16 otttobre 2020

Prospettive bachiane

Ecco un pezzo dello scorso articolo di Marco Gatti:


“Composta tra il 1741 e 1745 l’”Aria con diverse variazioni per clavicembalo con due manuali” (BWV 988) é una delle monumentali composizioni dell’ultimo Bach. Dette Variazioni Goldberg perché secondo uno dei suoi primi biografi fu scritta sotto commissione del conte Hermann Carl von Keyserling grande cultore musicale che prese sotto la sua protezione Johann Gottlieb Goldberg, giovane talentuoso clavicembalista allievo di Bach. Il conte soffrendo di insonnia avrebbe chiesto a Bach di comporre alcuni pezzi da far eseguire a Goldberg nella stanza accanto per conciliare il sonno. Ne uscirono una serie di 30 variazioni su un'aria, quest'ultima ripetuta alla fine di tutte le variazioni per un totale di 32 brani. Le variazioni si presentano a gruppi di 3, la terza è sempre un canone in ordine di distanza intervallare (Canone all’unisono, canone alla seconda…) il decimo (variazione 30, l’ultima) è un Quodlibet, una libera fusione contrappuntistica di melodie popolari e di corale.”


Marco, come tutti, non si dimentica di accennare alla curiosa funzione “sonnifera” del brano, e non a torto, perché fa sorridere, specialmente se accostato a tutte le complicate caratteristiche del ciclo bachiano. Ci si chiede se il conte von Keyserling si lasciasse trasportare dalla musica o stesse attento alle ingegnose soluzioni contrappuntistiche dei canoni di Bach alla posizione n° 3, 6, 9 etc... (sempre che ne capisse).


La pacifica convivenza di più livelli di ascolto è frequentissima in Bach, e per spiegarla di solito si fa appello ad una tendenza tutta barocca: il topos della falsità dell’apparenza. Gli enormi stravolgimenti nella conoscenza del mondo, dalla rivoluzione copernicana alle scoperte geografiche, avrebbero reso perennemente scettico l'uomo seicentesco e influenzato gli artisti, ora nel contenuto (ad esempio Don Chisciotte), ora nel modus operandi (come nel nostro caso).

Torniamo però alle nostre Variazioni. La data di composizione ci permette due considerazioni: primo, è inverosimile che le scoperte secentesche avessero continuato a dare vertigini anche in pieno Settecento; secondo, nella musica di questi anni non si trovano diverse chiavi di lettura come in Bach (le quattro stagioni di Vivaldi sono un buon termine di paragone).

Sembra quindi riduttivo ricondurre questa particolarità al solo estro del compositore tedesco. Mi piacerebbe proporre una nuova ipotesi, a partire da un passo di Edward Peters:


Nel corso dello sviluppo della teologia protestante, nessun riformatore ha mai sostenuto che le proprie dottrine costituissero una religione “nuova” o che dipendesse da qualcosa diverso dalla rivelazione divina originale [...]. Perciò, la religione riformata del sedicesimo secolo doveva affermare una tradizione storica subito dopo aver affermato una verità teologica. E doveva spiegare perché, se la verità era stata rivelata nell’Antico e Nuovo Testamento e conosciuta dalle prime comunità cristiane, aveva impiegato sedici secoli per essere completamente compresa e finalmente proclamata. Doveva inoltre spiegare il procedere irregolare e spesso insoddisfacente delle riforme in quel tempo.

[...]

Martin Lutero stesso ha postulato l’esistenza di una Chiesa vera, nascosta e perseguitata che ha sofferto per mano di una Chiesa falsa, simulata e persecutoria che ha corrotto la Parola e ha usurpato forme altrimenti legittime di potere statale. Pertanto nella storia iniziale della Chiesa protestante il tema dei cristiani autentici perseguitati ha occupato una posizione di rilievo. E i loro persecutori erano i capi della Chiesa latina che manipolavano l’autorità secolare per i loro fini corrotti.

nonostante Lutero non abbia completato questa prospettiva in dettaglio, lo hanno fatto storici protestanti posteriori. [...]

Nel 1522 Bernardo di Lussemburgo, un cattolico, pubblicò un elenco in ordine alfabetico delle eresie dalla prima Chiesa al presente. Lutero, diceva Bernardo, “svegliò eresie addormentate”. (Traduzione mia)


Il discorso di Peters prosegue spiegando come nel mondo protestante si diffuse, in apparente contrasto con il disconoscimento dei santi, un forte culto per i martiri medievali, considerati parte della “vera Chiesa” perennemente soppressa.

Ciò che importa è che, con il beneficio del dubbio, si può mettere a sistema la profonda fede luterana di Bach a questa credenza, senza dubbio molto affascinante. Chissà se anche il compositore delle Goldberg pensasse alla storia come a dei germogli di verità continuamente estirpati. Sarebbe stata una buona ragione per tenersi stretto al topos barocco ormai desueto al suo tempo.

Davide Filippi

Bibliografia:

Edward Peters, Inquisition, The Free Press (A Division of Macmillan), New York, 1988, pp. 125-126

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