24 aprile 2020

Dubito?


L’incertezza è più utile di un errore? Di fatto quando qualcosa si rivela essere un errore è semplice, diciamo, capire qual è la via migliore, mentre qualcosa di cui si è incerti, su cui si ha un dubbio, non ha nell’immediato una risoluzione, una svolta. E’ facile nella vita di tutti i giorni avere dei dubbi, alcuni riguardano fatti piccoli e quotidiani e il dubbio si risolve in fretta, altri comportano questioni più “pesanti” e avrebbero bisogno di tempo per essere analizzati, pensati e ripensati…e poi ce ne sono altri ancora, magari minuscoli dettagli, che se risolti di fatto non sarebbero utili concretamente, ma solo per il fatto di non poter essere risolti si appiccicano lì sulla fronte e alla fine ci si abitua semplicemente ad averli con sé.

Come qualcuno avrà sentito e forse studiato “il dubbio” non è stato discusso e indagato, nel corso del tempo, solo come indecisione puramente soggettiva, ma come atteggiamento, come metodo, per conoscere la realtà, o diversamente come motivo per non conoscerla affatto. E in particolare su questo argomento ci fu una corrente filosofica, che pose il dubbio, il dubitare, come punto di inizio, ma anche come “punto finale”, lo scetticismo. Nell’uso comune lo scettico è colui che si mostra in disaccordo su tutto, che non crede in nulla e spesso si considera lo scetticismo come una corrente che nega l’esistenza della verità. In realtà questo indirizzo di pensiero non nega la sua esistenza, ma la capacità, la possibilità di giungere ad una verità certa, indubitabile e quindi pone il dubitare di ogni cosa come necessità, senza alcuna eccezione. Lo scetticismo nacque e si sviluppò nel mondo antico- mi concentrerò su questo periodo -e inizialmente sembrò proporsi come scopo il mettere in dubbio qualsiasi dottrina filosofica per giungere così ad una tranquillità interiore, alla liberazione dalle paure e quindi alla felicità. Il primo e il principale esponente a formulare lo scetticismo come dottrina scolastica fu Pirrone di Elide (seconda metà del IV secolo e inizio del III secolo a.C.), che, come quasi tutti gli scettici, non lasciò scritti (ciò che sappiamo di lui ci è pervenuto tramite il discepolo Timone e lo storico Diogene Laerzio). Pirrone organizzò le varie teorie relative allo scetticismo. Con lui sono stati formulati i punti principali di questa dottrina, per la quale non è possibile dire di conoscere in modo certo la natura delle cose; queste sono tali (“buone”, “cattive”, “belle”, “brutte”,…) solo per convezione, per abitudine, e quindi, essendo tutte di natura incerta, davanti ad esse non si può fare altro che rimanere indifferenti e senza opinioni (giungendo all’afasia, ovvero “mancanza di parola”), sospendere qualsiasi giudizio (atteggiamento successivamente definito dallo scettico Arcesilao epoché) e mostrarsi imperturbabili (atarassia). Pirrone e gli scettici non credevano nell’esistenza di motivazioni valide per preferire alcuni comportamenti rispetto ad altri; ciò significava conformarsi alle abitudini del luogo in cui vivevano, ad esempio seguire i rituali religiosi (alcuni scettici furono anche sacerdoti). Dato il loro atteggiamento indifferente a tutto, ai loro occhi tale comportamento non poteva dirsi sbagliato, in quanto semplicemente adeguato al senso comune. Si può immaginare che la dottrina scettica fu scelta da molti (non strettamente filosofi) per la sua capacità di diventare facilmente consolazione, quasi alibi, per chi non voleva impegnarsi nella ricerca della verità, trovando allo stesso tempo una giustificazione a non porsi domande. Il dubitare di tutto comporta il rifiuto di qualsiasi dogma, ma così facendo il dubbio stesso diventa dogma e si finisce per negare anche l’affermazione che è impossibile conoscere la verità. Infatti, dopo Pirrone e i suoi discepoli, la filosofia scettica venne ripresa da alcuni filosofi dell’Accademia platonica, in particolare Arcesilao (fine del IV, inizio del III secolo a.C.), il quale arrivò a sostenere che non si può nemmeno affermare di sapere di non sapere. In seguito Carneade e Clitomaco (II sec a.C.) proposero una dottrina più costruttiva, secondo la quale, pur non potendo avere certezze assolute, alcune ipotesi hanno più probabilità di essere vere e quindi il modo più ragionevole di porsi è quello di affidarsi ad esse. In seguitoci furono altri filosofi che si ispirarono allo scetticismo, tra cui Enesidemo, che rigettò le teorie sulla probabilità di Carneade e Sesto Empirico(II-III sec d.C.) unico scettico dell’antichità di cui ci restano opere scritte. Per spiegare, in sintesi, la filosofia del dubbio, abbiamo preso in considerazione solo filosofi del mondo antico-e nemmeno tutti-ma le teorie dello scetticismo vennero riprese, in più momenti del dibattito filosofico e con importanti sviluppi, da diversi pensatori, tra i quali Sant’Agostino, Cartesio, Hume, Husserl e altri che ora non arriviamo proprio a trattare.

Oggi, comunemente, il dubbio è identificato come qualcosa di negativo, di cui diffidare perché capace di portare solo altri dubbi e insicurezza. E in effetti spesso blocca, rende inermi, incapaci di andare avanti e di trovare una via d’uscita. Troppo spesso veniamo assaliti dai dubbi, che accrescendosi l’un l’altro non ci fanno vedere nient’altro e più si vaga, più è facile perdersi. Ma altre volte però l’incertezza può diventare verifica e forse sarebbe opportuno, nonostante il timore che si sciolga qualche certezza, tentare di utilizzare il dubbio come prova di opinioni, fatti e pregiudizi, per smascherare finzioni o per rivedere le proprie prospettive, mantenendo sempre accanto un ragionevole dubbio e cercando di non cadere in un circolo senza uscita.

“Credere è molto noioso. Dubitare è profondamente avvincente. Essere sul chi va là è vivere. Farsi cullare nella certezza è morire.” Oscar Wilde


Ilaria Berlanda

Fonti:

Enciclopedia Garzanti di filosofia, Garzanti Editore, 1995

Bertrand Russel, Storia della filosofia occidentale, edizioni TEA, 2004

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