24 luglio 2020

Indifferenza, intervista a Grazia Villa

Grazia Villa è una avvocata di Como, nonché fondatrice dell'Associazione di politica e cultura “Rosa Bianca”. Si occupa di diritto del lavoro, di diritto di famiglia e di diritti delle donne. La sua passione è la tutela e il rispetto dei diritti umani delle persone in difficoltà e più vulnerabili. Infatti, Grazia Villa nella sua vita non ha di certo scelto la strada spianata dell'indifferenza, ma al contrario ha affrontato le sfide e ha agito restando sempre fedele alla non indifferenza, all' I care.

A voi le sue parole, parole non indifferenti che lasciano il segno.


Che cos'è per lei l'indifferenza?


Se per te va bene, vorrei iniziare questa nostra chiacchierata leggendoti un pezzettino dell’Enciclica di Papa Francesco “Sulla fraternità e l’amicizia sociale” che sto leggendo in questi giorni e che mi sembra proprio centrata sul nostro argomento :

"Nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima comunità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un'utopia di altri tempi. Vediamo come domina un'indifferenza di comodo, fredda e globalizzata, figlia di una profonda disillusione che si cela dietro l'inganno di una illusione: credere che possiamo essere onnipotenti e dimenticare che siamo tutti sulla stessa barca. Questo disinganno che lascia indietro i grandi valori fraterni conduce "a una sorta di cinismo"[...] L'isolamento, no; vicinanza, sì. Cultura dello scontro, no; cultura dell'incontro, sì."

Quello di cui oggi parleremo in questa chiacchierata, è proprio quello che in questa Enciclica si vuole combattere, ovvero l'indifferenza. Mi piace molto questa Enciclica, almeno la parte che ho letto fin'ora, perché è molto laica, non ha riferimenti religiosi e questo proprio perché il papa vuole parlare all'umanità.

Il messaggio che vorrei lanciare è la necessità di instaurare un'amicizia sociale, oltre che una fraternità che è il contrario dell'indifferenza.


La concezione negativa che noi diamo a questa parola, è quella collegata ad un comportamento di disinteresse, distanza, apatia, di scostamento e di isolamento.

In realtà questo termine in passato era addirittura per certi tipi di filosofie una forma di ricerca. Significava cioè cercare di raggiungere un distacco dalle emozioni, dalle passioni forti, dalle cose del mondo e per quanto riguarda il monachesimo tutto questo si traduceva nella così detta esechia , esercitata soprattutto dagli eremiti e considerata quasi una meta da raggiungere.

Evidentemente come spesso accade, le parole nello scorrere degli anni, nell'inserimento di visioni del mondo differenti, di giudizi morali ed etici, subiscono uno slittamento di significato. L’accezione negativa, nasce perciò dall'essere il retro della medaglia di qualcos'altro. Nel caso dell'indifferenza come lato B, il suo il lato A è la passione, l'attenzione verso gli altri, la responsabilità e se vogliamo utilizzare un termine a me molto caro, è l'I CARE: diventato anche il motto di Barack Obama durante la sua campagna elettorale, nonché la frase impressa sul muro della scuola di Barbiana.

Lorenzo Milani infatti non a caso aveva utilizzato questo motto inglese per suscitare ai suoi piccolissimi alunni, la consapevolezza dell'importanza del dire "mi importa, me ne faccio carico"!

Quindi se proprio vogliamo trovare il contrario della parola indifferenza, uso questa parola in inglese anche per un atto di riconoscenza nei confronti di don Lorenzo Milani e del suo insegnamento.

Se quindi noi partiamo dal presupposto che ci deve importare, compiamo una grande, enorme scelta umana: se stare tra gli indifferenti o se invece stare tra chi si preoccupa, si occupa e porta il peso del vivere in un contesto sociale fitto di relazioni umane e fatto di prossimità e di vicinanze. Detto questo non assumiamo e scegliamo il significato originario dell'indifferenza, ma piuttosto il contrario del mi importa.

Tra l'altro è molto curioso che anche nei social, tra le varie "iconcine", oltre che i mi piace, troviamo l'opzione mi interessa. Può essere una cosa sciocca, ma io lo leggo con un significato: rispetto a una realtà fuori di me, io esprimo una non indifferenza, mi interessa, ci sto, ci penso.

Il contrario dell'indifferenza poi, non lo vedo direttamente collegato ad un'azione, anche se poi si concretizza. Penso infatti che ci sia un'esigenza del cuore umano, della mente, dell'animo umano, del corpo umano, di essere in relazione e quindi di non poter vivere di indifferenza, perché di indifferenza si potrebbe anche morire. Non solo se sono una persona debole, affamata, un migrante, uno straniero che sta per morire in mare, quelli insomma che nella sociologia e nella lingua comune chiamiamo i vulnerabili. Io posso morire, e di questo ne sono convinta, anche se mi metto nella posizione dell'indifferente. Perché vivrei senza interessi, senza relazioni, senza contatto. Isolamento, no. Vicinanza, sì. L'indifferente vive in una sorta di auto isolamento anche quando sta in un contesto sociale. Ci sono relazioni famigliari per esempio basate sull'indifferenza reciproca, poiché non è detto che la vicinanza fisica sia anche mentale e umana. Non è quindi la vicinanza fisica che comporta la creazione di relazioni differenti, ma l'I care: banalmente ti chiedo “come è andata a scuola?”, banalmente dico ”mamma ti vedo un po' stanca”.

E' anche vero che nella nostra modalità di vivere con una moltiplicazione di contatti, sembrerebbe che fossimo quasi obbligati a non essere indifferenti. Il problema è capire però se questi contatti costruiscono relazioni, ci inducono a valorizzare le nostre differenze e creare dialogo, amicizie, fraternità, a creare comunità oppure sono una modalità per mascherare delle difficoltà di relazionarsi?

In questo caso c'è una sorta di nuova forma di indifferenza nascosta dietro un cumulo di contatti. Va smascherata la finta partecipazione, quello che non sembra indifferenza ma che nasconde un atteggiamento un po' narcisistico quale lo specchiarsi in se stessi, nei propri followers. Questo specchio però decreta da un lato quanto tu non sia indifferente al pubblico, ma nello stesso tempo a volte condanna alla solitudine perché ci si limita allo specchiarsi senza cercare l'altro o l'altra persona che ci sta attorno.


Ci sono stati dei momenti, nella sua vita personale e lavorativa, in cui ha prevalso l'indifferenza? Sia per mancanza di coraggio sia perché si è ritenuta la migliore scelta per quella situazione?


Questa è una bella domanda, che mi mette molto in gioco. Per fortuna o purtroppo, la modalità dell'indifferenza non mi appartiene e non mi è mai appartenuta, sia per il mio carattere, sia per l'educazione che ho ricevuto. Noi siamo una generazione che se tu buttavi via un pezzettino di pane o non volevi mangiare la minestra subito i genitori ti ricordavano i bambini poveri che non hanno il pane. Questo per dire che lo spreco veniva considerato un insulto per i poveri che non potevano permetterselo. Quindi la mia è stata un'educazione in destinazione ostinata e contraria all'indifferenza. Anzi devo dire che soprattutto per mio papà l'indifferenza sociale e umana veniva considerata addirittura un peccato, qualcosa che bisognava confessare. Per mia mamma invece era gravissima l'indifferenza socio politica. In entrambe le situazioni ho avuto un'educazione all'I care: non impegnarsi veniva considerato non degno di far parte della famiglia Villa.

Non mi è mai capitato di essere indifferente. Mi è capitato semmai, e questo è un sentimento pesante di cui bisognerebbe liberarsi, di sentirmi in colpa per essermi sentita indifferente rispetto a una situazione, di non essere riuscita a reagire bene, di essermi impigrita, di aver indossato una finta indifferenza per non avere, più che il coraggio, la voglia di prendere quell'impegno, rispondere a una domanda di aiuto.

Quante volte sappiamo che c'è un'amica che ha bisogno, che dovresti chiamarla e poi pensi: “ma quanto mi terrà al telefono? Mi ripeterà sempre la stesa cosa!” e immediatamente quindi ti dici “magari lo faccio domani”. In questo modo costruiamo giorno dopo giorno una sorta di barriera di indifferenza per non essere travolti dall'altra persona.

Io nella vita i due sentimenti che non ho mai provato sono l'indifferenza e la noia, che tra l'altro sono entrambi due titoli di due romanzi di Alberto Moravia. L'indifferenza di comodo infatti, oltre che portare depressione, produce una noia mortale.

La musica secondo te potrebbe essere un antidoto all'indifferenza? Suonare in gruppo, in orchestra o in un complesso non potrebbe essere una via per uscire dall'indifferenza? Un modo per aprire le finestre e aprirsi verso gli altri?Sicuramente quando si suona assieme è essenziale ascoltare l'altro! Ho sempre cantato nei vari cori e ho scoperto che è impossibile essere indifferenti. Altrimenti salta l'armonia, non si può fare un coro senza ascoltare la voce dell'altro. Il coro e l'orchestra sono dei luoghi secondo me di relazioni, così come di scontri. Essere indifferenti vuol dire anche essere lontano dai rischi, essere lontano dai rischi della stonatura. Allo stesso tempo si è però lontani da se stessi, dalla vita. Ci si chiude nel bozzolo ma non può nascere nessuna farfalla.



Una persona indifferente se ne accorge di esserlo? Cosa possiamo fare concretamente?


Dipende dal modo in cui uno è cresciuto. Se uno è cresciuto in un ambiente molto competitivo dove ogni giorno sente frasi quali: “Pensa a te stesso, degli altri non te ne deve fregare niente, stai attento, non dare confidenza”, chiaramente viene indotto all'indifferenza. Ho letto in un'indagine che una delle frasi più usate all'interno del turpiloquio, è “fatti i cazzi tuoi”. Questo oltre che essere un linguaggio sessista maschile, è l'emblema dell'indifferenza, è l'educazione all'indifferenza. E' un metodo utilizzato perfino dagli adulti nei confronti dei ragazzi. Se cresci in un ambiente dove dalla mattina alla sera i genitori ti dicono “fatti i cazzi tuoi”, alla fine diventi vittima della tua indifferenza e sei anche contento di esserlo, perché hai obbedito a quel comando. Dunque probabilmente non si accorgono: Indifferente io? No io mi faccio i cazzi miei.

Come si spezza l'indifferenza? Nella mia vita lavorativa molto forte che è quella dell'avvocata, ho assistito a drammi e situazioni molto difficili. Magari in anni di indifferenza poi arriva e si affianca il dolore e i sentimenti forti sono quelli che effettivamente possono spezzare l'indifferenza. Se si ascolta per esempio una Liliana Segre che racconta l'esperienza dei campi di concentramento ci sono due cose che si possono fare: o tirare giù la saracinesca e ammalare il cuore e la mente nell'indifferenza, oppure lasciare aperti spiragli di luce nel cuore, nell'anima, nei sentimenti. In questo modo è impossibile rimanere indifferenti. Purtroppo nelle famiglie capita il dolore di perdere una persona cara (in questo periodo poi in cui nella cronaca si vedono molti anche giovani che muoio sia per incidenti sia, ahimè, per violenza) e lì restare indifferenti non è facile. Non è facile rimanere indifferenti quando si vede il dolore da vicino.

Quando a questo punto si riesce ad uscire dal bozzolo, ci vuole qualcuno al proprio fianco. In due ci si guarda e ci si dice: "Caspita, ma cosa stai provando tu? Che cosa provi? Che cosa senti?".

Il secondo antidoto all'indifferenza, oltre che la musica, è il dialogo.

In questa intervista, se tu sei d'accordo, vorrei ricordare una persona a me molto cara, un amico e conoscente che veramente ha vissuto il contrario dell' indifferenza: don Roberto Malgesini. E' stato un sacerdote di Como che è stato ucciso il 15 di settembre scorso da uno dei suoi assistiti. Era un carattere molto schivo, che non si faceva intervistare. Siamo riusciti a fare un video però nel momento in cui sta medicando il piede ad un uomo. La sua vita intera è stata l'incarnazione del contrario dell'indifferenza. Lui una decina di anni fa ha chiesto al suo vescovo di essere esonerato dai ruoli della parrocchia per potersi occupare solo dei poveri, e faceva di tutto. La sua attività principale, la mattina presto, era quella di portare la colazione calda a tutti i senzatetto sia italiani che stranieri, soprattutto quando a Como i dormitori sono chiusi. A Como infatti sono aperti solo d'inverno perché il nostro comune definisce questa accoglienza notturna emergenza freddo. Quando non c'è più il freddo non c'è più questa emergenza e i senza tetto sono in giro per strada. Ad ogni modo, lui tutte le mattine alle 7 caricava la sua macchina e distribuiva le colazioni. Tra l'altro per questo prese anche una multa dal momento che il nostro sindaco a dicembre aveva sancito un'ordinanza che vietava non solo i bivacchi, ma anche l'elemosina e l'aiuto delle persone in difficoltà. Un'icona della non indifferenza è sicuramente Roberto.

Grazie

Beatrice Henschel

Link di approfondimenti sulla figura di don Roberto Malgesini:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1542730362575909&id=100005168794556&sfnsn=scwspwa&extid=LDu5o2cjKIS8wOKT

https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Malgesini

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