Dialogo Aperto 0

Copertina

Troppa Plastica, A. M. (2017)

Recensione

JOKER (Todd Phillips)

G. A.

Arthur Fleck è vittima delle azioni violente degli altri, scaricategli spesso addosso. E’ un clown fallito, lavora in un ospedale come pagliaccio, un costume che lo sforza a essere costantemente felice, la sua vita però è praticamente il contrario. Aspirante comico, vive nella triste città di Gotham in un appartamento situato nei bassifondi della città con l’anziana madre la quale richiede molte attenzioni mostrando uno stato di abbandono nei confronti del figlio. Uomo solo, fragile e non capito dalla società che lo spinge giorno dopo giorno sempre più ad isolarsi, in lui scaturisce un senso di disagio. Rassegnato dalla vita, è costretto da tutti gli avvenimenti che lo colpiscono ad abbandonare i propri sogni: partecipare allo show più popolare d’ America e far ridere le persone. Cade il velo, la sua discesa nel vortice della follia si materializza sempre di più quando scopre alcuni dettagli brutali della sua infanzia; il susseguirsi di molti eventi spiacevoli lo trasformerà in quello che noi tutti conosciamo come Joker. Arthur prenderà una decisione sbagliata che provocherà una reazione a catena di eventi, utili alla cruda analisi di questo personaggio. Quella di Joker è una maschera tragica che si incattivisce nel momento in cui scopre che la sua vita non è una tragedia ma "una cazzo di commedia".(come cita nel film).

Dietro il sorriso stampato di Joker si nasconde il volto di un incredibile Joaquin Phoenix. Lavorare a questo film non è stato un compito facile per lui , in un certo senso, ha rischiato di rimanere all’interno del personaggio. Per questo ruolo ha dovuto perdere molti chili in pochissimo tempo, e sicuramente c’è stato molto sforzo mentale e pratica per perfezionare a pieno la risata del cattivo.’’Finisce per colpirti anche a livello psicologico, inizi a impazzire’’La sua è una performance totale, che tocca le vette più alte dell’arte drammatica, magistrale. Indubbiamente anche questa volta Joaquin ha dimostrato il suo enorme talento nei panni scomodi di Arthur.

Ottime sono le scene registrate che mostrano la città sotto alcuni diversi punti di vista. Una New York sporca, dalle strade invase da cumuli d’immondizia che sono un simbolo del suo declino, piena di barboni e prostitute, illuminata dalle luci di farmacie e ospedali. Manca però di vedute più larghe della città stessa, il film è troppo incentrato sulla figura del protagonista e poco sugli eventi che accadono. La scena della metropolitana è troppo veloce, non dà tempo di osservare i dettagli, molto cruda e violenta. Il ritmo narrativo è inadeguato, delle volte troppo lento, altre troppo veloce senza far capire fin da subito il senso delle azioni . Le scene di violenza sono bruciate troppo velocemente. Scena finale troppo scontata, richiama i fumetti dove nella scena iniziale si vede il supereroe che sorvola la città.

Joker risponde di un enorme successo, anche per merito della colonna sonora di Hildur Guðnadóttir. La canzone più popolare di Joker è però ‘’Bathroom Dance’’, che commenta una delle scene-chiave, più iconiche dell'intero film . Subito dopo l'omicidio, Arthur (con il trucco di Joker già dipinto in volto) si rifugia in un bagno squallido e buio. Qui si chiude dentro e rimane a lungo con i palmi schiacciati contro la porta. Ad un certo punto il suo piede striscia sul pavimento e i suoi movimenti inscenano gradualmente una meravigliosa danza. E nonostante ciò che si era visto in precedenza, quei passi di danza quasi sciolgono il cuore, mostrando la vera natura di Arthur.

Dal mondo

Giappone (prima parte)

F. D. L.

Sono passati circa quattro mesi dall'inizio della mia avventura e direi che posso iniziare a raccontare qualcosa. Premettendo che essere studenti all’estero non è mai facile, diciamo che esserlo in Giappone rende il tutto ancora più difficile. Il Giappone è un paese davvero stupendo ma tra il visitarlo e il viverci c’è una differenza abissale. Partiamo dalla mia scuola. Se di prassi le scuole giapponesi sono rigide e piene di regole la mia scuola non fa eccezione ma rincara la dose e anche di molto. Il mio liceo, Seirinkan High School, si trova nella città di Aisai nella prefettura di Aichi. Il bello di questo liceo è che le classi sono divise in corsi di specializzazione e il corso internazionale è il più rinomato non solo della prefettura ma anche della regione. È un corso difficilissimo e giustamente mi ci hanno messo dentro. Le regole sono allucinanti, del tipo che sono pure vietati i cappelli.

Tornando a casa ogni giorno alle sette di sera e dovendo studiare in ogni momento libero della giornata, posso dire di avere bramato il Sello da morire, tutt’ora non vedo l’ora di tornarci. Anche stare in famiglia ha le sue difficoltà, perché i giapponesi sono difficili e la lingua non è da meno. Con la prima famiglia non è stata una passeggiata, non mi sentivo unita a loro e a casa mi sentivo davvero sola, però almeno sono migliorata in giapponese grazie anche ai miei compagni di classe, con loro invece ho legato tanto. Ora però ho cambiato casa e nella famiglia di adesso mi sento molto più a mio agio. Oltre a stress e fatiche però ci sono anche delle cose belle. Ho iniziato a scrivere dicendo che il Giappone è un paese stupendo ed infatti lo è, un po’ come l’Italia, in ogni angolino ha una bellezza. Ho visitato musei, templi, città e ho mangiato di tutto e anche tanto. Vorrei avere più tempo per scoprire meglio il paese che mi sta ospitando ma non mi lamento, prendo quello che viene. Sono contenta di essere qui e tornando indietro sceglierei comunque la stessa meta. Stare lontani non è facile però al contempo ti da tanto, ti fa apprezzare di più casa tua ma soprattutto ti apre la mente e poi da adesso posso dire di sapere tre lingue anziché due e la cosa non mi dispiace.

Seriamente parlando se dovessi descrivere questa esperienza in due parole direi: montagne russe. Montagne russe perché sono alti e bassi, momenti felici e momenti difficilissimi, montagne russe perché è dura, è dura davvero stare dall’altra parte del mondo senza le persone che ami, però ce la sto mettendo tutta, non solo perché so che è un’occasione unica, ma soprattutto perché so che quelle persone che amo mi stanno aspettando.

L'intervista

L'ultimo dei... marxisti

D. R.

Francesco (nome di fantasia per tutelare l’intervistato), vissuto in Francia fino all' età adulta, ha origini portoghesi. Trasferitosi in Italia, vive ora a Udine con la sua compagna e i loro tre figli. Fin dai tempi delle superiori, è appassionato di storia e di politica.

Tu sei nato in Francia?

Sì, sono nato a Parigi e ho vissuto nella periferia nel 14° arrondissement. Da ragazzo, l'ambiente in Francia era teso, agitato. Nel '76, gli anni in cui frequentavo le superiori, erano appena passati 15 anni dalla disfatta dell'Algeria. A quel tempo l'Algeria era una delle tante colonie francesi, ed era occupata dall'esercito. L'Algeria si ribellò e ottenne l'indipendenza. I Francesi, come forma di non accettazione della sconfitta e come rivincita nei confronti della loro ex colonia, discriminavano gli immigrati. A livello sociale vi erano molti controlli d'identità, che spesso sfociavano in violenza ed aggressività. La polizia arrestava o interrogava gente straniera, da Francesi di colore a quelli di origine araba o persone di colore dell'Africa nera. Alcuni sono morti. Anche per questo vi fu una concentrazione, prevalentemente di persone immigrate, di agglomerati e quartieri popolari, formati da enormi condomini. Inoltre erano quasi trascorsi 2 anni dalla crisi del petrolio, e quindi si generarono problemi di disoccupazione. Io frequentavo un istituto tecnico commerciale. Accadde un episodio abbastanza grave. Lo vissi in prima persona. Il nome di un ragazzo di colore, mio compagno di classe, fu storpiato volutamente da un mio professore. L'alunno, si permise di correggere come si pronunciava esattamente il suo nome, il mio professore rispose che poteva chiamare la gente come gli pareva. La reazione della classe fu istantaneamente quella di uscire dall'aula e gridare "dimissione del prof!". È proprio dopo questo incidente, che mi sono interessato alla politica. Quando finii le scuole superiori, nel '79, in Francia chiusero le miniere. Questo causò la disoccupazione di migliaia di persone. Vi furono molte manifestazioni, di cui una a Parigi in cui spaccarono tutto. Io c'ero. Per quanto mi riguarda se mi trovo meglio in Francia o in Italia, devo ammettere che non so rispondere. Non è né meglio, né peggio. È uguale, l'Italia mi ha dato delle cose, ma me ne ha tolte altrettante.

Come ti sei avvicinato al marxismo?

È stato graduale. Tutto è partito dalla necessità di capire cosa stesse succedendo attorno a me, di darle un senso, una spiegazione, trarne delle conclusioni e cercare di intervenire. È molto complicato da spiegare, è una questione di istinto e di coscienza. Probabilmente, in un primo momento, prevale l'istinto: ti riconosci in certe scelte politiche, idee... Poi è diventato capire parecchie cose, interessarsi e dare un significato, è una specie di ricerca di senso. Ciò che vorrei è uguaglianza, funzione dello Stato; un modello di una società senza classe e senza Stato. Questo significa, molto brevemente, senza ricchi e senza poveri, senza disuguaglianze sociali, economiche. Contrariamente a quello che viene detto. Lo Stato nasce perché deve controllare gli antagonismi sociali, talvolta talmente forti, che lo Stato finisce di mostrarsi per quello che è. Vuole controllo, potere, non è lì per le leggi, per il bene comune. La scuola è stato il mio punto di partenza e dopo averla finita, ho continuato ad andare avanti. Se fossi ancora in Francia, andrei ancora a fare manifestazioni, anche se sono più violente.

Come ha reagito la tua famiglia, quando ha scoperto che eri marxista?

Mio fratello non era più a casa, ormai era già sposato. Per quanto riguarda i miei genitori, non gliene ho mai parlato. Era una mia ricerca personale. Molte volte cercano di spiegarti che l'approccio non è giusto, e che sarebbe meglio farlo in un altro modo. I primi anni no, ma la nostra scuola era un casino. Io ed i miei amici eravamo i capetti, eravamo noi che proclamavamo sciopero nella scuola. Scioperavamo per riforme che non stavano in cielo e in terra, per il controllo d'identità, per la disoccupazione, per la parità dei sessi, per l'uso della violenza politica ai tempi delle brigate rosse, per i Baschi, gli Irlandesi, i Palestinesi, per la nucleare.... Passavamo per ogni classe, spiegando il perché si organizzavano assemblee generali. Si dibatteva sul da farsi, davamo vita a manifestazioni per le strade, sia a Parigi che in periferia. Il pensiero era che la scuola non doveva basarsi solamente su allievi-studenti, ma bisognava interessarsi anche di ciò che succede attorno a noi. Andavamo oltre all'ambito scolastico, e ne abbiamo combinate delle cotte e delle crude. Eravamo andati persino in una fabbrica di macchine ad invitare operai, anche se poi ci hanno scacciato. Giravamo per i laboratori dell'istituto per sollecitare i ragazzi. C'era un liceo vicino alla nostra scuola, spargevamo voci anche lì e invitavamo chiunque ad aderire agli scioperi. Fuori di scuola facevo parte di un comitato di supporto che aiutava gli immigrati. Vivevano in condizioni demenziali. Anche i postini scioperavano. Abbiamo invitato sia gli immigrati che i postini a scuola, per spiegare cosa rivendicavano, in che condizioni vivevano... Venivano a testimoniare. Ogni anno, si organizzavano 2 o 3 giorni di sciopero, durante i quali si facevano venire gruppi musicali, si pianificavano dibattiti. L'amministrazione ti bloccava, quindi bisognava spingere un po' per far entrare la gente. C'erano dei gruppi contrastanti, ma non manifestavano. Praticamente eravamo i padroni della scuola, ce l'avevamo in pugno. Quando ce ne siamo andati, la scuola è scemata, anche se iniziava già a perdersi durante il mio ultimo anno.

Hai mai dovuto affrontare delle conseguenze?

Ovvio, e non poche. Una sono riuscito a schivarla per un pelo: il dirigente scolastico aveva mandato delle lettere destinate ai miei genitori, e casualmente sono riuscito ad intercettarla. Una delle più indimenticabili, è sicuramente la storia del bar. Io ed alcuni miei amici eravamo in un bar vicino alla scuola. Avevo l'urgenza di fare una chiamata, così ho chiesto al proprietario del locale se potevo usare il loro telefono. Sfortunatamente non riuscii a parlare con questa persona. Ad un certo punto, uno che non era del nostro gruppo fece una pessima battuta, dicendo che c'era allerta bomba alla mia scuola. Sono uscito da quel luogo di fretta e mi sono diretto con i miei compagni all'istituto. Prima di raggiungerlo, dei poliziotti mi hanno fermato, e mi hanno portato in commissariato. Pensavano fossi io il colpevole dell'allerta bomba. Ero continuamente sottocontrollo. Sarò rimasto lì circa due, tre ore. Nel frattempo un gruppetto della scuola si era posizionato davanti al commissariato a protestare. Quando succedeva qualcosa, tutti si attivavano. Dopo questo episodi, mi è successo più volte di essere fermato. Come ad esempio quella volta dove andai a manifestare in provincia. L'unica volta in cui io e la mia compagnia decidemmo di andarci, e ci siamo pure fatti beccare. Inoltre, in una delle mie tante avventure, ci venne in mente la brillante idea di fare l'imitazione di un giornale che leggevano tutti. Inutile dirlo, ci hanno cuccato pure quella volta. Per non parlare del fatto che mio padre era un contrabbandiere, ero sempre attento alla polizia.

Oggi è possibile essere ancora marxista?

Oggi più che mai. Alla fine, non è cambiato niente: i problemi di disoccupazione, disuguaglianza... non vengono sanati. E se vengono sanati, è solo momentaneamente, per poi ricrescere più forti. Parole che non si sentivano da tanto tempo come ad esempio "sciopero generale" o "lotte di classe", stanno ritornando. Persino chi detiene il potere, sta affermando che si sta ritornando al XIX secolo. La sopravvivenza di come si vive oggi, è legata al fatto che bisogna accentuare la pressione sui più poveri. Non per niente, si dice che "il tempo delle vacche grasse è finito", che "bisogna stringere la cinghia". Ci sono sempre più conflitti armati, le posizioni politiche si stanno radicalizzando, sia nel bene che nel male.