22 maggio 2020

Rischio?

L'intervista inedita dello scrittore Francesco Vidotto

"Rischio" tra coraggio, paura e montagna

Che periodo storico strano è questo! Isolati, lontani da tutti e da tutto eppure così a rischio … sotto tanti punti di vista e più ci penso più mi viene in mente una frase letta non ricordo dove: "Ciascuno di noi vuole vivere in sicurezza, ma non appena ci sentiamo protetti si risveglia in noi la gioia del rischio e della sperimentazione.”

Ma che cosa ci spinge a rinunciare alla nostra sicurezza, ad assecondare la nostra curiosità del nuovo e a spingere sempre più in avanti i nostri limiti mettendoci alla prova?

Ad aiutarmi ad affrontare la complessità di questa domanda ho pensato di coinvolgere lo scrittore, conosciuto attraverso la lettura di un suo libro “Oceano”, Francesco Vidotto, classe 1976.

Francesco Vidotto nel bel mezzo della sua vita ha preso il coraggio a due mani e ha rischiato: lasciare un lavoro stabile e remunerativo in ambito aziendale per scrivere storie, non storie immaginarie ma storie di persone sconosciute, degli ultimi e dedicarsi alla montagna e alla sua scoperta. Oggi vive isolato in una casa del Cadore, nelle Dolomiti venete.

Ecco a voi il nostro confronto.


Parliamo di coraggio, in particolare il coraggio di fare delle scelte, di affrontare la realtà con i rischi e le conseguenze che ne derivano, proprio come hanno fatto nel suo libro Oceano e Italia, che hanno deciso di andare al di là dei pregiudizi della gente. Secondo lei vale davvero la pena assumersi tutti i rischi e le conseguenze di remare contro corrente? A cosa serve fare questa fatica se poi non ci si sente accettati, e le persone storcono il naso, proprio come i paesani di Cadore alla notizia del fidanzamento di Oceano e Italia, facendoci sentire diversi, giudicati?

E' giusto che tu abbia coraggio, come tutti i ragazzi. Secondo me, vedi, la cosa più difficile quando si è bambini (ma anche ragazzi e adolescenti) e io te lo posso dire un po' per esperienza, è capire quale sia la propria inclinazione naturale, cioè capire che cosa si vuole fare: chi vuoi diventare e anche chi vuoi amare?

Questa è la cosa più difficile. Capire. Però dal momento in cui si capisce cosa amare, vale sempre la pena tentare di seguirla, e per seguirla ci vuole coraggio naturalmente.

Le decisioni, soprattutto quelle più importanti della vita, richiedono meno di dieci secondi di coraggio: quando si decide di avere un figlio, per esempio, ci vogliono meno di dieci secondi di coraggio. Anche quando si decide di cambiare scuola o lavoro, quando si cambia casa, oppure quando si va a vivere con il proprio ragazzo: ci vogliono solo dieci secondi, non di più.

Ci sono però persone che questi dieci secondi non li vivono, perché hanno paura di fare questo passo, di tuffarsi da uno scoglio altissimo. Ma se tu hai coraggio di buttarti, sotto c'è un mare meraviglioso.

Anche se poi non si è accettati ne vale la pena.

Cosa vuoi fare da grande, Beatrice? Io rispondo “La pediatra”.

Questo è un grande sogno, e va bene. Magari nel tuo percorso di studi ci sono tante materie molto impegnative e alcune materie che tu studi adesso magari non c’entrano niente con quello che vorresti diventare domani... Non importa perché non è che puoi vivere in funzione di un obiettivo lontano, bisogna vivere adesso e provare tutto.

Sai, molta gente dice o pensa: “Ma guarda questo ragazzo: va a scuola solo per perdere tempo”. Ecco, secondo me, uno che non studia e invece fa altro non perde tempo: il tempo è perso quando qualcuno fa una cosa e nel frattempo pensa ad altro. Questo oggi si vede moltissimo con i social: magari tu sei con un tuo amico, ma nel frattempo stai guardando Instagram e sei con la testa da un'altra parte. Alla fine non sei né con il tuo amico e nemmeno con quello che vedi sul social.

Con questo ti voglio dire che vale sempre la pena di avere coraggio di fare delle scelte che siano fedeli a se stesse, perché quella tua scelta é vita e quelle scelte lì profumano di vita. Se invece tu non sceglierai mai, non profumerai mai di vita.


Collegandomi al discorso dei dieci secondi...secondo lei il rischio (come atto quasi istintivo) e la riflessione (che richiede senza dubbio tempo) possono o devono andare a pari passo?

Ma guarda, secondo me c'è il cuore e c'è la testa. Io penso che il cuore sia l'istinto, sia l’energia pura, come se fosse una sfera di lava incandescente. Il cuore, è l'emozione.

Faccio l'esempio della macchina: se tu guiderai mai una Ferrari, in un circuito di formula 1, e proverai a fare tutto il cerchio della pista, non ci riuscirai, perché appena toccherai la serratura della Ferrari, questa si girerà su se stessa, quindi tu non riuscirai mai a guidarla. Questo perché la Ferrari ha un cuore dentro di lei, e quindi, più il motore che la macchina ha è grande, più c'è bisogno di un bravo pilota. Quando le due cose coincidono, quando si riesce a mettere le redini al buon cavallo che si ha, a indirizzarlo, quando si riesce a trovare il giusto equilibrio, ecco che avvengono le grandi cose.

Gli amici che frequenti, gli studi che fai e le chiacchiere che fai, se tu le fai al meglio allora ecco che assumono senso. Se non ci metti il cuore rischi di fare le cose in modo mediocre, come tantissime persone fanno.

Noi dobbiamo fare la differenza in ogni nostra azione. A te è piaciuto Oceano, solo perché io ci ho messo il cuore. Infine ti dico che una persona che scrive deve rimanere sempre adolescente; mentre molti adulti creano attorno a loro una sorta di corazza, si sentono meno forti di com'erano un tempo.


Lo stimolo del rischio oppure la paura stessa di quest'ultimo ha influenzato in qualche modo, nel bene o nel male, le sue scelte?

Certo. La mia più grande paura è stata quella di deludere i miei genitori. Ad esempio io avevo iniziato a fare un altro tipo di scuola e poi di professione: lavoravo in ambito economico, avevo anche un guadagno alto, però avevo dentro di me questa benzina speciale che erano le storie. Ho sempre raccontato storie anche a me stesso primo di tutto. Infatti da questo punto di vista sono anche un gran bugiardo, nel senso che mi sono sempre detto un sacco di bugie. Però appunto, quando ho dovuto scegliere cosa fare, ho sempre avuto paura di deludere i miei genitori. Ma alla fine sono le persone che ti amano di più: vedrai, loro ci saranno sempre.


Ma quindi le altre persone attorno a lei sono state influenzate dalle sue scelte? In che modo?

Certo. Sono state influenzate innanzitutto nei sentimenti, poi naturalmente anche nella vita di tutti i giorni. Devi sapere che le scelte che fai te, non le fai solo te, coinvolgono tutte le persone che ami. Però ho capito una cosa che quando ero ragazzo non avevo compreso del tutto: alle volte con i miei genitori litigavo tantissimo e tendevo sempre a dare la colpa dei miei insuccessi a loro. E quindi me la prendevo con loro per degli obiettivi che io stesso non riuscivo a raggiungere. Era anche comodo perché sapevo dentro di me che i miei genitori non mi avrebbero mai lasciato. Col tempo, invece, ho capito una cosa molto importante. I genitori spesso si incazzano proprio perché ti vogliono bene, sperano per te il meglio. Quando poi ti vedono contento, allora sono più contenti anche loro.


Qual è stato il momento in cui la paura del rischio di cambiare vita si è trasformato in stimolo e senso di libertà?

Questo è successo al liceo. E’ successo in questo modo. Ci ho messo sette anni a fare il liceo. Sono stato bocciato due volte, questo perché avevo un problema di dislessia. Non mi riusciva di studiare e negli anni in cui io ho fatto il liceo non è che ci fossero molte attenzioni come oggi. Ma quando si va male a scuola, tu ti abitui, ti convinci di valere tre e di conseguenza tutto quello che tu fai praticamente ti va a muro. Parti prevenuto. In quinta liceo sono andato una sera ad una conferenza dove c'era un regista che si chiamava Pupi Avati (i tuoi genitori lo conoscono bene) e fatalità mi sono ritrovato ad accompagnarlo in aeroporto. Nel tragitto gli ho raccontato che mi piaceva scrivere e lui mi ha chiesto: “Hai qualcosa da farmi leggere?”. Gli ho portato un piccolo libro. Dopo una settimana lui mi ha telefonato e mi ha detto: “Porco cane, è buono quel libro là! Potresti provare a pubblicarlo.” Stupito, io gli chiesi: “Ma come mai è buono? Come mai se ho tre di italiano?”.

Questo avvenimento mi ha fatto cambiare: ho cominciato a pensare concretamente che potevo farcela! Nella vita serve sempre qualcuno che ti tende la mano.


Parlando di montagna, del rischio consapevole in montagna, del superare i propri limiti, di accettarsi: che rapporto c’è tra l'accettazione di sé e la sperimentazione? Perché si rischia?

Perché si rischia. Perché secondo me uno tenta di assaporare la libertà.

Quando arrampichi puoi trovarti davanti un passaggio più difficile, che non sei sicuro di fare. Sei là e ti chiedi: mi fermo o vado avanti?

E’ allora che punti il cuore al di là del passaggio (io lo faccio): in quel momento ti devi slegare da tutte quante le paure! Tutti noi siamo schiavi delle nostre paure, dalle più banali alle più complicate.

Nell'arrampicata succede che quando ti appresti a fare un passaggio che è un po' al di sopra delle tue possibilità e riesci ad andare al di là delle tue paure, raggiungi il tuo attimo di libertà. Perché la libertà è fatta di attimi, non è una condizione costante. Parlando in generale di montagna, ti dirò che gli incidenti non succedono a chi ha paura delle proprie possibilità. Di solito, chi va oltre le proprie possibilità rimanendo consapevole di quello che sta facendo, è molto bravo, fa le cose che vanno fatte bene e rischia poco. In realtà gli incidenti succedono per le stupidate, per le disattenzioni.

La montagna non è un parco giochi: chi ci va seriamente sa che può succedere sempre qualcosa. Infatti, un aspetto bellissimo che mi piace di chi va in montagna, è che capisce, che la vita può anche finire. Nella società attuale, molto comoda, riscaldata d'inverno e raffreddata d'estate, ti senti immortale, ti senti come se quasi niente ti possa accadere, mentre in realtà la vita è fragile e per questo bellissima. Tutte le cose belle sono fragili. Chi va in montagna si abitua a capire che la vita è fragile.


C’è il confine dopo il quale il rischio si trasforma da costruttivo a distruttivo? Quando e come possiamo riconoscerlo?

Io credo che il rischio diventi distruttivo quando subentra l'incoscienza. Una componente parallela al rischio (e che penso sia molto positiva) è la paura.

Il rischio cammina a braccetto con la paura, si sostengono a vicenda.

Fino a quando c'è la paura il rischio è calcolato.

Quando la paura viene meno e subentra l'incoscienza, allora lì il rischio diventa molto pericoloso, perché la persona è portata a pensare di poter fare qualcosa che in realtà per lui è impossibile.


Quand'è che bisogna prendere le decisioni che comportano il minor rischio? Quando scegliere una strada spianata?

Non lo so. Penso che, probabilmente, la strada più comoda la si può prendere quando l'obiettivo non c'è o per la persona non è molto importante. Lì uno può anche decidere di non correre rischi. Però il rischio serve sempre nella vita, come serve il dolore. Una persona cresce nel dolore, una persona non cresce nella felicità. E' per quello che i nonni sono importanti. Le persone che negli anni hanno sofferto (come Oceano per dire) quando ti fanno una carezza, ti emozioni. Sulla loro pelle c'è la sofferenza degli anni passati.

Il continuo benessere e felicità, l'assenza di emozioni forti, sia positive che negative, annichiliscono la persona.

La strada è sempre rock, la strada pianeggiante non è mai rock.


Ha qualche libro da consigliare?

“Jack Frusciante” è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi: ti piacerà tantissimo. Parla di un ragazzo di Bologna, innamorato di una ragazza, amore platonico, e racconta dell'energia che questo amore riesce a dare.

Poi ti consiglio un altro libro che si intitola: “Due di Due” di Andrea de Carlo. Racconta una storia di due amici nell'arco di trent'anni. Quando io lo lessi al liceo, cambiò completamente la mia vita.


Beatrice Hentschel

beatrice.hentschel.ilcardellino@gmail.com