UN VIAGGIO NEL MONDO DI EURIPIDE ATTRAVERSO L'ECUBA

Un'opera d'arte da togliere il fiato.

Le classi dell'indirizzo classico del nostro istituto sono state coinvolte in un progetto “Pàthei màthos” ovvero "saggezza attraverso la sofferenza”, riprendendo la famosa formula espressa nell'Agamennone di Eschilo, quando il coro intona il famoso inno a Zeus. Il progetto, ideato e coordinato dal prof. di filosofia Luigi Capitano, ha visto la partecipazione degli studenti a due incontri, presso l'Aula Magna del plesso centrale, con la rilevante partecipazione dei professori Giuseppe Silvio e Gianni Ghiselli che hanno validamente introdotto al tema, illuminando le diverse sfumature della tragedia di Euripide (e in particolare dell'Ecuba), rispondendo ai diversi quesiti posti dagli alunni. Il momento clou di tale percorso ha visto la messa in scena di una riduzione teatrale dell'Ecuba, nella versione, fedele all'originale, a cura di Angelo Tonelli, poeta, autore e regista teatrale, tra i massimi grecisti viventi e del Teatro iniziatico Arthena di Lerici. Presso il Teatro Andromeda dell’artista Lorenzo Reina, un vero e proprio locus amoenus, scenario assolutamente suggestivo e perfetto per una rappresentazione di così elevato calibro, ci siamo pienamente immersi nelle acque di una tragedia fosca ma assolutamente moderna. Ecuba, dopo aver perduto in guerra, i figli, il marito, il re di Troia Priamo, la patria e la libertà, si vede strappare dalle braccia anche la figlia Polissena, reclamata in offerta votiva dall'ombra del defunto Achille. La sorte però non finisce di accanirsi sull'infelice regina: nello stesso giorno le schiave troiane trovano sulla spiaggia il cadavere di Polidoro, un figlio che Priamo aveva mandato in Tracia, presso il re Polimestore, per salvarlo dall'assedio di Troia, ma che era caduto ucciso per mano dell'ospitante traditore, desideroso di impadronirsi delle ricchezze del giovane. Nella sua disperazione, Ecuba trova un ultimo slancio di furente energia per vendicare Polidoro: ottiene da Agamennone di far venire da lei, nella sua tenda all'interno dell'accampamento greco, Polimestore con i suoi figli e si vendica atrocemente, con l'aiuto delle Troiane, uccidendo i figli e accecando il re traditore. Così Agamennone diventa giudice e, a seguito della confessione del re tracio Agamennone, essendo stata violata l'ospitalità sacra agli dei, non può che condannarlo. Polimestore è però un barbaro: l'ospitalità per lui non ha alcun valore. La tragedia termina con la profezia del re di Tracia (impersonato da Tonelli): Ecuba sarà trasformata in una terribile cagna e una fine funesta non risparmierà nemmeno il destino degli Atridi (Cassandra e Agamennone). Il canto, in trimetro giambico di Paola Polito, la classicità, il pàthos hanno trasferito noi studenti nel passato e all'interno del dramma stesso. Andando oltre il tema, per così dire, superficiale della vendetta che muove l'intera azione di Ecuba, donna infelice, strappata per sempre ai frutti del proprio grembo, domina il tema della giustizia negata e della libertà, rappresentata in pieno da Polissena. La giovane principessa preferisce morire piuttosto che vivere da schiava. La morte è vista come libertà, come unica possibilità per liberasi dalle catene della schiavitù, di una vita di disperazione e sofferenza: Polissena ha vissuto da principessa libera e morirà tale. La crudeltà che contraddistingue l'intero dramma rappresenta anche una denuncia della guerra con le sue vittime innocenti, degli uomini vittime delle loro convinzioni scadute a convenzioni, spinti ad azioni disastrose dai fantasmi del passato: “Nessuno, è libero, tra i mortali:/ ognuno è schiavo del denaro o del caso,/ o la moltitudine dei cittadini o le leggi scritte/ gli vietano di agire secondo i suoi convincimenti”. Tutto il passato viene messo in discussione da questa tragedia ”moderna”: non esiste più legge umana né divina, entrambe comunque contestate (Pohlenz). Le ombre della nostra anima vengono fugate: questa la lettura proposta dallo stesso Tonelli nel finale. Euripide decretava così la morte della tragedia arcaica e dei suoi dèi. Per la sua aperta critica delle costrizioni sociali, la tragedia di Euripide può essere in qualche modo accostata al teatro di Luigi Pirandello, il quale, a proposito delle rappresentazioni di Siracusa, avvertiva: “io le renderei ancora più arcaiche di quello che sono, come ravvolgendole nell’aureola nebulosa del mito originario, e credo che ciò le avvicinerebbe maggiormente alla sensibilità moderna”.

Chiara Piesco

IIIA Classico