Armin Greder, Mediterraneo - recensione di Pierbi

Avete mai pensato alla vostra casa in fiamme? Avete mai pensato di dover scappare dai soldati a causa di una guerra o di ritrovarvi ammassati su un barcone fatiscente insieme a decine di sconosciuti nel mezzo del mar Mediterraneo? Avete mai avuto l’incubo di naufragare in mare aperto? Questo è ciò che succede ai protagonisti di Mediterraneo, un albo illustrato di Armin Greder.

Avete mai pensato alla vostra casa in fiamme? Avete mai pensato di dover scappare dai soldati a causa di una guerra o di ritrovarvi ammassati su un barcone fatiscente insieme a decine di sconosciuti nel mezzo del mar Mediterraneo?

Avete mai avuto l’incubo di naufragare in mare aperto? Questo è ciò che succede ai protagonisti di Mediterraneo, un albo illustrato di Armin Greder. Non è una storia di fantasia ma è ciò che capita nella vita reale ai migranti che lasciano i propri paesi a causa delle guerre. E forse una di queste disgrazie è in atto proprio ora.

I bianchi sono sempre complici delle guerre nei paesi più poveri, perché siamo proprio noi che

vendiamo le armi ai militari africani, che a loro volta costringono molte famiglie a scappare dal

proprio villaggio raso al suolo dai conflitti. Molti intraprendono un viaggio, nella speranza di

raggiungere l'Europa, a bordo di imbarcazioni usurate e fragili. Le possibilità di arrivarci sono minime ma il desiderio di farcela è grande. Purtroppo, il loro sogno svanisce in un attimo, quando la barca affonda e tutti finiscono in balia delle onde.

Colpisce l’immagine dove il villaggio formato da baracche in legno prende fuoco. In basso a destra possiamo notare un animale morto a causa dei soldati che hanno invaso il villaggio. Se messo a confronto con gli altri disegni, osserviamo che questo ha un tratto più rapido e veloce, così come rapida è la distruzione.

L’attenzione si ferma anche sull’immagine in cui c’è un generale dell’esercito che parla ai soldati, armati fino ai denti e dall’espressione dura e rabbiosa. Su una specie di palchetto ci sono i capi, tutti di colore, e dietro, in seconda fila, un uomo bianco. Colpisce innanzitutto perché quest’ultimo risalta tra gli altri, sembra un fantasma e poi è l’unico in giacca e cravatta. Pare che stia sorridendo con una smorfia maligna.

L’occhio è attirato anche dall’illustrazione in cui vediamo tantissimi migranti tutti ammassati su una nave che si dirige verso dei nuvoloni grigi. Forse questi rappresentano le terre che non hanno mai esplorato? Gli immigrati pur di vivere meglio rischiano la propria vita, nonostante conoscano i

pericoli cui vanno incontro. Purtroppo, nell’immagine successiva vediamo la barca affondare.

Questa scena rappresenta la crudeltà del Mediterraneo che con le sue acque profonde e scure inghiotte non solo i corpi dei poveri migranti, ma anche le loro paure e soprattutto le loro speranze.

Il tema che Greder mette in evidenza è quello delle migrazioni dei disperati: molti intraprendono il viaggio della speranza, attraverso il Mediterraneo per cercare fortuna in Europa.

Il libro è un albo illustrato muto che riesce a trasmettere molte emozioni. Ad esempio l’immagine dove le persone di colore, impaurite dalla guerra, scappano dal proprio villaggio trasmette tristezza e senso di colpa perché l’uomo bianco per favorire l’industria delle armi alimenta le guerre nei paesi più poveri e così si assicura sempre degli acquirenti per i propri affari.

Consiglierei questo libro a tutti perché spiega, solo con la forza dei disegni, cosa c’è dietro ciò che vediamo al telegiornale e che nel nostro cuore sembra non avere importanza.


Armin Greder, L'isola - recensione di LadyGi

Siamo in un’isola, sulla quale c’è un villaggio. Proprio qui un giorno approda uno straniero con la sua zattera. Gli abitanti si guardano negli occhi, perplessi, arretrano lungo la riva, senza distogliergli lo sguardo di dosso. Non sanno cosa farne, l’unica certezza è che lui “non è come loro”. Consultandosi tutti insieme, stabiliscono di “raccoglierlo” e di “sistemarlo” in una stalla che nessuno usa più, pensando ingenuamente di risolvere così il problema. 

Siamo in un’isola, sulla quale c’è un villaggio. Proprio qui un giorno approda uno straniero con la sua zattera. Gli abitanti si guardano negli occhi, perplessi, arretrano lungo la riva, senza distogliergli lo sguardo di dosso. Non sanno cosa farne, l’unica certezza è che lui “non è come loro”. Consultandosi tutti insieme, stabiliscono di “raccoglierlo” e di “sistemarlo” in una stalla che nessuno usa più, pensando ingenuamente di risolvere così il problema. Continuano a vivere come sempre, fino a quando lo straniero ritorna al villaggio poiché ha fame. Così riflettono a lungo e decidono di dargli un impiego per vivere, ma subito dopo pensano che il pover’uomo non sia adatto a niente. Le donne e i bambini sono terrorizzati alla sua vista e così gli uomini del villaggio lo rinchiudono di nuovo, assicurandosi, questa volta, di aver sbarrato bene la porta. Ma la paura per la sua presenza aumenta sempre più e alla fine gli abitanti decidono di rispedirlo in mare, costruendo delle mura lungo tutta l’isola, pensando di essere così al sicuro e protetti dal resto del mondo. Nessuno saprà mai dell’esistenza del villaggio perché ogni qual volta un gabbiano sorvolerà l’isola, verrà ucciso.

L’isola” di Armin Greder mi ha colpito molto per il forte tema dell’indifferenza e del disprezzo nei confronti dello straniero. Ciò che in questo albo risalta è l’utilizzo di colori grigi, scuri, terrificanti. Si fondono insieme personaggi imponenti, uniti in una massa di terrore, nelle scene si muovono come un’unica grande ombra che incombe. Mentre lo straniero esile, nudo e indifeso, assume le sembianze di un mostro proprio come appare agli occhi degli altri. Il loro terrore e disprezzo conducono il pover‘uomo alla morte vista come una liberazione dal suo peccato esistenziale. La paura spinge l’essere umano a nascondersi dietro una torre o su un’isola fortificata e a fidarsi solo di ciò che conosce, perché sicuro. Questa storia ha un finale circolare ovvero gli avvenimenti tendono a ripetersi ciclicamente nel tempo e ad annebbiare nuove menti, ad intrappolare animi rabbiosi pronti a scagliare i loro forconi contro l’evoluzione, la diversità, il nuovo, l’ignoto.

La copertina dell’albo esprime attraverso l’immagine della fortezza imponente, senza finestre, la mentalità ristretta degli abitanti del villaggio nei confronti dell’ignoto, della diversità. La costruzione grigia è disegnata come se la si guardasse dal basso. L’isola rappresenta proprio la separazione degli abitanti dal resto del mondo. Come l’isola, un pezzo di terra sola in mezzo al mare, così la visione delle persone del villaggio è gretta e poco disposta alle relazioni.

Mi colpisce molto la scena in cui gli uomini con i loro forconi “raccolgono” lo straniero. Il loro sguardo osserva solo la schiena dell’uomo nudo, in tutte le scene. Perché? Forse perché non vogliono guardarlo in faccia per paura di scoprire qualcosa? Si fermano solo all’apparenza e lo giudicano come un nemico. Il desiderio di sbarazzarsene anima i loro sogni e non li lascia mai soli. Questo li spinge ad agire e a rispedirlo in mare dove sanno che la morte lo travolgerà. Solo così troveranno finalmente pace e torneranno alle loro vite e alle loro abitudini.

Consiglio questo albo sia ai ragazzi che agli adulti per mostrare loro l’attualità dei temi scelti dall’autore. Spesso noi non conosciamo la realtà oppure ne vediamo solo una parte, quella che ci viene mostrata o più semplice da interpretare. Le persone pensano che un problema può essere definito tale solo se le riguarda direttamente e quando ciò non accade restano ferme a guardare, complici come tutti gli altri. Pertanto invito tutti a questa lettura, per imparare ad agire a piccoli passi, senza rimanere fermi di fronte alle situazioni.

Armin Greder, L'eredità - recensione di Kant

L’albo “L’Eredità” racconta la storia di una famiglia di imprenditori, in particolare di quattro fratelli il cui padre, prima di morire, dice ai suoi figli di ampliare e far prosperare ciò che aveva costruito. “Tutto questo presto sarà vostro” disse, “rispettate ciò che ho costruito e fatelo prosperare.”

L’albo “L’Eredità” racconta la storia di una famiglia di imprenditori, in particolare di quattro fratelli il cui padre, prima di morire, dice ai suoi figli di ampliare e far prosperare ciò che aveva costruito. “Tutto questo presto sarà vostro” disse, “rispettate ciò che ho costruito e fatelo prosperare.”

Immagini buie, in bianco e nero e desolate descrivono le condoglianze e il suo funerale, tutti sono tristi per la sua morte. Immediatamente i tre figli maschi cercano di mettere in pratica le parole del padre. Ma poi, dopo una serie di viaggi in tutto il mondo, “tornò la sorella” che propone ai fratelli una diversa prospettiva. Secondo lei pensare solo a migliorare le loro imprese, ad accrescere la loro ricchezza avrebbe solo provocato danni e disuguaglianze sociali. Perfino quando dice che i loro figli potrebbero vivere in condizioni pessime, i fratelli non la capiscono perché pensano che vivranno bene in quanto erediteranno le società e le ricchezze del nonno.

Dato che la sorella pensava in modo diverso, i fratelli la definiscono “strana”, anche perché stava mettendo in discussione il desiderio del padre. In questa famiglia i fratelli e la sorella hanno difficoltà a comunicare e a capirsi perché danno un valore diverso alla parola “eredità”: i fratelli pensano alle ricchezze, la sorella al pianeta.

Possiamo dire che l’albo è diviso in 2 parti: nella prima l’autore racconta la storia di questa famiglia e in particolare lo scontro tra i diversi punti di vista dei fratelli; nella seconda invece le parole spariscono e ci sono solo disegni. Le immagini raffigurano un mondo bruttissimo, ma che già assomiglia al nostro: tanto traffico che produce gas inquinanti, un uomo con una maschera d’ossigeno, una spiaggia piena di bottigliette di plastica, una nave che inquina il mare, dei boschi in fiamme che costringono gli animali ad andarsene, delle ruspe, delle industrie che producono fumi. L’albo si chiude con un’’immagine tristissima: un bambino (il nipote dell’imprenditore?) che gioca con il suo costosissimo giocattolo, ma è completamente solo o indossa una maschera anti-gas.

Quest’ albo, secondo me, è una rappresentazione abbastanza fedele del mondo d’oggi, perché, se gli imprenditori fanno tutti come quelli dell’albo, allora finiremo in un mondo pieno di problemi. L’immagine che mi ha colpito di più è quella in cui si vede un uomo con la maschera d’ossigeno perché probabilmente intorno a lui l’aria è inquinatissima e si vede dagli occhi che è terrorizzato. Inoltre non ha capelli e non si può riconoscere se è maschio o femmina e non si identifica neanche l’età.

Ho avuto la sensazione che l’autore voglia dire che, se si agisce senza criterio, il mondo diventa un luogo inospitale, ogni elemento sembra quasi spersonalizzato e piomba in un vuoto grigio in cui i contorni delle cose diventano sfumati. Anche la famiglia, che è il punto di riferimento per la maggior parte delle persone, non è un luogo di dialogo se non ci si confronta con positività: l’accrescimento del patrimonio personale non può essere l’unico obiettivo del mondo ricco, perché viviamo in una società in cui siamo tutti collegati e le nostre scelte ricadono su ognuno di noi. A che servono le ricchezze se il mondo diventa invivibile?

Non è la prima volta che leggo degli albi illustrati ma è la prima volta che leggo albi che trattano questi temi drammatici e credo che le immagini, a volte, sono più efficaci delle parole perché siamo abituati a sentire tante storie che poi però si dimenticano. Le scene di fratelli che si incontrano e discutono solo di denaro, i disegni della natura sconvolta mi hanno colpito più di tante parole, perché danno sostanza a discorsi che non sempre riusciamo a comprendere fino in fondo.

Armin Greder, Diamanti - recensione di Virgil


Carolina, una piccola bambina molto curiosa, chiede a sua madre la provenienza dei diamanti che ha indosso e lei le risponde che si trovano soltanto in posti come l'Africa. Ma per la piccola questa risposta non è abbastanza e continua a fare domande finché la madre si stanca e la manda a letto accompagnata dalla tata africana, Amina. 

Carolina, una piccola bambina molto curiosa, chiede a sua madre la provenienza dei diamanti che ha indosso e lei le risponde che si trovano soltanto in posti come l'Africa. Ma per la piccola questa risposta non è abbastanza e continua a fare domande finché la madre si stanca e la manda a letto accompagnata dalla tata africana, Amina. Quando si addormenta fa un incubo: Amina inizierà a scavare con una pala in una miniera insieme ad altri schiavi di colore. I diamanti ricavati saranno presi da gente senza scrupoli e poi venduti, viaggeranno e andranno nelle mani di tanti loschi individui per finire in un negozio dei Paesi occidentali, dove lo zio di Carolina acquisterà degli orecchini di diamanti.

Oggetti bellissimi e splendenti, che però nascondono una storia violenta e ingiusta. Diamanti. Leggendo questo albo, saltano all’occhio alcune illustrazioni. In un'immagine sono rappresentati tantissimi uomini di colore che scavano con picconi e pale. Il disegno è molto particolare: è stato realizzato con una tonalità di grigio triste e deprimente, le linee sono vorticose, sembrano quasi un uragano o una grande onda continua. Sparsi per la pagina ci sono buchi neri, da cui partono le linee. Sono dei fossi oscuri di disperazione dove i poveri schiavi lavorano. Questo disegno è paragonabile ad una specie di inferno dantesco, grazie al paesaggio lunare e alle "anime dei dannati" che lavorano senza sosta.

I volti degli schiavi, come in tanti altri albi di Greder, non sono accentuati e non sembrano neanche facce, ma linee che lontanamente le abbozzano; questo sta ad indicare che ormai sono anime senza un'identità, quasi spogliati della loro dignità e dunque della loro umanità.  

Questo dettaglio mi ricorda molto la Shoah, quando gli Ebrei non avevano più un nome, ma erano identificati solo attraverso un crudele numero.

In un'altra immagine viene rappresentato lo zio di Carolina che regala orecchini in diamante alla sorella. Anche questo disegno è molto particolare: entrambi i protagonisti sono ritratti con la testa a metà, per indicare forse che l'uomo bianco è ormai diventato incapace di pensare alla dignità e ai diritti dell'essere umano, ritenendosi "superiore" agli schiavi Africani che, invece, vengono rappresentati più piccoli ma interi.

Un altro particolare è la scatola che lo zio porge alla sorella quando le presenta il regalo: non c'è niente all'interno; come ad indicare che la storia dietro a ogni diamante non merita di esistere.

Un terzo disegno raffigura i sorveglianti degli schiavi che consegnano le proprie armi ad un individuo in ombra che Greder non ci vuole mostrare. Il nero nello sfondo dell'immagine ci fa percepire le brutte azioni che commettono; di questo non se ne pentiranno e l'oscurità li perseguiterà a vita, nel loro destino già scritto.

La scena mi ricorda un passaggio del libro "Fiori di Kabul" di Gabriele Clima che narra di una ragazza afgana che sogna di diventare ciclista, ma la sua religione glielo vieta. Un giorno, arrivano dei talebani a casa sua, amici di suo padre. La sua amica le spiega come riconoscere una persona buona da una cattiva attraverso i segni del volto e le cicatrici. Nel libro di Greder quei militari hanno sul proprio volto proprio quei segni.

In un'altra immagine viene raffigura la serva della famiglia, Amina, in una breve sequenza: nella prima cammina normalmente, come nulla fosse; nella seconda impugna una grande pala e nella terza inizia a scavare e scavare insieme ad altre persone dal volto triste.

Questo disegno mi colpisce perché conserva molti significati: lo sfondo resta sempre chiaro e, a differenza della scena del commercio con l'uomo bianco, è come se volesse dire che Amina è una persona innocente, costretta a fare un lavoro troppo pesante senza alcuna ricompensa. Durante l'osservazione di queste due pagine mi sono posto una domanda: perché Amina impugna una pala al posto della scopa? Una volta spostato lo sguardo, tutto è diventato chiaro.

Leggendo l’albo Diamanti ho ripensato al mio viaggio in Africa: quando sono stato in Kenya, fuori dal mio resort, c'era una baraccopoli vera e propria con case fatte di fango e pezzi di ferro e poi solo polvere, polvere e polvere. Gli uomini battevano la zappa arrugginita al suolo; le donne trasportavano acqua potabile da chissà dove. L'unica immagine piacevole erano i bambini che ti salutavano sorridendo, pensando che il luogo dove vivevano era il più bello dei mondi possibili.

Armin  Greder
Mediterraneo
recensione di Ali26

Con la professoressa d’italiano abbiamo letto in classe “Mediterraneo”, un albo scritto da Armin Greder, che racconta una storia tanto dolorosa quanto vera. L’albo si apre con l’immagine di un corpo di un migrante che affonda sul fondale del mare.

Con la professoressa d’italiano abbiamo letto in classe “Mediterraneo”, un albo scritto da Armin Greder, che racconta una storia tanto dolorosa quanto vera.

L’albo si apre con l’immagine di un corpo di un migrante che affonda sul fondale del mare e successivamente viene mangiato dai pesci che popolano il mare; a loro volta questi vengono catturati dalle reti dei pescatori per poi essere venduti al mercato e serviti in un ristorante. È questa la scena che appare ora, il pesce viene servito a due clienti, un signore bianco borghese ben vestito e un militare nero.

Nelle tavole seguenti, Greder segue il tragitto compiuto dalle armi, dai nostri porti fino alle mani di soldati africani che le utilizzano per assaltare un villaggio. Nella tavola dell’assalto al villaggio non ci sono colori tranne l’arancio, usato per rappresentare il fuoco. Gli abitanti del villaggio sono dapprima spaventati perché non hanno più una casa o un posto in cui andare, poi appaiono quasi sono rassegnati nel percorrere il lungo viaggio alla ricerca della salvezza. Le donne portano in testa un cesto pieno del minimo indispensabile, che hanno preso in fretta prima di evacuare il villaggio.

Nella tavola successiva si può vedere una jeep in lontananza piena di persone circondata dal deserto. Questa seconda parte dell’albo mi ha ricordato un libro che ho letto questa estate e che mi ha colpito molto, “Non dirmi che hai paura” di Giuseppe Catozzella, in cui si racconta la storia di Samia, una ragazza somala il cui sogno era quello di correre alle Olimpiadi. Per arrivare in Italia anche Samia ha dovuto fare un viaggio terribile: anche lei salì su una jeep dove erano tutti incastrati perfettamente, e chi cadeva dalla jeep non veniva più recuperato ed era spacciato. Avevano a disposizione poca acqua e con cinquanta gradi nel deserto era impossibile sopravvivere.

Per continuare il viaggio bisognava pagare una somma di denaro e chi non ne era in possesso poteva chiamare un familiare o un amico per potersela fare inviare.

Ritornando all’albo, anche qui si vede proprio questo momento, un uomo bianco in mezzo ai neri che raccoglie il denaro. Successivamente possiamo osservare un barcone stracolmo di persone che aspettano di arrivare a destinazione; anche Samia ha percorso un viaggio via mare per arrivare in Italia, ma il suo barcone si fermò in mezzo al mare mentre una barca italiana calava delle funi, alcune persone per la disperazione si buttarono dal barcone cercando di raggiungere a nuoto le funi, anche Samia ci provò… lei ha dato di tutto per raggiungere il suo sogno ma purtroppo il 2 aprile 2012 nel Mar Mediterraneo ha dato anche la sua vita.

Un anno dopo, nel 2013, ci fu un altro naufragio il 3 di ottobre, a causa del mare agitato. Abbiamo visto un video in cui un sopravvissuto del 3 ottobre raccontata la sua esperienza: era lì con una sua amica e il figlio di pochi anni, la sua amica aveva paura del mare quindi prese delle pillole per addormentarsi, prima di ingerirle chiese all’uomo di prendersi cura di suo figlio. Quella notte era buio pesto, il barcone si fermò vicino le coste di Lampedusa, nessuno venne ad aiutarli solo delle barche passarono vicino, ma non si fermarono. Il capitano sul barcone per attirare l’attenzione delle altre barche bruciò la sua maglietta ma un secondo dopo il barcone si spezzò in due. L’uomo caduto in mare teneva stretto il bambino dell’amica, ma le persone aggrappandosi per salire in superficie gli fecero perdere il bambino. Lui è uno dei pochi sopravvissuti di quella notte: racconta che sul barcone c’era un suo amico con la moglie in attesa di un figlio, ma purtroppo entrambi non sopravvissero. Alla fine dell’intervista scoppia in lacrime dal dolore della perdita.

L’ultima tavola di questo albo rappresenta proprio questo, un barcone spezzato nel Mar Mediterraneo senza alcuna traccia di persone.

Secondo me la fine di questo albo è collegata all’inizio, come se volesse mostrare il ciclo continuo di questa tragedia; ho pensato che il corpo che si vede nella prima tavola dell’albo potrebbe essere, ad esempio, quello Samia.

Mi ha colpito molto come l’illustratore ha rappresentato questa storia perché riesce a trasmettere attraverso i suoi disegni emozioni molto forti anche senza parole, anzi secondo me Greder ha scelto la forma del silent book per “Mediterraneo” per far in modo che l’argomento possa colpire maggiormente; le immagini parlano da sole, non c’è bisogno di spiegarle.

Armin Greder, Mediterraneo - recensione di Zoe27

Fra gli albi scritti dall’illustratore e autore Armin Greder, assieme alla mia classe e alla mia professoressa di italiano ne abbiamo letti e commentati quattro,  “Mediterraneo”, “L’Isola” , “Diamanti” e infine “Notiziario”. Tra questi quello che più mi ha colpito è stato “Mediterraneo”, un albo nel quale Greder ci parla del mare, della morte e del tema della migrazione, lo fa con semplicità e spontaneità che ho apprezzato molto.

Fra gli albi scritti dall’illustratore e autore Armin Greder, assieme alla mia classe e alla mia professoressa di italiano ne abbiamo letti e commentati quattro,  “Mediterraneo”, “L’Isola” , “Diamanti” e infine “Notiziario”. Tra questi quello che più mi ha colpito è stato “Mediterraneo”, un albo nel quale Greder ci parla del mare, della morte e del tema della migrazione, lo fa con semplicità e spontaneità che ho apprezzato molto. L’autore ci racconta dei lati più oscuri di ciò che il Mediterraneo può celare, attraverso la storia di migranti e del loro viaggio verso quella che sperano sia la libertà ma che in realtà è molto altro. 

L’autore riesce a raccontarci la loro storia senza l’utilizzo di parole, solo con meravigliose illustrazioni che ci trasmettono tutte le emozioni negative, scaraventandoci in quello che hanno vissuto quelle persone, esattamente come lo avrebbero fatto le parole. Le illustrazioni ci mostrano anche un corpo leggero che sprofonda nell’acqua, abbandonato in profondità dove i pesci finiscono per mangiarlo.

L’albo ci sottopone anche una illustrazione che mostra dei trafficanti di armi ben vestiti che impartiscono ordini a uomini che sembrano provenire dal continente africano. Continuando a sfogliare le pagine dell’albo, Greder ci fa tornare ancora in Africa, proprio dove quel povero corpo sprofondato nell’acqua aveva vissuto prima del suo naufragio, seguendo il tragitto delle armi che arrivano prima su un mercantile e poi in un paesino africano nel quale vengono rappresentate case in fiamme e donne e uomini in fuga. Man mano che proseguiamo incontriamo illustrazioni che si fanno sempre più drammatiche. 

Questo albo mi ha molto colpito e attirato proprio per la facilità sia di comprensione che spiegazione di queste tematiche più difficili per noi ragazzi. Il messaggio che mi è arrivato è la riflessione alla quale Greder ci chiama attraverso l’unica frase presente nell’albo: “Dopo aver finito di annegare, il suo corpo scivolava lentamente verso il fondo, lì dove i pesci lo aspettavano”; io penso sia un invito a non fermarci a quello che c’è sulla superficie di un problema, che ha risvolti molto più profondi.

Da alcune ricerche fatte ho scoperto quanto Greder dice rispetto alla spinta creativa che lo ha portato a realizzare questo albo: era rimasto colpito dalle parole di una donna che, dopo l’ennesimo naufragio in mare cui assistiamo ormai quotidianamente, decise di non mangiare più pesce, non poteva accettare l’idea che i pesci che mangiano i corpi innocenti di tanti disperati sono gli stessi che troviamo sulle nostre tavole. Sono parole che io non dimenticherò.

Consiglio questo albo sicuramente agli adulti e ai ragazzi, meno ai bambini, per le tematiche poco adatte a loro.