altri elementi, il leuto trae radici da lingue di tutto il mondo. Sono ricercate somiglianze fra lingue diverse (in particolare di aree culturali diverse), dovute a una radice etimologica comune o a una semplice coincidenza. Per esempio:
kawpi 'comprare': la radice kawp/ unisce il giapponese (買う [かう] kau), le lingue germaniche (tedesco kaufen, svedese köpa, olandese kopen, islandese kaupa, ecc.) e le lingue slave (russo купи́ть kupítʹ, ceco koupit, polacco kupić, ecc.), e più alla lontana ha anche una certa somiglianza col compr- di varie lingue romanze;
sceya 'cosa': la radice scey/ unisce il cinese (事 shì), l'arabo (شَيْء šayʔ), il persiano (شیء šay’, šey’), il turco (şey), il somalo (shay), l'azero (şey, əşya), e più alla lontana il sanscrito (विषय viṣaya) coi suoi discendenti;
mirwa 'specchio': la radice mirw/ unisce l’arabo (مِرْآة mirʔāh), il francese (miroir), l’inglese (mirror), il persiano (مرآت mirʾat), l’ebraico (מַרְאָה mar’á), il catalano (mirall), il maltese (mera).
Queste tre sono casi del tipo più fortunato: non sempre si possono individuare somiglianze così marcate fra tante lingue maggiori. In assenza di somiglianze significative, il leuto si accontenta di prendere le proprie radici ora da un gruppo di lingue ora da un'altro, cercando un'armonia complessiva.
Altri princìpi che si sono considerati nella scelta delle radici, oltre a diffusione e trasculturalità, sono: univocità (scarsa ambiguità, isolatamente o nei composti), semplicità, brevità, bellezza, fonosimbolismo.
Sono presenti alcune radici sostanzialmente arbitrarie, in particolare nel lessico fondamentale e nelle paroline "funzionali".
Sono naturalmente presenti molti «internazionalismi», quale che ne sia l'origine.
Sì: come per qualsiasi lingua naturale, il suo uso è del tutto libero; si può usare il leuto in qualunque contesto, anche in prodotti commerciali, senza dover pagare nulla. Non ci sono «diritti d'autore», né è necessario indicare un'attribuzione.
Ciò che non si può fare —ovviamente— è diffondere informazioni false o in ogni caso fuorvianti: per esempio, non ci si può attribuire falsamente la paternità della lingua.
È comune e quasi tradizionale, per le LAI, avere una bandiera. Si può discutere della sensatezza d'una cosa simile (le lingue non sono stati), ma c'è comunque una certa utilità pragmatica (per esempio, se in un sito dobbiamo ridurre una lista di lingue a icone da cliccare).
Per questi fini, per ora il leuto usa in modo «semiufficiale» la bandiera della Terra disegnata da Oskar Pernefeldt, con un lieve aggiustamento alla simmetria e una variazione cromatica:
Il leuto è un esperàntide, ovvero una delle tante lingue artificiali derivate dall'esperanto.
L’esperanto è sotto molti aspetti un capolavoro d’ingegneria linguistica, e nelle vicende del mondo è stato un piccolo grande successo. Tuttavia, come abbiamo scritto più su, molte persone che condividono la logica e gl'ideali del progetto esperantista sono insoddisfatte da certi elementi concreti dell’esperanto come lingua in sé. In particolare, gran parte del pubblico trova l'esperanto «freddo», «meccanico», «artificiale»: insomma, poco gradevole. Ciò può essere un problema:
oggi rende difficile divulgarlo, far sì che sia popolare;
in prospettiva futura, se vogliamo davvero che la nostra LAI sia la seconda lingua dell'umanità, una parte importante della vita del mondo e della quotidianità delle singole persone, allora dovrebbe essere uno strumento bello oltre che efficiente. La piacevolezza nella vita è importante, non va sottovalutata.
A questo fatto di sensazione generale si uniscono molte osservazioni di carattere tecnico su singoli aspetti della lingua, per quanto riguarda la grammatica o più minutamente il lessico: piccoli difetti poco importanti singolarmente, ma non trascurabili se sommati nel complesso.
Il progetto del leuto è nato dunque con l'intenzione di offrire spunti di miglioramento.
Il leuto non si discosta troppo dall'esperanto: le strutture grammaticali e il lessico presentano chiare somiglianze. Chi parla esperanto può imparare il leuto con poco sforzo.
Sinteticamente, rispetto all'esperanto il leuto:
ha un aspetto scritto più gradevole e meno spigoloso, meno meccanico;
ha una fonologia un poco più ricca;
ha un lessico con meno variazioni arbitrarie;
ha strutture grammaticali un poco più ricche e possibilità espressive più precise;
ha un vocabolario (e un aspetto) un po’ più greco-latino, il che lo avvicina al lessico neoclassico delle scienze; allo stesso tempo, ha più elementi estraeuropei;
ha più radici per concetti «basilari» (madre, donna, adulto, male, freddo…) per rendere più vario e veloce il linguaggio primario; ottimizza invece l’uso delle radici in altri campi;
se è leggermente più complesso nell’insieme (comunque molto più facile di qualunque lingua naturale), allo stesso tempo per parecchi aspetti è più logico, con semplificazioni o linearizzazioni di certi elementi poco logici dell’esperanto e la rimozione di certe eccezioni o complicazioni poco utili;
non ha -ajn -ajn -ojn, ma più gradevoli -o -o -as.
Per un confronto più dettagliato su alcuni elementi, consulta il documento su «alcune possibili migliorie all'esperanto».
Le ispirazioni per il leuto sono state molte, come sempre accade per progetti di questa vastità. Si lavora e riflette per anni, e ogni fatto della vita, ogni studio e scoperta interessante, può "ispirarci".
Fra le lingue artificiali, oltre ovviamente all'esperanto (e all'ido, il suo discendente più famoso), di cui il leuto è esplicitamente «figlio», spunti interessanti sono venuti da: globasa, pandunia, romániço. Come si potrà vedere facendo un confronto, alcuni elementi di queste lingue sono stati ripresi da vicino.