Dopo aver spiegato i principi di funzionamento delle macchine antiedonistiche e i legami che vi sono con i concetti di piacere e fruizione, mi sposto dalla teoria all’ambito artistico. Dico a un pubblico attento: «Sapete, le peculiarità delle macchine antiedonistiche mi ha fatto venire in mente che ci potrebbe essere un parallelo con l’arte. Per comprenderlo, riparto dalla domanda iniziale di questo intervento: cosa sono le macchine anti-edonistiche? Sono macchine che impediscono a una persona di provare un piacere immediato in vista di un beneficio di lungo periodo, giusto? E, considerando un altro ingrediente, cos’è l’arte? O meglio, cosa può anche essere arte? Un’artista dipinge un quadro perché un’altra persona, guardandolo ammirato, affermi “bello!”, giusto? O uno scultore libera la pietra del materiale superfluo per cogliere quello speciale guizzo di meraviglia negli occhi del pubblico.»
A quel punto, un artista in prima fila, con tono gentile ma risoluto, intervenne: «Buongiorno, mi chiamo Vincenzo. Volevo intervenire… scusi la franchezza, ma se vuole il mio parere è corretto quanto sta dicendo, anche se alquanto riduttivo e banale.»
Non mi faccio scoraggiare: «Mi faccia finire, la prego… meglio rischiare di essere banali che non riuscire a farsi spiegare. Stavo dicendo che l’arte è, in parte, fruizione di un prodotto artistico. I sensi percepiscono la bellezza di qualcosa: vedo un quadro e lo vedo bello, ascolto una canzone e mi riempie di emozioni piacevoli… a volte anche la sola concettualizzazione che sta dietro alla realizzazione di un’opera d’arte è piacevole, perché tocca le mie corde interne più intime. Però a volte ho l’impressione che il fruitore di opere d’arte è troppo libero nel suo arbitrio di osservatore. Andrebbe guidato.»
Detto questo, lancio l’idea: «Edogrammi! Ecco la mia proposta di opera d’arte.»
«Termine interessante», commenta il solito signore.
Continuo: «Allora, per fare un parallelo, cos’è un pentagramma? È uno schema per rappresentare sulla carta un insieme di note. Ogni singola nota non dà di per sé piacere. È l’insieme delle note fissate nel tempo a fornire quel particolare senso di benessere. Allora mi sono chiesto: perché non potrebbero esserci descrizioni più generali, perché non insiemi di oggetti, azioni, sentimenti, pensieri, che devono essere percepiti in una sequenza temporale precisa? (mentre pronuncio la parola “devono” alzo l’indice al cielo per enfatizzarla). In un pentagramma vengono pianificate le note, in un edogramma viene pianificata qualsiasi cosa, non c’è limite alla fantasia.»
«Potrebbe fare un esempio», mi invita qualcuno.
Allora prendo un quadretto e lo giro verso il mio pubblico «Questo, signori, è il primo edogramma della storia!»
Fig. xxxx. Edogramma (nota: sostituire “Pasta all’amatriciana” con “Cena faraonica”)
Poi spiego: «Vedete, questa è la linea temporale (vedi Fig. xxxx), e indico una delle righe che compongono il mio edogramma. Ho codificato dei simboli per fare in modo che gli edogrammi siano comprensibili a tutti, che parlino una lingua comune. Sopra la linea ho rappresentato l’unità temporale con la quale gli eventi vengono scanditi. In questo caso l’unità temporale è data dal giorno. Se però l’unità temporale cambia, l’edogramma lo segnala. Inoltre sono tracciati i segmenti che tagliano perpendicolarmente la linea principale. Ogni segmento è un evento. Ve lo descrivo?»
«Siamo tutti orecchie!»
Proseguo: «Dunque, l’edogramma inizia con l’unità temporale del giorno. Per tre giorni di seguito impone al fruitore di mangiare riso in bianco.»
«Chi sarebbe il fruitore?» chiede qualcuno.
«Potresti essere tu, o Francesco. O chiunque voglia provare a fruire dell’edogramma rispettandone il copione.»
«E se uno non volesse?» chiede una signora che poi si sarebbe presentata con il nome di Giovanna.
Il signor Vincenzo, che comincia a intuire il disegno d’insieme inaspettatamente mi asseconda: «E se uno non volesse, non lo fa, punto e basta. Allo stesso modo per cui un violoncellista non è obbligato a seguire la suite n°6 di Bach per violoncello se non ne avesse voglia. Ciò non toglie che lo spartito rimanga un’opera d’arte a tutti gli effetti. Sai, Paolo, credo che cominci ad avere un senso quello che stai dicendo.»
«Garzie… L’edogramma chiede, o impone, o quel che volete…, invita il fruitore a mangiare riso in bianco per tre giorni di seguito.»
Giovanna: «Non per cercare il pelo nell’uovo, ma chiedere a una persona di fruire mangiando riso in bianco per tre giorni di seguito, mi sembra un controsenso.»
Questa volta è la donna che le sta a fianco a difendere il mio punto di vista: «E invece no, mangiare riso in bianco ti mette nella condizione di godere di qualcosa di più sofisticato in futuro.»
Giovanna: «Ok, ma dico io − e poi non interrompo più, lo giuro − ma perché si parla sempre sul cibo? Non si fare un edogramma con qualcos’altro che non sia cibo? L’arte è diversa dal cibo!»
«L’arte è anche cibo», controbatto un po’ piccato. «L’arte è percezione a trecentosessanta gradi. È tutto, è piacere per il cibo, è l’insieme dei nostri sensi, è un pensiero, è una macchia di colore, può esserlo anche questa mosca », e nel dirlo prendo tra le dita una mosca morta che trovo sopra il tavolo, «…se io lo volessi… se io decidessi di volerlo.»
Adesso mi sento un po’ più sicuro e proseguo: «Come vedete, al quinto giorno, dopo il riso in bianco per pranzo e cena, l’“esecutore” dell’edogramma, dovrà contattare una persona che non vede da anni.»
Giovanna: «Mi scusi per l’ennesima volta. Sarò pignola, ma cos’ha a che vedere il mangiare riso in bianco con il contattare una persona che non si vede da anni. Tra parentesi, io non saprei cosa dire a mio cugino che non vedo da cinque anni. Cosa potrei dirgli? Ah, sì, “guarda, sto eseguendo un edogramma e al quinto giorno mi sei capitato tu, perciò ti chiamo.»
Mi difendo: «Io non so cosa dovrebbe esattamente fare chi esegue un edogramma. Ognuno è libero. Come un violinista interpreta a modo proprio uno spartito, così l’esecutore dell’edogramma agisce secondo la propria sensibilità. È che sono convinto che alcune azioni, nella sequenza giusta, generino delle emozioni. Anche a me, lì per lì, darebbe fastidio sentire una persona che non vedo da anni, ma nel contesto temporale delle azioni, credo di no. È parte della vita, come lo è mangiare, scopare, piangere per un film o ammirare un quadro. Tutto si mescola nella vita di tutti i giorni. Allora perché non dovrebbe esistere una forma di opera d’arte che mescola il tutto?»
Mi blocco per un istante e poi ribadisco il concetto: «Anche un pezzo di vita può costruire un’opera d’arte. Il piacere dell’arte non si limita ad ammirare un quadro. È qualcosa di più. È vivere l’arte, è fruire di tutto ciò che è inutile ma bello, è godere, è pensare, è provare emozioni, oppure il contrario, non provarne affatto.»
Giovanna non ribatte.
Allora proseguo: «Al sesto giorno ho inserito: leggere dieci pagine di Alta Fedeltà di Nick Hornby. Non so perché. Forse, dato che ho letto il romanzo molti anni fa, mi fa tenerezza ritornare alle sue prime pagine. Poi, al settimo giorno, riso ancora. Notate che ho cambiato l’unità di misura dall’ottavo giorno in poi. Sono passato alle ore. Nella mia testa si trattava della domenica. Tutti gli altri giorni sono stati preparatori. Alle otto del mattino l’esecutore penserà all’infinito. Nell’edogramma compare il numero (1): rimanda a una nota che è scritta in un altro documento. In un edogramma, secondo me, le note sono necessarie per fornire descrizioni di approfondimento. Nel mio caso la nota specifica: “Camminare fino in riva al mare, concentrarsi sul rumore delle onde, osservare l’infinto e pensare al concetto di infinito. Tentare ingenuamente di coniugare il senso del finito con il concetto dell’infinito. In mancanza del mare, affacciarsi a una finestra e ascoltare musica strumentale.” Alle 12:00 di nuovo mangiare riso. Alle 18:00 l’esecutore si concederà tre patatine fritte e bacerà il cuscino.»
Vincenzo: «Perché il cuscino?»
«E perché no», rispondo. «Certo, è un gesto assurdo, fanciullesco e stupido. Ma credo che, se c’è un valore aggiunto negli edogrammi, esso risieda nella possibilità di suggerire a un adulto che anche un gesto assurdo, fanciullesco e stupido potrebbe avere un senso nella vita. E finalmente alle 20:00, il fruitore si gusta una cena faraonica.»
Dopo aver spiegato i principi di funzionamento delle macchine antiedonistiche e i legami che vi sono con i concetti di piacere e fruizione, mi sposto dalla teoria all’ambito artistico. Dico a un pubblico attento: «Sapete, le peculiarità delle macchine antiedonistiche mi ha fatto venire in mente che ci potrebbe essere un parallelo con l’arte. Per comprenderlo, riparto dalla domanda iniziale di questo intervento: cosa sono le macchine anti-edonistiche? Sono macchine che impediscono a una persona di provare un piacere immediato in vista di un beneficio di lungo periodo, giusto? E, considerando un altro ingrediente, cos’è l’arte? O meglio, cosa può anche essere arte? Un’artista dipinge un quadro perché un’altra persona, guardandolo ammirato, affermi “bello!”, giusto? O uno scultore libera la pietra del materiale superfluo per cogliere quello speciale guizzo di meraviglia negli occhi del pubblico.»
A quel punto, un artista in prima fila, con tono gentile ma risoluto, intervenne: «Buongiorno, mi chiamo Vincenzo. Volevo intervenire… scusi la franchezza, ma se vuole il mio parere è corretto quanto sta dicendo, anche se alquanto riduttivo e banale.»
Non mi faccio scoraggiare: «Mi faccia finire, la prego… meglio rischiare di essere banali che non riuscire a farsi spiegare. Stavo dicendo che l’arte è, in parte, fruizione di un prodotto artistico. I sensi percepiscono la bellezza di qualcosa: vedo un quadro e lo vedo bello, ascolto una canzone e mi riempie di emozioni piacevoli… a volte anche la sola concettualizzazione che sta dietro alla realizzazione di un’opera d’arte è piacevole, perché tocca le mie corde interne più intime. Però a volte ho l’impressione che il fruitore di opere d’arte è troppo libero nel suo arbitrio di osservatore. Andrebbe guidato.»
Detto questo, lancio l’idea: «Edogrammi! Ecco la mia proposta di opera d’arte.»
«Termine interessante», commenta il solito signore.
Continuo: «Allora, per fare un parallelo, cos’è un pentagramma? È uno schema per rappresentare sulla carta un insieme di note. Ogni singola nota non dà di per sé piacere. È l’insieme delle note fissate nel tempo a fornire quel particolare senso di benessere. Allora mi sono chiesto: perché non potrebbero esserci descrizioni più generali, perché non insiemi di oggetti, azioni, sentimenti, pensieri, che devono essere percepiti in una sequenza temporale precisa? (mentre pronuncio la parola “devono” alzo l’indice al cielo per enfatizzarla). In un pentagramma vengono pianificate le note, in un edogramma viene pianificata qualsiasi cosa, non c’è limite alla fantasia.»
«Potrebbe fare un esempio», mi invita qualcuno.
Allora prendo un quadretto e lo giro verso il mio pubblico «Questo, signori, è il primo edogramma della storia!»
Poi spiego: «Vedete, questa è la linea temporale (vedi Fig. xxxx), e indico una delle righe che compongono il mio edogramma. Ho codificato dei simboli per fare in modo che gli edogrammi siano comprensibili a tutti, che parlino una lingua comune. Sopra la linea ho rappresentato l’unità temporale con la quale gli eventi vengono scanditi. In questo caso l’unità temporale è data dal giorno. Se però l’unità temporale cambia, l’edogramma lo segnala. Inoltre sono tracciati i segmenti che tagliano perpendicolarmente la linea principale. Ogni segmento è un evento. Ve lo descrivo?»
«Siamo tutti orecchie!»
Proseguo: «Dunque, l’edogramma inizia con l’unità temporale del giorno. Per tre giorni di seguito impone al fruitore di mangiare riso in bianco.»
«Chi sarebbe il fruitore?» chiede qualcuno.
«Potresti essere tu, o Francesco. O chiunque voglia provare a fruire dell’edogramma rispettandone il copione.»
«E se uno non volesse?» chiede una signora che poi si sarebbe presentata con il nome di Giovanna.
Il signor Vincenzo, che comincia a intuire il disegno d’insieme inaspettatamente mi asseconda: «E se uno non volesse, non lo fa, punto e basta. Allo stesso modo per cui un violoncellista non è obbligato a seguire la suite n°6 di Bach per violoncello se non ne avesse voglia. Ciò non toglie che lo spartito rimanga un’opera d’arte a tutti gli effetti. Sai, Paolo, credo che cominci ad avere un senso quello che stai dicendo.»
«Garzie… L’edogramma chiede, o impone, o quel che volete…, invita il fruitore a mangiare riso in bianco per tre giorni di seguito.»
Giovanna: «Non per cercare il pelo nell’uovo, ma chiedere a una persona di fruire mangiando riso in bianco per tre giorni di seguito, mi sembra un controsenso.»
Questa volta è la donna che le sta a fianco a difendere il mio punto di vista: «E invece no, mangiare riso in bianco ti mette nella condizione di godere di qualcosa di più sofisticato in futuro.»
Giovanna: «Ok, ma dico io − e poi non interrompo più, lo giuro − ma perché si parla sempre sul cibo? Non si fare un edogramma con qualcos’altro che non sia cibo? L’arte è diversa dal cibo!»
«L’arte è anche cibo», controbatto un po’ piccato. «L’arte è percezione a trecentosessanta gradi. È tutto, è piacere per il cibo, è l’insieme dei nostri sensi, è un pensiero, è una macchia di colore, può esserlo anche questa mosca », e nel dirlo prendo tra le dita una mosca morta che trovo sopra il tavolo, «…se io lo volessi… se io decidessi di volerlo.»
Adesso mi sento un po’ più sicuro e proseguo: «Come vedete, al quinto giorno, dopo il riso in bianco per pranzo e cena, l’“esecutore” dell’edogramma, dovrà contattare una persona che non vede da anni.»
Giovanna: «Mi scusi per l’ennesima volta. Sarò pignola, ma cos’ha a che vedere il mangiare riso in bianco con il contattare una persona che non si vede da anni. Tra parentesi, io non saprei cosa dire a mio cugino che non vedo da cinque anni. Cosa potrei dirgli? Ah, sì, “guarda, sto eseguendo un edogramma e al quinto giorno mi sei capitato tu, perciò ti chiamo.»
Mi difendo: «Io non so cosa dovrebbe esattamente fare chi esegue un edogramma. Ognuno è libero. Come un violinista interpreta a modo proprio uno spartito, così l’esecutore dell’edogramma agisce secondo la propria sensibilità. È che sono convinto che alcune azioni, nella sequenza giusta, generino delle emozioni. Anche a me, lì per lì, darebbe fastidio sentire una persona che non vedo da anni, ma nel contesto temporale delle azioni, credo di no. È parte della vita, come lo è mangiare, scopare, piangere per un film o ammirare un quadro. Tutto si mescola nella vita di tutti i giorni. Allora perché non dovrebbe esistere una forma di opera d’arte che mescola il tutto?»
Mi blocco per un istante e poi ribadisco il concetto: «Anche un pezzo di vita può costruire un’opera d’arte. Il piacere dell’arte non si limita ad ammirare un quadro. È qualcosa di più. È vivere l’arte, è fruire di tutto ciò che è inutile ma bello, è godere, è pensare, è provare emozioni, oppure il contrario, non provarne affatto.»
Giovanna non ribatte.
Allora proseguo: «Al sesto giorno ho inserito: leggere dieci pagine di Alta Fedeltà di Nick Hornby. Non so perché. Forse, dato che ho letto il romanzo molti anni fa, mi fa tenerezza ritornare alle sue prime pagine. Poi, al settimo giorno, riso ancora. Notate che ho cambiato l’unità di misura dall’ottavo giorno in poi. Sono passato alle ore. Nella mia testa si trattava della domenica. Tutti gli altri giorni sono stati preparatori. Alle otto del mattino l’esecutore penserà all’infinito. Nell’edogramma compare il numero (1): rimanda a una nota che è scritta in un altro documento. In un edogramma, secondo me, le note sono necessarie per fornire descrizioni di approfondimento. Nel mio caso la nota specifica: “Camminare fino in riva al mare, concentrarsi sul rumore delle onde, osservare l’infinto e pensare al concetto di infinito. Tentare ingenuamente di coniugare il senso del finito con il concetto dell’infinito. In mancanza del mare, affacciarsi a una finestra e ascoltare musica strumentale.” Alle 12:00 di nuovo mangiare riso. Alle 18:00 l’esecutore si concederà tre patatine fritte e bacerà il cuscino.»
Vincenzo: «Perché il cuscino?»
«E perché no», rispondo. «Certo, è un gesto assurdo, fanciullesco e stupido. Ma credo che, se c’è un valore aggiunto negli edogrammi, esso risieda nella possibilità di suggerire a un adulto che anche un gesto assurdo, fanciullesco e stupido potrebbe avere un senso nella vita. E finalmente alle 20:00, il fruitore si gusta una cena faraonica.»