28 luglio 2020

La libertà di comporre


Il titolo di questo articolo meriterebbe certo più di una pagina per esser approfondito a dovere. Le riflessioni che seguono sono nate frequentando i corsi accademici di Estetica, Etnomusicologia, Pedagogia e Storia/Storiografia della Musica, nonché da ostacoli contro i quali un compositore non può fare a meno di scontrarsi. Chiediamo inoltre perdono ai lettori per la mancanza di un vero e proprio filo conduttore, abbiamo preferito tenere questi pensieri così come sono arrivati.

Se avete mai discusso sull'estetica musicale con qualcuno di opinione diversa dalla vostra, vi sarete sicuramente resi conto che arrivare a un compromesso è assai arduo. Per secoli si sono protratte querelle estetiche dove i vincitori hanno conosciuto brevi trionfi, prima di esser a loro volta sopraffatti dal mutamento del gusto. I fattori che stabiliscono i canoni estetici sono troppi per poterli considerare assoluti, dipendono da variabili quali (solo per citarne alcune) periodo storico, località geografica, cultura, religione, mezzi a disposizione, bioma, intonazione della lingua... Si potrebbe quindi pensare che esistano delle regole estetiche da poter localizzare in tempi e spazi circoscritti. In realtà anche questo è un errore, e non solo al giorno d'oggi dove la parola d'ordine è globalizzazione, ma anche secoli addietro. Vi divertireste a vedere con quanta grinta i musicisti europei rivendicavano il primato musicale dello stile del proprio Paese, ma con un po' di attenzione vi accorgereste anche che, ad esempio, lo stile italiano non è una prerogativa dei compositori della Penisola Italica, quanto piuttosto una competenza necessaria a tutti i compositori europei. Pensiamo ad esempio al grande maestro dell'opera italiana, G. F. Haendel, di origine tedesca e “naturalizzato” inglese.

Possiamo quindi arrivare ora al nocciolo del discorso, al grande musicista al quale la pubblicazione odierna vuole rendere omaggio. Il grande Johann Sebastian Bach. Vediamo come i fattori che abbiamo precedentemente accennato (precisiamo ancora che sono solo alcuni degli elementi che agiscono dall'esterno sulla musica) abbiano influenzato il suo operato. Già l'epiteto grande merita qualche precisazione. È infatti noto che la fama del maestro debba la sua fortuna alla sua riscoperta nell'800, dopo quasi ottanta anni dalla morte. È altrettanto noto che in vita egli fosse portatore di un gusto estetico del passato, ormai superato. Com'è possibile allora che egli appaia ancora moderno al nostro orecchio? Se Mendelssohn non avesse eseguito la Passione secondo Matteo nel 1829, quanto sarebbe stata diversa la vita dei musicisti fino a oggi? Potremmo domandarci allora quanti altri compositori attendano ancora di essere riscoperti, e quanti altri cadranno invece nel dimenticatoio. Non possiamo dunque non renderci conto che un compositore è grande quando gli altri lo definiscono tale.

Due città possono in ugual modo incidere sulla fortuna di un artista. Ogni luogo ha una storia e una cultura diversa, dunque anche esigenze musicali. Una città può essere aperta alle innovazioni, o al contrario restia al trasgredire le proprie abitudini. Al giorno d'oggi esiste un forte dibattito sull'approccio del compositore ai propri lavori e sullo spazio da riservare alle esigenze esterne; v'è chi si omologa al gusto dei concittadini e chi tenta in tutti i modi di svincolarsi da ogni forma di condizionamento, arrivando talvolta a negare persino la propria veste di compositore. Non è certo la prospettiva di chi con il proprio lavoro deve portarsi il pane in tavola, e deve quindi sottostare al gusto altrui (motivo per cui i compositori che rivendicano l'assoluta purezza della musica sono solitamente molto magri, o fanno altro nella vita). Non staremo qui a fornire la biografia del maestro, ci limiteremo a ricordare che anche Bach, come tutti, ha dovuto modellare il proprio operato in base alle richieste dei committenti.

Cultura e religione sono anch'esse determinate da una posizione geografica. La religione, quella cristiana in particolare, è stata sempre molto attenta al “problema” della musica, e ha dato non poche indicazioni ai compositori su come indirizzare il proprio lavoro. Nel V secolo S. Agostino ammetteva la musica solo come strumento di preghiera, dunque strettamente legata ad un testo; durante il Concilio di Trento i compositori vennero invitati a far trasparire le parole, per creare ordine in un miscuglio fittissimo di linee melodiche; Lutero apprezzava la musica nella liturgia; Calvino no; e si potrebbe andare avanti ancora a lungo. Per un Bach al servizio di una corte piuttosto che una cappella, la cosa può avere implicazioni di non poco conto sulle sue produzioni. È infatti noto che la produzione del maestro è strettamente legata a fasi della sua vita coincidenti con i periodi vissuti in diverse città tedesche.

Spesso i pianisti si domandano (i miei illustri colleghi di questa pubblicazione possono confermarlo) “ma se Bach avesse avuto il pianoforte, cosa avrebbe fatto?”. La verità è che Bach lo conobbe il pianoforte, ma non ne rimase soddisfatto per delle lacune meccaniche. In secondo luogo molti dei suoi lavori riportano solamente la dicitura “tastiera”, sicché non sarebbe teoricamente sbagliato eseguire l'arte della fuga con uno xilofono. Al di là di questo particolare, gli strumenti a disposizione la dicono lunga su cosa, un compositore può o non può scrivere. In uno scritto del 1730, Johann Sebastian si lamentava con il Consiglio di Reggenza di Lipsia dalla scarsissima qualità dei musicisti a disposizione. Tempo prima, al contrario, aveva avuto a disposizione un'ottima orchestra, per la quale nacquero composizioni che ancora oggi terrorizzano i poveri musicisti che si trovano a eseguirle. Gli strumenti a disposizione per un compositore portano con sé inoltre un bagaglio di letteratura che difficilmente viene ignorato. Anche i meno esperti infatti potrebbero notare che una melodia possa essere più adatta all'agilità di un violino piuttosto che alla pomposità di un trombone. Anche questo aspetto, in fondo, è una forma di condizionamento per il compositore. Immaginate di comporre con strumenti assolutamente nuovi, con suoni mai sentiti prima, mai utilizzati, sicché qualunque uso che se ne faccia sarebbe il primo, e dunque giusto. Quale meraviglia!

Condizionamenti ce ne sarebbero ancora molti da prendere in esame, abbiamo accennato all'intonazione della lingua parlata, che influisce in primo luogo sulle composizioni vocali e di conseguenza su quelle strumentali. Al tempo di Bach i cantanti italiani avevano un'estensione diversa dei cantanti francesi, solo per fare un esempio. Abbiamo nominato il bioma come elemento discriminante, basti pensare alle imitazioni dei suoni di natura che, particolarmente nel barocco, erano una prerogativa musicale. Sebbene Bach fosse stato criticato proprio su questo punto, per aver riservato troppa poca importanza all'imitazione della natura, non si può negare che alcune tecniche utilizzate debbano intendersi come metafore-onomatopee musicali che esplicano il significato di talune opere.

Le composizioni, anche quelle cosiddette “pure”, possono realmente definirsi tali? E un'estetica che si modella in base a oggetti che sfuggono dal controllo stesso del compositore, quanto può durare? In conclusione, ci stuferemo mai del nostro caro Bach?


Hans K. M. Rott



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