MAE ed Arte

Da un certo punto di vista, alcune forme di espressione artistica “guidano” la mente lungo percorsi obbligati al termine dei quali si riceve una sensazione apicale: la ricompensa finale.

Alcuni filoni della letteratura ne sono esempi. In un romanzo d’avventura, i personaggi principali vivono esperienze e situazioni pericolose, immerso nelle quali, il lettore coglie per empatia i sentimenti negativi. Ed è disposto a farlo perché alla fine vi sarà una sorta di catarsi, di appagamento, nel momento in cui legge che l’eroe raggiunge il suo obiettivo.

Il cinema, figlio della letteratura, per quanto riguarda gli schemi e le strutture narrative, implementa alla perfezione la pratica dell’attesa. In molti film, la fine diventa l’apice di svolta, la soluzione che gratifica lo spettatore dopo l’ansia a cui si è sottoposto per l’ora precedente di visione.

L’uomo si abitua a questa forma di intrattenimento fin da quando è bambino. Le favole possiedono strutture obbligate simili. Ogni fase ha una sua funzione e la fruizione massima dell’opera avviene nel suo insieme, non nelle singole parti. Se le casette di paglia e legno dei porcellini resistessero al potente soffio del lupo, l’ovvia solidità della casetta di mattono non colpirebbe la sensibilità dei bambini. Il fruitore si aspetta le emozioni giuste al momento giusto. Ed è disposto a limitare ora il piacere di una sensazione negativa, per ottenere dopo la gratificazione finale. In questo, l’espressione artistica mima i cicli della vita. E quando il canovaccio non viene rispettato, suona immediato un campanello che accentra l’attenzione.

Il ricordo del cartone animato Goldrake è impresso dentro la mia mente. Un episodio, dopo una serie di combattimenti corpo a corpo, si concluse senza la consueta sfida tra robot e mostro gigante. Dentro di me provai una delusione inaspettata. Allora non riuscii a spiegarmela. In fondo avevo appena visto una puntata del mio cartone animato preferito. Perché? La mia mente si aspettava una ricompensa attesa che non era arrivata: il combattimento tra robot.

Come le MAE rimandano temporalmente l’appagamento di una ricompensa, così alcune scene preparatorie di un film anticipano quella catartica in cui l’“eroe sconfigge il male”. Tutti vorrebbero sapere come va a finire la storia, ma la sceneggiatura trattiene il piacere della fine.

Da un certo punto di vista, alcuni film vengono apprezzati perché la mente dell’osservatore ha la possibilità di simulare alcune esperienze “di sacrificio” che, al termine, trovano una ragione d’essere. Rocky, prima di far esultare il pubblico cinematografico, mandando al tappeto Apollo Creed, ha sputato l’anima in allenamenti estenuanti, correndo al freddo ed eseguendo innumerevoli serie di flessioni. L’esperienza dello “stallone italiano” è emblematica: almeno per un’ora e mezza lo spettatore vive virtualmente la sensazione di provare cosa significa fissare un obbiettivo e raggiungerlo.

Per quanto riguarda i commitment, i film producono virtualmente quel che l’uomo non è in grado di ottenere nella realtà a causa della mancanza di forza di volontà. Sotto questo punto di vista le opere cinematografiche possono essere viste come artefatti antiedonostici, stratagemmi che gettano l’osservatore in un mondo parallelo dove le emozioni vengono guidate e gestite indipendentemente dalla volontà del fruitore; è possibile generare angoscia e ansia mantenendo alto il ritmo dell’azione, prolungando questa condizione di disagio e di attesa per più un’ora, e al termine fornire sollievo, liberazione o appagamento.

Considerazioni simili si applicano anche alla musica. Non esiste la nota perfetta; la bellezza di una sinfonia deriva dall’evoluzione temporale delle note.

In November Rain, senza il preludio dato dal ritmo marziale e funebre della batteria, l’assolo di chitarra di Slash, non produrrebbe nell’ascoltatore la stessa potenza. Eppure il riff iniziale con il suo ritmo singolare non ha nulla di straordinario. La sua ragion d’essere risiede nel dopo. La mente dell’uomo “processa” un’opera musicale, canzone pop o sinfonia che siano, beneficiando dei rallentamenti e delle accelerazioni. La melodia impone limiti temporali al fruitore, crea degli andamenti ciclici in cui si susseguono passaggi dimessi a fantastiche esplosioni di suoni. E chi ascolta si sottomette al flusso rigoroso fissato dall’opera.