30 ottobre 2020

Cos'è il cohousing

Mi sono imbattuto nel tema del cohousing per caso, grazie ad un podcast consigliatomi, "Actually", il quale inserisce questo argomento già nella prima puntata. Con questo articolo spero di incuriosirvi al punto di andare ad ascoltarlo per intero (lo si trova su Spotify). Non mi limiterò certo ad una sbobinatura, ma tanti dati ed elementi verranno ripresi proprio da questa fonte, oltre che dal sito http://www.cohousing.it/ e l'immancabile Wikipedia.

Cos'è dunque il cohousing? Per cohousing si intende un modello abitativo collaborativo basato sulla condivisione di zone comuni all'interno delle abitazioni private. Ovviamente non c'è una regola che stabilisce quali debbano essere tali zone e in che misura, e in realtà il cohousing non si limita solamente a questo: lo si potrebbe intendere come la "filosofia di vita", l'etica che attraverso la condivisione viene a concretizzarsi. Tanto per farci un'idea gli ambienti comuni possono essere la cucina, la lavanderia, la cantina, il giardino, la biblioteca, il soggiorno...

Wikipedia vi dirà che il fenomeno è nato in Danimarca negli anni Sessanta per diffondersi poi in Nord-Europa, America e Australia. Dire diffusione è forse un po' troppo, se si pensa che in un paese come l'Inghilterra esistono sì e no una decina di comunità, e in Italia appena un paio; ma i seicento casi ora presenti nel Paese di origine ci diffidano dal considerare queste esperienze semplici esperimenti. In realtà Andrea Colombo, ospite del podcast sopracitato, sottolinea come questo modello abitativo fosse quello più diffuso, anche se in forma diversa, nelle società contadine dell'epoca preindustriale, dove le comunità erano basate su stretti rapporti interpersonali per soddisfare i bisogni individuali. È proprio l'idea di "villaggio urbano" che anima la filosofia del cohousing, vediamone ora gli aspetti fondamentali.

Il cohousing sfrutta la forza economica del gruppo per raggiungere un tenore di vita ormai troppo costoso per il singolo, o (cosa a mio giudizio molto più significativa) non ecosostenibile. È ben noto che trovare casa sta diventando sempre più difficile, figurarsi la villa di lusso che tutti abbiamo sognato da ragazzi fantasticando sulla casa dei nostri sogni. Unendo le proprie risorse è tuttavia possibile avvicinarsi di più a quelli che sono i nostri ideali. L'aspetto più importante è tuttavia quello della condivisione, lo sviluppo di solidi legami al di fuori del proprio nucleo familiare, ai quali seguono necessariamente grandi benefici psicologici. Proviamo a fare un quadro della situazione con qualche dato. Uno studio del Politecnico di Milano ha preso in esame un campione di abitanti della stessa città, dei quali il 90% denuncia la perdita delle dimensioni di quartiere nelle aree urbane; un 40% (nel quale io mi identifico) non conosce nemmeno il proprio vicino, nonostante il 70% di questo abbia espresso il desiderio di volerlo conoscere; il 25% soffre di solitudine sociale. È da segnalare inoltre che l'Italia è il primo paese in Europa per quanto riguarda il senso di solitudine e abbandono. Certamente sarebbe interessante rivedere le percentuali in seguito agli avvenimenti degli ultimi mesi... Il cohousing si propone dunque di gettare il focus dell'industria immobiliare sull'individuo e il suo benessere, creando strutture che di per sé stimolino l'incontro e la collaborazione. Se è vero che "la società è il riflesso dell'edificato", questo modello abitativo può senz'altro rappresentare degli enormi vantaggi rispetto ai modelli mononucleari tradizionali.

La community italiana di cohousing.it evidenzia tre capisaldi della componente etica che è alla base del fenomeno: sostenibilità ambientale, sostenibilità sociale e sostenibilità economica (proprio in questo ordine). Viene sottolineato inoltre come questa filosofia stia sempre più diventando una necessità, più che un'alternativa. Potremmo dilungarci a lungo sulle mille declinazioni della parola "condivisione": dalla condivisione dei mezzi di trasporto (auto, moto, bici...) a quella dei servizi energetici (pannelli solari, fotovoltaici...), o degli elettrodomestici (computer, televisori...) e di qualunque altra cosa che le persone saranno in grado di condividere anziché custodire gelosamente con l'etichetta "proprietà privata" (tema che non ho il coraggio di affrontare).

Spero di avervi almeno incuriosito e vi invito a riflettere sul tema della condivisione, visti i grandi cambiamenti che la nostra società sta vivendo (a scanso di equivoci, non mi sto riferendo al Covid-19) e alle misure che saremo costretti ad adottare. Sempre ammesso che il concetto di "sostenibilità" stia davvero a cuore alle persone, e non solo quando ci si trova a scrivere belle parole rivolte ad altri.


Daniele Grott

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Il titolo di questo articolo meriterebbe certo più di una pagina per esser approfondito a dovere. Le riflessioni che seguono sono nate frequentando i corsi accademici di Estetica, Etnomusicologia, Pedagogia e Storia/Storiografia della Musica, nonché da ostacoli contro i quali un compositore non può fare a meno di scontrarsi.

daniele.grott.ilcardellino@gmail.com