Dialogo Aperto 2

Copertina

Coronavirus, E.S. (2020)

Penny Black

Uno dei 5 pilastri del Corano è l’elemosina: i più abbienti devono provvedere al mantenimento degli indigenti. La predicazione del profeta prese avvio dalla triste constatazione che i Paperon de’ Paperoni arabi, la minoranza dei ricchi mercanti e carovanieri della penisola araba, vivevano nel lusso a scapito della maggioranza dei poveri indigenti. In nome di questo principio fondamentale dell’Islam un gruppo di studenti della comunità musulmana di Saronno, liberi da lezioni universitarie, causa Corona virus, ogni giorno bussano alla porta di chi non può uscire perché anziano oppure in obbligo di quarantena, per consegnare i pasti e la spesa. Sono belle ragazze col capo coperto, giovani atletici studenti universitari, ben inseriti nelle nostra comunità, parlano un perfetto e corretto italiano, sono italiani a tutti gli effetti. A ben pensarci potrebbero impiegare il loro tempo libero in altro modo, che so al bar, in pizzeria, nei pub fino all’alba; invece pare che rispettino alla regola le indicazioni ministeriali della riservatezza, delle distanze di sicurezza, della vita ritirata in famiglia … Ciò non toglie che possano presentarsi sulla porta di casa dei bisognosi e assolvere al loro dovere di buoni musulmani.

Dov’è finito quel galantuomo del Nordest operoso che qualche anno fa, dalle reti della sua TV privata gridava agli immigrati: “… prendete i vostri cammelli e tornatevene a casa!”? Che stia consegnando i pasti a domicilio ai suoi concittadini?

Dal Mondo

Mondo... da casa

Vivere reclusi a casa, nell’epoca della tecnologia digitale, ci ha fatto capire il valore della libertà e della vita all’aperto: quanto desideriamo incontrare le persone, muoverci nello spazio, uscire all’aria aperta. Riflettete.

M.U.

Già da un paio di settimane siamo chiusi in casa a causa del Coronavirus, la situazione non mi spaventa molto perché, adottando le giuste precauzioni, ci possiamo proteggere. Una di queste precauzioni, appunto, è quella di restare a casa e di uscire il meno possibile. Fortunatamente riesco a passare il tempo facendo i compiti, leggendo libri, disegnando e anche navigando su Internet. Però alcune volte ci sono quei momenti di noia in cui non sai che cosa fare e navigare su Internet non ti stimola molto, anzi, ti annoia ancora di più. Certamente la tecnologia è molto importante in questo momento, per tenerci informati sull’ avanzamento della malattia, per riuscire a non perdere le lezioni di scuola e fare i compiti ed è molto importante anche per trascorrere il tempo durante questa ”reclusione forzata”. Durante queste settimane ho notato, mentre giocavo o navigavo su Internet, che ,anche se la tecnologia digitale ci tiene in qualche modo impegnati, sentivo un senso di malinconia che si mescolava, in certi momenti, anche con la noia e che mi hanno fatto riflettere molto. A causa del Coronavirus non possiamo andare a scuola, non possiamo andare in un centro commerciale per evitare gli affollamenti, hanno chiuso biblioteche e centri sportivi e dobbiamo uscire il meno possibile per evitare il contagio e questo significa che non posso vedere i miei amici a scuola, non posso andare con la mia famiglia da nessuna parte per divertirmi e non posso visitare i miei parenti. Quello che posso fare per garantire a me e a tutti gli altri di restare in sicurezza è una breve passeggiata, o un giro in bicicletta, o andare a prendere un gelato, possibilmente nei momenti in cui la gelateria non è affollata e, nel caso in cui ci fosse fila, farla ordinatamente fuori dal bar. Adesso che si ha più tempo per riflettere , ci si sente privati di qualcosa che prima si possedeva e non ci si rende neanche conto di avere, e io l’ ho capito solo stando a casa forzatamente a causa di una malattia . In poche parole: il Coronavirus mi ha privato della libertà o almeno del modo di concepirla che prima avevo e mi ha fatto capire quanto normalmente si viva vicini a tutti gli altri e si condivida molto più di quello che si immagina e sia molto difficile limitare questa condivisione. A causa della malattia adesso ho capito quanto desidero incontrare le persone. La condivisione non è solo di spazi o materiali, ma di idee, emozioni e scambi che abbiamo bisogno di vivere stando uno vicino all’altro. Questa malattia ci impone alcune regole da rispettare: se parlo con una persona devo stare a un metro di distanza e non posso neanche stringerle la mano per salutarla. Se devo tossire o starnutire devo farlo in un fazzoletto o nella piega del gomito. Non posso scambiare con amici e familiari bicchieri o bottigliette di acqua o altre bevande. E altro ancora, ma la più importante devo lavare spessissimo le mani in modo accurato. In un certo senso grazie a questo virus sono riuscita a riflettere su un qualcosa che possedevo di così importante di cui non mi sono resa mai conto. Prima non uscivo tanto e non incontravo molte persone al di fuori della scuola, ma grazie a questa malattia ho capito che sbagliavo. Quando finirà la “quarantena” uscirò di più e mi riapproprierò della libertà che mi è stata negata con forza da questo virus. Spero che questa situazione finisca molto presto. ( Matilde Munaò)

G.S.

Nonostante tutto,questa situazione mi torna familiare. Ho sempre sofferto la distanza e il non potersi vedere, anche se ammetto che spesso sono io a tenere le distanze con le persone. Effettivamente,con questo quanto accaduto, sento lontana anche la scuola, i miei compagni, ogni professore, ogni ambiente e ogni persona. Può essere buffo, ma mi manca la campanella e pure le ore più noiose e pesanti. Vorrei fosse tutto un sogno. Tutto un brutto sogno. Farei di tutto per tornare a scuola; ammetto che qualche gocciolina salata mi riga le guance, finendo sulle mie mani. Mi manca la vita quotidiana. Sento di essere in una piccola scatola, quasi sigillata con la forza. Quelle pochissime volte che sono uscita, mi è venuto spontaneo fare un respiro di sollievo; l'aria, e pure il freddo, per tutte quelle volte che mi hanno dato fastidio, ora come ora ammetto che è piacevole. Considero tristi e monotoni, questi giorni. Nostalgici. Sento la mancanza di tutto, potrei farne una lista infinita; anche se una cosa che aiuta è il poter comunicare in fretta e subito grazie alla tecnologia,in queste situazioni aiuta,molto. Personalmente aiuta a togliermi tutte le preoccupazioni, ma niente potrà mai sostituire il vedersi dal vivo,e per questo bisogna solo aspettare. Attraverso le fessure della nostra scatola entrano raggi di sole,lucenti;potremmo ballare sotto quella pioggia di luce mentre si ride tutti insieme,ma abbiamo solo il diritto di accarezzarlo, sognarlo. Fuori risulta desertico e le uniche cose che si notano sono un via vai di macchine nelle ore di punta. Questo obbligo di stare a casa è pesante,come l'aria;penso ultimamente al desiderio di infrangere le regole imposte e correre spensierata nel bosco, per starci un po’ lì. Solo al pensiero inizio a sentire l'odore fresco e bagnato del sottobosco, dei fiori che ormai stanno iniziando a spuntare, sono gialli ,alcuni rosa e splendono per la luce che riflette per magia nei loro petali. Sono Malinconica, verso tutto quello che ho fatto e che ora non posso fare, perché ultimamente i nostri diritti sono ridotti allo"state in casa".

L'intervista

Architettura ieri e oggi

E.C.

Robby, un visionario architetto e designer italiano, ci ospita nel suo contemporaneo studio di architettura a Premariacco. Si occupa principalmente di architettura moderna, riuscendo a vedere il mondo attraverso una lente diversa, dalla prospettiva di un architetto alla continua ricerca dell’innovazione.

Com’è iniziata la tua carriera, quali studi hai fatto?

Dopo gli studi tecnici, serviti per capire ed incanalare le tecniche di costruzione, ho studiato alla IUAV di Venezia architettura con indirizzo progettazione. Dopo la laurea ho lavorato molto; l’esperienza porta a cultura e conoscenza e ad un miglioramento professionale sia dal punto di vista creativo che tecnico.

Com’è nata la passione per l’architettura?

La mia passione per l’architettura è nata capendo che avevo le capacità per farlo. Architettura significa creare, creare dal nulla rispondendo alle esigenze dei committenti; è quasi come un desiderio di onnipotenza, e dopo l’accurato studio dell’idea si passa alla concretizzazione di un sogno.

Da che cosa nasce l’idea di un progetto?

Il progetto principalmente proviene dai sogni del cliente, che devono però essere anche coerenti con la società attuale. Dall’idea diventano poi concreti con gli strumenti tecnici, creativi e d’improvvisazione sedimentati con l’esperienza, la pratica ed il tempo. Il processo di creazione di una struttura passa quindi da un concetto astratto ad una evoluzione tangibile però con i dati tecnici ed i materiali, coerenti tra loro e con le norme imposte. Un progetto finisce per esigenza di utilizzo, ma la passione può farlo continuare per sempre.

Cosa ne pensi dell’architettura del XXI secolo?

C’è una grande ricerca sia dal punto di vista spaziale che tecnologico. Negli ultimi decenni si sono raggiunti livelli interessanti, lo spazio non è finalizzato solamente all’utilizzo di quest’ultimo, ma anche alla sua percezione visiva e spaziale. L’architettura ha un ruolo importante anche dal punto di vista attuale: il risparmio energetico. Il nostro è un ruolo molto importante, rendere una struttura sia armoniosa che efficiente ed ecologica.

Offre ancora spazio all’architettura l’Italia?

Negli ultimi 20 anni la normativa italiana, essendo molto restrittiva nell’utilizzo dei materiali e nello sviluppo dello spazio, ha impedito la creatività e lo sviluppo architettonico.

C’è differenza tra un’artista architettonico ed un realizzatore di progetti?

Quando si parla di architettura si parla di arte, sempre collegata alla tecnica; l’architetto non è uno scultore, ma nella sua opera qualcuno ci deve abitare. La sperimentazione è importante nell’architettura e porta un passo avanti allo stato fisico delle cose, soprattutto per realizzare qualcosa che non è effimero. Un architetto è l’artista che migliora il mondo.