Fissare l’arcipelago, Progetto di ricerca 

“Da qualche parte nei quaderni di Gideon, ho trovato una lista di malattie all’epoca non classificate dalla medicina, fra le quali l’isolomania, descritta come un morbo raro, ma tutt’altro che sconosciuto. Riguarda gente, diceva Gideon a guisa di spiegazione, per cui le isole sono in qualche modo irresistibili. Noi isolomani siamo i discendenti diretti di Atlante, ed è l’Atlantide perduta ad attirare il nostro inconscio. Perciò troviamo le isole irresistibili”¹ Lawrence Durrell


In occasione dell’esposizione del team di ricerca « Contrat Social » all’ISBA di Besançon nel febbraio 2019, abbiamo deciso di mostrare l’opera <FISSARE> , creata da Richard Baquié nel 1994. Al momento dell’installazione, essa si é rivelata cruciale e centrale nella sua posizione davanti alla porta d’ingresso della galleria. L’opera rinviava all’altrove, al fatto di fissare l’orizzonte, al partire, all’andare alla deriva per ritrovare, come nuovi Ulisse, Itaca. Ci ha permesso di fissare l’immagine nella nostra memoria sulla carta. Da Marsiglia, quest’opera fissava l’orizzonte, ma la visione del mare era ostruita da un corpo frammezzo: le isole del Frioul…L’arcipelago che ci attende.

 

“Non c’è dubbio che in Europa, Africa, Caraibi, ed altri luoghi, l’arcipelago, ogni arcipelago, e tutte le isole di tutti gli arcipelaghi, rappresentano oggi una delle espressioni principali di un progetto identitario che, a fronte delle velleità riduttrici di certi regimi politici, propone come modello la scala planetaria e l’indefinitamente plurale. La metafora va più lontano. L’arcipelago trascina più lontano l’immaginazione. Come lo spirito, soffia dove vuole”.² Bertrand Westphal


Il termine “arcipelago” viene dal greco-bizantino (archipelagos), che significa “mare principale”, in riferimento all’Egeo, mentre “Mediterraneo” è “mare fra le terre”, dal latino “ mar medi terra”. E «Fissare» rinvia sia a un modo di guardare, di atteggiarsi, sia alla fissazione dell’immagine su carta.


“Le frontiere sono onnipresenti nel tempo e nello spazio mediterraneo. Ma io non vi propongo di tesserne l’elogio. Al contrario, Régis Debray ha scelto di farlo e per giustificare la sua scelta ha affermato che ‘la felicità è, sì, nel prato di casa, ma non nel terreno incolto’. Régis Debray, insomma, non ama i terreni incolti. Ma questi terreni potrebbero ben essere il territorio ideale di una illusione geografica, di un altro nome per l’utopia. Per quanto mi riguarda, le conseguenze dell’elogio di Debray sono inquietanti. Preferisco di gran lunga il terreno incolto, aperto al movimento e a un residuo di speranza, a un prato verdeggiante, ma rinchiuso su quelle e quelli che si trovano al suo interno, sbarrandone l’accesso a chi ne è fuori. La porzione ricca d’Europa non ha come vocazione di diventare un walled garden le cui fortificazioni amministrative, o magari anche materiali, si drizzino sulle coste settentrionali del Mediterraneo. Eppure, questo rischio è grande. L’esempio delle odiose palizzate al confine sud-occidentale di Stati Uniti e Messico è ben presente nella mente di non pochi mediterranei”³ Bertrand Westphal 


Poiché è impossibile definire tutte le frontiere dello spazio mediterraneo, la nostra proposta è di concentrarsi sul suo centro: l’arcipelago, troppo spesso ritenuto periferico. A parte le due isole che hanno conquistato a fatica l’indipendenza con l’avvento dello stato-nazione - Cipro e Malta - tutte le altre sono in effetti periferie dei poteri continentali: la Corsica governata da Parigi, le Baleari da Madrid, Creta da Atene, le isole dei Principi da Ankara, Brioni da Zagabria, e la Sicilia e la Sardegna da Roma. Questa dipendenza da centri, a volte molto lontani, ha impoverito culturalmente le isole, e negato le loro affinità, piuttosto che promuoverne i legami. É noto che si deve spesso passare da una capitale continentale per spostarsi fra un’isola e l’altra.


“Le sue frontiere non sono scolpite né nello spazio né nel tempo. Non si vede come determinarle, né con quale criterio. Esse non sono storiche, etniche, nazionali o statali: un cerchio di argilla incessantemente tracciato e cancellato, che onde e vento, opere e ispirazioni estendono o contraggono” Predrag Matvejevitch 


Corsica e Sardegna sembrano essersi distaccate dalla Francia e dalla Spagna verso l’Italia, posizionandosi nel golfo di Genova, ma si continua a parlare francese nella prima e catalano sulla costa occidentale sarda. Malta e Sicilia tendono ugualmente verso l’Italia, ma dall’Africa, e conservano quindi il ricordo delle culture berbere e arabe.


“Nè Romani, nè Fenici, Greci o Arabi hanno potuto sottomettere la Sardegna. Essa rimane fuori, fuori dai percorsi della civilizzazione…mi ricorda Malta: sperduta fra Africa ed Europa, non sta da nessuna parte e, non stando da nessuna parte, non appartiene a nessuno. Rimane al di qua della storia” D. H. Lawrence 


Le isole del Mediterraneo sono come metafore dell’altrove e sorgenti di tanti miti. Poiché le civiltà insulari sono spesso culture miste, risentono fortemente dell’influenza di tutti e tre i continenti circostanti al Mediterraneo. Mesopotamia, Egitto, Grecia e Roma sono state il fondamento condiviso dai popoli dell’arcipelago mediterraneo. Contestando i rigurgiti insulari contemporanei di protocronismo, ricordiamo il concetto di radice rizomatosa caro a Edouard Glissant, ma ricordiamo anche che gli autoctoni vanno visti come altrettanti migranti sedentarizzati. 


Il Mediterraneo é come un “liquido amniotico originario dell’umanità e culla della civiltà” Claudio Magris 


Questa minuscola distesa di acqua costellata da alcune isole popolate da una dozzina di milioni di abitanti parlanti una decina di lingue, questo terreno incolto e discontinuo, sarà il nostro ambito di ricerca e ci offrirà molteplici punti di ancoraggio e peregrinazione. l’Arcipelago é inteso come processo di deterritorializzazione di complesse relazioni e ne permette la trasposizione in altri contesti. 


Tutte le volte che una dottrina si è imbattuta nel bacino mediterraneo e dal conseguente shock di idee, il Mediterraneo ne è sempre uscito intatto, e il territorio si è imposto sulla dottrina” Albert Camus.


La scrittura, sorgente e essenza del Mediterraneo, é lo spazio culturale che rappresenta una delle grandi culle della civiltà. Molti testi fondamentali e grandi miti di risonanza universale sono nati nel Mediterraneo e dintorni: l’Odissea, la Torah, il Nuovo Testamento, il Talmud, il Corano, il Contratto Sociale… Partendo dai concetti di serendipità / prolungamento / geopoetica / spostamento della linea d’orizzonte / deriva / altrove / disobbedienza civile / semplicità volontaria, esploreremo l’arcipelago mediterraneo nelle sue dimensioni simboliche e storiche. Penseremo il mondo a partire da questo arcipelago fisico transnazionale, dall’isola come territorio di mezzo, guardando il mondo dal mare. Parleremo del mare, ma fissandolo dalla terra. 

“Isole come luoghi di raccoglimento o pacificazione, di pentimento o espiazione, d’esilio o reclusione: qui tanti monasteri, prigioni o eremitaggi, che spingono talvolta all’estremo la condizione e il destino insulari” Predrag Matvejevitch.


Per mettere a fuoco i territori insulari prescelti, proporremo una metodologia aperta, che prenderà la forma della serendipità, del prolungamento, cari a Kenneth White, o altresì della deriva di Guy Debord o dell’Internazionale Situazionista. Diverse fasi di deriva ed esplorazione permetteranno di elaborare un insieme di film, fotografie, disegni, testi… da riunire in un’opera collettiva. Ci sbarazzeremo delle frontiere politiche del territorio di mezzo per coglierne le specificità sovranazionali e fare emergere le possibili relazioni e la natura complessa di queste terre emerse così eterogenee fra loro.


Philippe Terrier-Hermann 

Traduzione Adriano Pappalardo