Il fenomeno della violenza maschile sulle donne è un argomento molto importante e delicato.
Ancora oggi la cronaca definisce le stragi di violenza maschile sulla donna come “omicidio passionale”, “d’amore”, “raptus”, “momento di gelosia”. Sembra quasi che in questo modo si voglia giustificare qualcosa che in realtà è mostruoso.
Il termine “femminicidio” è tristemente e prepotentemente entrato nella nostra quotidianità, grazie all’attenzione che i mass media hanno avuto verso questo tema negli ultimi anni. Nei telegiornali, per esempio, la figura della donna appare prevalentemente come vittima di casi di cronaca nera.
Agli occhi della gente esse appaiono come esseri fragili, esposte alla violenza e al sopruso.
La parola “femminicidio” non esaurisce però il suo significato nell’atto finale di uccisione di una donna, ma riguarda un fenomeno più ampio che include varie condotte, quali: maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa o economica, tenute prevalentemente da uomini, in ambito lavorativo, familiare o sociale. Si tratta, quindi, di comportamenti che minano la libertà, la dignità e l’integrità di una donna, e che possono culminare nell’omicidio, nel tentativo di uccisione o in gravi forme di sofferenza.
Secondo uno studio internazionale, almeno il 35% della popolazione femminile tra i 16 e i 70 anni ha subito nella sua vita una qualche forma di violenza da parte di un uomo.
In molti casi di femminicidio si è visto come le donne avessero già denunciato episodi di violenza o persecuzione, come lo stalking. Il fatto che molte di queste denunce siano poi finite nel vuoto, arrivando all'episodio di violenza estrema, ci fa capire quanto siano inefficienti le misure utilizzate contro lo stalking e le altre forme di persecuzione alle donne.
In altri casi, 8 vittime su 10 non hanno il coraggio di denunciare l’uomo che le maltratta, arrivando a subire violenze di ogni tipo senza parlarne con nessuno. Anzi spesso giustificano eventuali segni di violenza sul loro corpo parlando di cadute o incidenti domestici accidentali.
Ma la violenza non è solo quella “fisica”. Offendere, opprimere, umiliare, mortificare, denigrare: anche queste azioni sono violenze. E forse sono le più subdole perché non “visibili”, riguardando l’animo delle donne e non fanno meno male di quella fisica.
La maggior parte dei femminicidi è preceduta da episodi di violenza soprattutto domestica, cioè commessi da un marito, da un fidanzato o da un ex.
In Italia dall’inizio del 2020 si sono purtroppo contati ben 91 casi di femminicidi, 1 ogni 3 giorni, soprattutto durante il periodo di convivenza forzata causata dal lockdown. Anzi, con i dati alla mano, in questo periodo il fenomeno è addirittura triplicato. Nei mesi dell’emergenza sanitaria, infatti, sono aumentati anche i casi di richieste d’aiuto da parte di donne vittime di violenza maschile.
Il 25 novembre è stata istituita come la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne proprio per dire basta a tutti i soprusi perpetrati dagli uomini che non riescono a frenare le loro ossessioni, le loro insicurezze e si credono potenti sottomettendo una donna.
Ricordiamo che l’amore non può essere violento: se ami qualcuno non gli fai del male!
Santantonio Alessio III D
Un brutto sogno
“Sappi che tutto quello che dirai rimarrà tra noi, puoi fidarti”,- questa fu la prima frase che la psicologa mi disse, quando ancora non era a conoscenza dell’ inferno racchiuso in quelle quattro mura. Il mio racconto iniziò con una semplice parola: “Lui” e subito dopo le parole iniziarono ad uscire dalla mia bocca prima ancora di pensarle, e di tanto in tanto accompagnate da qualche singhiozzo per trattenere le lacrime. “La mia storia era complicata perché tutte la violenza che subivo era invisibile agli occhi degli altri. Questa fu la causa per cui la mia forza nel denunciare sparì poco dopo e ritornai insieme lui…nessuno mi credeva” subito dopo, istintivamente mi scappò un sorriso, forse perché era diventata un’ abitudine. Visto che nessuno mi credeva fu più facile farla passare come una piccola e innocua lite. Spesso si associa il sorriso alla felicità , ma nel caso mio no, il sorriso diventa una maschera , tipo come a quando ti trucchi per coprire un brufolo, cosa che io non potevo fare. “ Ma che ti trucchi a fare, hai già conquistato me, non devi attirare altre attenzioni… da qui iniziò tutto”, mi ricordo che lo disse con quasi un tono scherzoso , lì per lì non ci diedi tanta importanza, anche se poi il rossetto non lo misi lo stesso… “poi passò ai vestiti, mi strappò tutti i vestiti che facevano risaltare un po’ le forme , o che mi facevano stare bene perché con quelli mi sentivo donna” lui diceva che attiravano troppo gli occhi degli altri e che se li avessi indossati era palese che qualcuno allungava le mani, “vabbè in fondo ha ragione”…troppo innamorata per capire la gravità della situazione, troppo innamorata per capire che quello non era amore e che la violenza è anche di tipo psicologico, e che io ne ero vittima.
“ Te li meriti tutti questi vestiti strappati, almeno così avrai meno tempo per uscire e più tempo per concentrarti sulla casa e per diventare una fidanzata accettabile. Quando mi disse questa frase io ero piena di rabbia, ma feci comunque quello che voleva” –rivelai- “ ero troppo impegnata a ripetermi che facevo schifo per ribellarmi” in realtà non so spiegare che sensazione fosse quello che provavo per me stessa, di sicuro non era schifo, era ben oltre, una sensazione che non augurerei a nessuno. “Certe volte era romantico…anche se poi finiva sempre per elencarmi tutte le cose che non andavano bene di me. Voleva passare la vita con me, per questo ho dovuto lasciare l’ università, noi già vivevamo insieme e le mie tasse universitarie le riteneva inutili, perché essere autonoma economicamente quando c’ è già lui? Questo mi conduceva a pensare durante la nostra relazione”
Mentre dicevo questo improvvisamente lacrime dopo lacrime iniziarono ad uscire… lacrime represse , bloccate dal mio “sorriso”. “Nelle settimane successive iniziai a sentirmi come una bambola, immobile, ma con tanta voglia di muoversi…. Divenne sempre più forte , a tal punto da non poterla più ignorare, così decisi di contattare di nascosto la persona che mi faceva sentire veramente bene: il mio migliore amico. Nonostante non lo vedessi da mesi per colpa del mio fidanzato, lui è rimasto al mio fianco. Mi ha aiutato a capire e a ritrovare la forza lasciarlo, ma soprattutto di denunciarlo. Purtroppo in tribunale non ci furono abbastanza prove , come ho detto precedentemente questo tipo di violenza è invisibile, ti devi solo fidare di una testimonianza...dopo la nostra rottura divenne pazzo, minacciava chiunque si avvicinasse. Fortunatamente dopo una delle tante scenate a separarci era un’ ordinanza, ma comunque nessuno si volva prendere la responsabilità di ospitarmi…nessuno voleva rischiare , tranne il mio migliore amico; mi ha ospitato e mi ha aiutato a riprendere gli studi… è stato lui a farmi rinascere”.
Finisco questo discorso come se fosse uno sfogo e finalmente le lacrime diminuiscono assieme alla velocità dei battiti mio cuore. L’ atmosfera ritorna più tranquilla. Prima di entrare ero un po’ scettica, in fondo ero davanti ad un’ estranea a cui avevo rivelato la mia parte di vita più oscura, ma ora sul mio viso è accennato un piccolo sorriso , diverso rispetto a tutti quelli che ho indossato era vero…. Tipo come quando ti svegli sudando da un brutto sogno e ti rendi conto che era solo quello, un brutto sogno.
Racconto scritto da Erika Cepparulo III D
Dieci anni, dieci bruttissimi anni. Mi chiamo Fabiana e sono una donna. Solo oggi ho avuto il coraggio di parlare con mia madre di un pezzo della mia vita. Un pezzo durante il quale l’ho allontanata, senza avere il coraggio di guardarla negli occhi e di mostrarle i miei, pieni di lividi. Non e’ stato semplice, ma con l’aiuto del mio psicologo ce l’ho fatta. Ricordo ancora il primo giorno che lo incontrai, avevo le mani sudate e le parole non volevano proprio uscire dalla mia bocca.
Mi feci coraggio e come un treno iniziai il mio racconto così: “La mia migliore amica mi fece incontrare un ragazzo bellissimo, si chiamava Edoardo. Ci incontravamo sempre ed era dolcissimo. È passato qualche mese, ci siamo fidanzati! Continuava ad essere dolce e spesso mi portava dei fiori. Eravamo fatti per stare insieme, mi chiese di sposarlo, ovviamente dissi di sì, era il mio principe azzurro. Era tutto pronto, il mio vestito era bellissimo, ero felicissima. Arrivò il grande giorno! Eravamo felici insieme. Passarono sei mesi ed eravamo ancora felici, ma qualche giorno dopo uscimmo, ero vestita benissimo, infatti mi fece i complimenti, durante la serata bevve molto e quando tornammo mi tirò un pugno, il vestito era troppo scollato.”
Alzai gli occhi e vidi lo psicologo che mi ascoltava senza fiatare. Con un cenno della testa mi incitò a continuare il mio racconto.
“Aveva ragione, una donna sposata non può uscire così, me lo sono meritato. Sono passati due anni e continuavo a comportarmi male. Non potevo andare a fare la spesa senza chiedergli il permesso e non potevo vestirmi bene e truccarmi, ovviamente smisi di parlare con amici e parenti, ero sposata. Diventò aggressivo, non era più il principe azzurro di una volta, ma aveva ragione, il problema ero io, lui era al mio fianco nonostante fossi grassa, brutta e incapace nel ruolo di donna. Stavamo insieme da sei anni e per ogni cosa mi faceva del male. Un giorno andai a comprare il pane senza chiederglielo, e mi ritrovai con il naso rotto, ovviamente quando andai al pronto soccorso dissi che ero caduta dalle scale. Dopo otto anni che ho tenuto duro, FINALMENTE mi disse che ero incapace di cucinare e mi fece ordinare delle pizze, al posto della pizzeria chiamai la polizia .”
Alzai nuovamente gli occhi e vidi una mano che prontamente mi allungò un fazzoletto col quale asciugai le lacrime che ormai mi avevano riempito il viso.
“ Lo presero ed io andai a casa della mia migliore amica e aspettai con ansia il processo che lo ritenne colpevole di abusi e violenze nei miei confronti.”
Sono passati dieci anni ed è bellissimo poter abbracciare mia madre senza avere paura di guardarla negli occhi.
Racconto scritto da Maila De Simone III D
Eccola Chiara! …… Erano mesi che non la vedevo…….. Cammina spedita con gli occhiali da sole anche se piove!
Mi avvicino e le dico : “ Hey Chiara, da quanto tempo….., cosa hai fatto in questi mesi?”
Lei, in modo frettoloso mi dice : “ Ciao, niente di particolare, solite cose…. Ma ora devo andare, vado di corsa!”
Ed io : “ Ma dove corri sotto la pioggia, e poi con questi occhiali scuri……. Dai, vieni che ti offro un caffè!”
Chiara risponde: “ No, no davvero devo andare, si è fatto tardi!”
Guardo con attenzione il suo volto e mi accorgo che dietro gli occhiali si intravede un brutto livido dalle sfumature violacee e verdognole. Vorrei trattenerla ma lei scappa via. Mi avevano detto che si era fidanzata con un ragazzo molto geloso...
Certo che è cambiata molto in questi mesi. Era una ragazza sempre allegra, con tanta voglia di uscire, di stare con gli amici. Aveva tanti progetti per il futuro, le piaceva molto viaggiare e visitare paesi, imparare cose nuove.
Dov’è finita la Chiara di una volta? .... La sua allegria, la sua voglia di vivere, il suo entusiasmo, sono stati spenti da quell’amore violento, ma che in fondo non è vero amore, ma solo violenza.
Racconto scritto da Marco Russotto III D
Guardai quella casa, quell’orribile casa, il luogo in cui trascorsi 6 anni di inferno a causa delle violenze subite da parte di mio marito, sempre se possa essere definito tale. Il ricordo di quelle pareti che avevano ascoltato tutte le mie urla, i miei lamenti, i miei singhiozzi e visto le mie lacrime scendere una ad una sul mio viso, rimanendo in silenzio nella mia solitudine. Conobbi il mio carnefice all’età di ventidue anni e subito me ne innamorai. Dopo un breve periodo di conoscenza ci fidanzammo. Il nostro era un rapporto meraviglioso: mi faceva sentire una principessa. Era molto dolce, carino, generoso e dopo quattro anni di fidanzamento mi chiese di diventare sua moglie. Io ero super contenta e felice di sposare l’uomo che amavo e non vedevo l’ora di trascorrere la mia vita insieme a lui perché sapevo che era quello giusto. Esatto! Quello giusto, ma mi sbagliavo! Un giorno, mentre ci stavamo divertendo giocando con i cuscini, mi tirò un pugno sull’occhio perché gli avevo fatto male inconsapevolmente. Io rimasi di stucco e lui vedendomi un po’ turbata mi promise che non l’avrebbe più fatto. Il giorno dopo, guardandomi allo specchio, notai il viola presente sotto l’occhio. “Ma è stata colpa mia, se non avessi tirato il cuscino così forte non sarebbe capitato”...Questo era quello che mi ripetevo continuamente. Lui era sempre stato un tipo molto geloso e questo, inizialmente mi faceva piacere, perché pensavo che ci tenesse a me. Un giorno mentre stavo tornando a casa con delle mie amiche mi chiese dove fossi stata. Io gli risposi che ero andata a fare shopping e lui mi tirò uno schiaffo sulla guancia dicendomi che la prossima volta dovevo avvertirlo. Mi aveva promesso che non sarebbe mai più successo, ma era ricapitato. Mi sentii ferita. Col tempo diventò sempre più geloso fino a diventare possessivo. Mi proibiva di uscire ed era lui che decideva per me cosa indossare. Inizialmente pensavo che fossi io il problema, che avrei dovuto passare più tempo con lui. Sono stata una stupida a pensarlo perché in realtà non voleva stare con me. Lui non mi amava. Mi privò della mia libertà, non riuscivo più a vivere serenamente la mia vita. Mi sentivo intrappolata in una gabbia, in un tunnel senza luce. Nessuno si preoccupava di me: né la mia famiglia né i miei amici. Ogni volta che mi chiedevano “Come stai?” io rispondevo sempre “Bene”. Nessuno riusciva mai a vedere oltre quella parola, a come mi sentissi veramente, oltre quel sorriso superficiale che avevo in volto. Ogni volta che mi chiedevano cosa avessi sulle braccia e in faccia rispondevo sempre con le solite frasi: “Sono caduta”, “Sono scivolata”, “Sono inciampata” ma non sapevano che dietro quei lividi, quei graffi c’era la cattiveria di mio marito. Egli però mi picchiava solamente a casa. Fuori era diverso; si comportava tutt’altro modo: era gentile davanti agli altri, premuroso e affettuoso. Dopo anni ed anni di violenze, finalmente sono riuscita a trovare il coraggio di denunciarlo, dopo l’ennesima litigata. Quella sera, dopo i calci e pugni, uscii da casa e con il terrore negli occhi andai dai carabinieri. Raccontai tutto dall’inizio alla fine e mentre parlavo mi sembrava che anche il dolore fisico si affievoliva. Per alcuni anni sono stata in analisi e ripercorrere quegli eventi era dolorosissimo perché si riaprivano ferite che mai avrei voluto riaprire. Ma mi è servito a ritrovare me stessa, la mia anima, la mia dignità di donna. Ora ho trentaquattro anni, vivo in un’altra città e ho una famiglia: mi sono sposata con uomo che mi ama veramente e ho uno splendido bambino. E’ stato un percorso doloroso e sofferto ma se non avessi avuto il coraggio di denunciare non so che fine avrei fatto. Forse oggi non starei qui a raccontare la mia storia! Spero che questo serva come esempio a tutte le altre donne che si sono trovate e che si troveranno nella mia stessa situazione. DONNE DENUNCIATE I VOSTRI CARNEFICI!
Racconto scritto da Asia Lagnena III D
Oggi sono tornato prima da scuola perché avevo mal di stomaco. Mamma mi è venuta a prendere e mi ha abbracciato. Poi a casa mi ha dato una medicina e mi ha detto di giocare nella mia stanza. Ora so montando il mio T-Rex.
Ecco che sento la voce di mamma che urla e piange. Chiudo gli occhi e penso che sia solo un brutto sogno, ma non è così.
Il mio T-Rex ora è immobile e ha paura.
"Lasciami in pace, Andrea è di là"- sento la voce della mamma.
"Dammi i soldi, altrimenti ti faccio vedere io!- urla papà con voce minacciosa.
Si sente un rumore di piatti rotti.
Mamma urla:" Mi fai male! Basta, non mi picchiare più!"
"Non ti sopporto più, ti odio, se non la finisci di urlare ti ammazzo!- Risponde papà.
Sento la voce di mamma chiedere aiuto e le sue parole" Qualcuno mi aiuti! Lasciami, vattene via!
Rimango immobile e in silenzio, sono impietrito. Quando sento la porta chiudersi, ho il coraggio di riaprire gli occhi. Subito corro in cucina da mamma e l'abbraccio forte forte.
"Mamma ho paura, ho paura di papà. Non lo voglio più"- Le dico con un filo di voce.
"Non ti preoccupare"- mi rassicura abbracciandomi- " Non tornerà, te lo prometto"
" Ti voglio bene"
"Anche io, tanto".
Da quel giorno le cose cambiarono. Non so cosa decise di fare mia madre, a chi chiese aiuto per uscire da quella situazione, ma so che da quel giorno il sole tornò a splendere nelle nostre vite.
Racconto scritto da Donato Zizzari III D