24 agosto 2020

Il movimento delle piante

“Arrivato dove desiderava, cominciò a piantare la sua asta di ferro in terra. Faceva così un buco nel quale depositava una ghianda, dopo di che turava di nuovo il buco. Piantava querce. Gli domandai se quella terra gli apparteneva. Mi rispose di no. Sapeva di chi era? Non lo sapeva. Supponeva che fosse una terra comunale, o forse proprietà di gente che non se ne curava? Non gli interessava conoscerne i proprietari. Piantò così le cento ghiande con estrema cura.” da L’uomo che piantava gli alberi , di Jean Giono

Le piante. Ci sembra sempre di conoscerle così bene. Sono perfette in quell’angolo di davanzale, a decorare l’ambiente, molte non hanno bisogno di cure particolari e sono sempre lì, sono ferme, immobili. Spesso ci appaiono più come degli organismi non viventi, in apparenza per nulla affini agli animali e infatti le piante seguono un “metodo”, nella loro struttura, nella loro crescita, nel loro modo di nutrirsi, nel modo in cui si riproducono - in sostanza nel loro modo di vivere - del tutto diverso dagli altri organismi viventi. Il loro principio base naturalmente è lo stesso, la cellula (con alcuni organuli cellulari diversi, tra cui i cloroplasti responsabili della fotosintesi e la parete cellulare propria solo dei vegetali), ma le piante a differenza degli animali non si possono spostare (sono dette sessili), sono radicate al luogo in cui nascono e per questo hanno dovuto elaborare modi nuovi per sopravvivere che non hanno nulla a che fare con i nostri. E uno di questi riguarda il modo di essere costruite. Vediamo, le piante non possiedono organi, non hanno uno stomaco, dei polmoni, un cuore, non hanno strutture “specializzate” che compiono un determinato compito, ma ogni parte della pianta è in grado di svolgere tutte le funzioni necessarie alla sopravvivenza, distribuite in tutto l’organismo allo stesso modo (questo tipo di distribuzione è detto modulare). Ciò significa che anche subendo danni importanti, che per un animale sarebbero fatali, la sua organizzazione le consente comunque di sopravvivere. Pensiamo all’età, nessun animale possiede il potere delle piante (alberi in particolare) di vivere per secoli e per millenni, come si è osservato nei conosciuti Pinus longaeva. Molti esemplari viventi hanno 4000 anni e alcuni, tra cui il pino Matusalemme in California, ne hanno circa 5000. Tra tutti gli adattamenti che permettono a questi alberi di vivere così a lungo uno in particolare ha consentito la sopravvivenza di un abete rosso che si trova in Svezia, Old Tjkko, di circa 9560 anni, che durante la sua vita ha rigenerato il tronco mantenendo intatto l’apparato radicale. Eppure spesso consideriamo la pianta un organismo non intelligente, ”senza cervello”, incapace di percepire ed elaborare, muoversi, rispondere adeguatamente a stimoli diversi e imparare dall’ambiente esterno. Facendo attenzione noteremmo invece che le piante percepiscono nel dettaglio ciò che le circonda, la luce, ma anche gli elementi che formano l’atmosfera, la sua temperatura, l’umidità, la variabilità del clima e tutte le caratteristiche dell’ambiente in cui sono costrette a crescere, i composti chimici che si trovano nel terreno e anche gli altri organismi, piante comprese, che lo abitano. E, come si è accennato, in risposta a questi stimoli cambiano e adottano metodi più complessi di quelli utilizzati dagli animali - che invece possono rispondere con il movimento - richiedenti molto più tempo, ma decisamente più efficaci. Ora, il movimento delle piante non dipende, come possiamo immaginare, da muscoli che si flettono. E’ determinato (movimento attivo) da un flusso di acqua che entra nella cellula tramite la membrana (grazie ad una regolazione controllata dalla pianta) e aumenta la pressione esercitata verso la sua parete cellulare, causando rigidità in una sua parte, che quindi si muove (ad esempio durante l’apertura del fiore). Altre volte (movimento passivo) la pianta percepisce e utilizza l’energia generata dal cambiamento di umidità dell’ambiente esterno, ad esempio per aprire una fessura nel terreno (come fa l’Erodium cicutarium) o per dilatare le squame della pigna quando le condizioni sono favorevoli (nel caso della pigna la condizione favorevole è quella in cui l’umidità è bassa, non piove e per questo la probabilità che il seme cada più lontano è maggiore). Ma il motivo che fa sì, più di tutti gli altri, che le piante si muovano (gli stimoli in questo caso sono chiamati tropismi e nastie) è provare a ricevere più luce possibile per effettuare la fotosintesi e, infatti, è facile notare che esse tendono sempre a muoversi dalle zone d’ombra crescendo in direzione della luce (il movimento è detto in tal caso fototropismo, ed è consentito grazie a molecole fotosensibili poste sulle foglie), talvolta orientandosi gradualmente verso il Sole mentre questo si sposta (fenomeno tipico del girasole, l’Helianthus annuus, che di giorno ruota da est a ovest e di notte ritorna alla posizione iniziale). La disposizione stessa della struttura delle piante si è evoluta in base alla luce. Qualsiasi pianta presenta una particolare disposizione delle foglie (detta fillotassi), quella che permette la miglior esposizione ai raggi solari, facendo in modo che nessuna foglia sottragga luce ad un’altra. Alcune piante chiudono le proprie foglie durante la notte (movimento detto nictinastia, usato per esempio dall’acacia Albizia julibrissin), altre reagiscono al contatto (tigmotropismo) con qualcosa o qualcuno per attaccarvisi (come fanno i rampicanti) o per proteggersi (come la nota Mimosa pudica, che chiude molto rapidamente le foglie, riaprendole, se lo stimolo si interrompe, solo 15-20 minuti dopo). Nelle piante ciò che colpisce di più la nostra attenzione sono i fiori e le foglie, il loro aspetto dalle forme e dai colori più vari, i profumi intensi, ma la parte che non possiamo vedere, la più importante, la ignoriamo totalmente: l’apparato radicale è una parte incredibilmente sviluppata di cui si sa ancora poco, dato che è studiabile, per ora, solo dissotterrandola, quindi impedendo l’osservazione dell’esplorazione del suolo da parte di centinaia di milioni di radici (apici radicali). Queste danno stabilità, fungono da riserva e si muovono nel terreno assorbendo acqua e sostanze minerali e acquisendo dati fondamentali per lo sviluppo della pianta, grazie alla sensibilità molto acuta degli apici radicali, capaci di captare segnali anche molto deboli provenienti dall’ambiente e soprattutto in grado di distinguerli, che siano sostanze nutritive, predatori o composti dannosi. Esplorando i terreni vicini e non, finiscono per interagire con le radici degli altri vegetali, dando vita ad apparati sotterranei molto estesi che agiscono come un solo organismo, instaurando rapporti di simbiosi e scambio (non solo tra piante, ad esempio nel caso delle micorrize). Riguardo agli altri organismi che le circondano infatti, le piante non si limitano a riconoscerne l’identità, ma si trasformano in base e insieme ad essi. Vediamo ad esempio il rapporto esistente tra un’orchidea, l’Angraecum sesquipedale e una falena, la Xanthopan morganii praedicta . Questa orchidea presenta una particolarità rispetto alle altre, un nettario di circa 25-30 cm, in cui viene prodotto e conservato il nettare che gli insetti assorbono. Apparentemente sembra inverosimile l’esistenza di un organismo in grado di raggiungere il nettare situato all’estremità del nettario, ma al contrario, la falena di cui si diceva sopra è capace di raggiungerne il fondo grazie ad un apparato boccale di circa 30 cm. Questi due esseri viventi si sono quindi evoluti assieme finendo per dipendere l’uno dall’altro [Nota: l’ipotesi che esistesse un particolare insetto con questa caratteristica fu proposta da Charles Darwin, quarant’anni prima della scoperta della falena]. Le relazioni con gli altri animali sono molto numerose, il rapporto esistente con questi è essenziale per la riproduzione delle piante, in particolare nel momento della dispersione dei semi e nell’impollinazione. Infatti la maggior parte dei vegetali affida questi compiti agli altri organismi, non solo insetti, ma anche imenotteri, gasteropodi e pure uccelli, piccoli rettili,…che si sono rivelati molto più abili rispetto all’azione del vento o dell’acqua, a cui si affidano solo piante che producono moltissimi pollini (data la loro bassa probabilità di incontrare il fiore della sua stessa specie) e che possiedono fiori né profumati né colorati e sprovvisti di nettare (questo sistema è utilizzato ad esempio dall’olivo, dal platano, dalla quercia, dal salice). Per assicurarsi l’impollinazione da parte degli animali spesso le piante sanno inscenare imitazioni (ad esempio quella delle orchidee del genere Ophrys, che attirano i maschi di una specifica specie di imenotteri imitando forma e colore della femmina) e processi intricati. Oltre all’imitazione e all’attrazione mediante i colori vistosi dei fiori, le piante si servono di sostanze chimiche per indurre un certo tipo di comportamento in altri animali, come la linfa (che rappresenta un giusto compenso per l’animale che disperde il polline) e il profumo dei fiori (ad esempio la Ceropegia sandersonii si dimostra veramente intelligente nel rapporto con alcune specie di mosche, che attira simulando molecole prodotte da un’ape in pericolo). Ma alcune non si limitano a questo: ci sono specie vegetali in grado di produrre una particolare linfa che, oltre a contenere sostanze nutritive zuccherine, contiene composti in grado di agire sul sistema nervoso (come alcuni alcaloidi quali nicotina e caffeina) e creare dipendenza nell’animale (è il caso di alcune formiche). Ciò che più sorprende è la capacità di queste piante (ad esempio il fiore del caffè) di regolare la concentrazione dei composti che creano dipendenza in base a quanto l’animale si è rivelato vantaggioso, in modo da mantenere vicino un essere utile e liberarsi dei meno attivi.

Le piante. Quanto fondamentali siano per la Terra e quanto profondamente dipendiamo da loro sono concetti che spesso passano inosservati. Certamente conosciamo la fotosintesi, sappiamo che i vegetali rimuovono l’anidride carbonica, prima responsabile del riscaldamento dell’atmosfera terrestre, e rilasciano al suo posto quell’ossigeno che permette agli animali di respirare e di vivere. Con l’anidride carbonica che assorbono formano zucchero e sostanze nutritive, utilizzate dagli altri viventi come energia per far funzionare il corpo e mantenersi in vita. Inoltre purificano l’acqua che assorbono con le loro radici dal terreno e la reintroducono nell’aria (tramite gli stomi, dal greco stoma che significa bocca, sono minuscole aperture che tempestano in particolare le foglie) in forma di vapore acqueo. Gran parte dei principi attivi contenuti nei farmaci provengono dalle piante, così come le fibre che utilizziamo per alcuni tessuti e diversi materiali, primo tra tutti il legno. Anche il loro ruolo terapeutico non è trascurabile, infatti è dimostrato che la presenza di piante in una stanza (negli ultimi anni sono stati aperti numerosi centri di ortoterapia), influenza positivamente umore e attenzione delle persone. Rispetto a noi, rispetto agli animali, le piante vengono considerate molto meno nel loro essere immobili e il significato che diamo a “vegetale” rispecchia ciò che spontaneamente associamo... ma dimentichiamo che la maggior parte degli organismi viventi è costituita proprio da piante, non per altro ci riferiamo alla Terra anche come al “pianeta verde”. Possiamo anche girarci attorno, ma la fotosintesi delle piante è proprio ciò che permette la vita. Esse influenzano il nostro modo di vivere come nessun’altra entità è in grado di fare e la loro presenza è condizione senza la quale gli animali non si sarebbero mai potuti sviluppare e senza la quale non potranno mai sopravvivere.

“Le querce del 1910 avevano adesso dieci anni ed erano più alte di me e di lui. Lo spettacolo era impressionante. Ero letteralmente ammutolito e, poiché non parlava, passammo l’intera giornata a passeggiare in silenzio per la sua foresta. Misurava, in tre tronconi, undici chilometri nella sua lunghezza massima. Se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall’anima di quell’uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione.” da L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono


Ilaria Berlanda



Fonti:

Stefano Mancuso, Botanica, ed. Aboca

Stefano Mancuso, Plant Revolution, ed. Giunti

Jonathan Drori, Il giro del mondo in 80 alberi, ed. L’Ippocampo

Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi, ed. Salani


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