Ieri e oggi

Agnola ieri e oggi

Agnola è attualmente un borgo di modestissime dimensioni: uno sparuto gruppiscolo di case adagiate nella stretta fascia delimitata dal monte "Laggia" (nome con cui localmente si indica il S.Nicolao) nel fondovalle solcato dal fiume omonimo. Non così nel recente passato in cui la comunità di Agnola è stata molto attiva e laboriosa: secondo fonti orali, agli inizi del 900 nel fondo ancora oggi detto (e quindi non a caso) "Canevà" esisteva una piantagione di canapa e ciò aveva consentito nei locali dell'attuale "Cà de Giunbraschi" l'impianto di una fabbrica tessile in cui lavoravano un buon numero di operaie. Ancora precedentemente era stata fiorente la coltura del baco da seta: i gelsi, ampiamente diffusi nei campi della tenuta Franceschini, furono forse portati ad Agnola e sfruttati per la produzione di tessuti dai monaci poi rimase come attività locale. Secondo le stesse testimonianze orali diversi albero di gelso, erano presenti "sulla Noce", la piazza del paese non ancora asfaltata, uno, dove adesso si trova il palo della luce, ancora negli anni '50.

Un albero di gelso sulla "Noce" (anni '30)
Un momento conviviale in piazza per la festa del patrono (4 maggio 1933). Al centro si riconoscono Albina e Guido; più a destra Giulio Regati

In passato la stretta fascia di terra digradante verso il territorio di Carro era stata tutta terrazzata e utilizzata per le colture agricole (principalmente vite e cereali), condotte in genere a mezzadria, che attirava anche contadini dal sud Italia creando una comunità abbastanza numerosa (una cinquantina di persone verso il 1945). I filari sono solitamente collocati sul ciglio della fascia ma spesso si ritrovano sui tre lati a delimitare l'appezzamento, mentre la parte interna dei campi è destinata ai seminativi; le viti, molto ravvicinate, vengono allevate con il sistema del "doppio capovolto", che prevede durante la potatura, il rilascio di due tralci, che si dipartono da un ceppo di 50-80 cm. di altezza e che vengono curvati verso terra ed assicurati a sostegni di salici. L'impalcatura che sostiene le viti è realizzata con paletti di legno, rigorosamente di castagno, posti a distanza molto ravvicinata e trattenuti da uno o due paletti trasversali. Alle colture agricole si affianca l'allevamento: mucche, pecore, capre sono condotte al pascolo dai fanciulli; ogni famiglia contadina possiede in genere un maiale. L'allevamento è praticato normalmente nelle terre comuni o "comunaglie", vaste estensioni di terre collocate sulle pendici e nelle aree poco adatte alla semina che potevano essere utilizzate gratuitamente per il pascolo e la raccolta della legna secondo un uso radicato in tutto il territorio valligiano a partire dal cinquecento.

La vendemmia nel podere Diamanti: Armando e Mario al lavoro (inizio 'anni 80 )

Negli anni del secondo dopoguerra una fonte di sostentamento per la popolazione locale è anche lo sfruttamento della miniera di brucite che si trova nelle vicinanze ma che viene abbandonata dalla società che la gestiva per scarso rendimento e anche in seguito ad una frana, per fortuna senza conseguenze, alla fine degli anni '60. Una discreta attività artigianale è costituita dalla manifattura di ceste di vimini e soprattutto testi di terracotta con cui gli agnolesi, in particolare, producono in proprio gli strumenti in cui cuocere la panella, la focaccetta fatta di farina di castagno. Il castagno, diffusissimo intorno ad Agnola e pianta di grandissimo significato per la società contadina, per le sue utilizzazioni nel campo delle costruzioni, del riscaldamento, dell'alimentazione animale, per il suo habitat favorevole al fungo porcino e soprattutto per la produzione di farina che costituisce la base dell'alimentazione, in questa zona più comunemente nota come "castagnaccio" o "cacin". L'attività artigianale, svolta soprattutto durante i tempi morti del lavoro agricolo, è in parte destinata allo scambio; da Agnola i testi vengono portati fino a Varese Ligure e verso la Val Petronio; una parte è riservata all'autoconsumo. Si tratta infatti di un'economia di sussistenza e autarchica, dove tutto viene prodotto in loco: ad Agnola anche la macina dei cereali avviene direttamente sul posto, perché sulla stretta sponda sinistra del rio è presente un mulino ad acqua in intensa attività; vi portano grano, granturco, ceci, castagne, gli abitanti del paese ma anche quelli di Castello e delle altre frazioni: non sono molti infatti (cinque o sei) tra gli anni '30 e '50 i mulini funzionanti nel comune di Carro (solo uno in località Travo è perfettamente conservato) ed ingenti le quantità di prodotti da macinare con cui farsi la scorta alimentare per tutta l'annata. Il mulino di Agnola finì diroccato in seguito ad un'alluvione all'inizio degli anni '50. Vi lavorava il popolarissimo Alfonso Musso, ("u Funciu", che nelle mole del mulino aveva lasciato il suo pollice sinistro), nei difficili anni della guerra punto di riferimento per tutti e visto come una sorta di benefattore in quanto dispensatore per tutti, se necessario a fondo perduto, di una merce (la farina) diventata allora bene ancor più raro e prezioso. Dell'edificio, piuttosto grande, rimangono visibili le mura esterne e resti della ruota; una delle due mole è conservata in paese.

Due immagini del mulino subito dopo la frana: in seguito sono crollati il tetto, il muro lato porta e i soffitti interni

La gente di Agnola di questo periodo, come la società contadina in genere, ha una forte vocazione comunitaria ed è molto affiatata: molti spazi e alcuni strumenti di tecnologia complessa sono destinati a uso comune: la fontana, il lavatoio, l'aia. E' inoltre una società che ha uno spiccato senso di solidarietà e mutualità tra il gruppo: all'occorrenza ci si scambiano giornate lavorative, ci si prestano recipienti, generi alimentari, utensili da lavoro, se qualcuno sta male si mobilita tutto il paese, si acquistano le carni macellate d'urgenza in caso di infortunio. I momenti di socialità sono dati dalle "veglie" serali, rituali immancabili nella vita contadina trascorsi nei lunghissimi inverni davanti al focolare, mentre gli avi raccontano favole paurose che i bimbi ascoltano a bocca aperta e gli adulti raccontano storie ed aneddoti dei tempi passati; sono momenti di importante condivisione perché attraverso questi racconti si tramanda la memoria orale del paese e la sua sapienzialità, qui nascono tra i giovani le simpatie e si intessono nuove relazioni. Sono occasioni di allegria ma mai inoperose perché mentre si chiacchiera si spannocchia e si sgrana il granturco, oppure si battono e si cernano le castagne; le donne filano la lana con il fuso, rammendano vestiti, fanno calzini. I bimbi, oltre ai racconti ascoltati durante le veglie, non hanno a disposizione molte altre forme di svago, giocano con cocci di piatti rotti, si costruiscono "bambole di pezza" fatte con ritagli di stoffa e occhi disegnati con il carbone. Per andare a scuola e assolvere l'obbligo scolastico che è allora la quinta elementare, i bambini, negli anni quaranta vanno a piedi nella frazione di Castello, recando un fascio di legna, obbligatorio per poter essere ammessi alle lezioni. In queste condizioni, per la debolezza delle costituzioni dovute anche alle carenze alimentari e al freddo o perché precocemente chiamati ad aiutare la famiglia, molti bambini non concludono il corso di studi e alta è la dispersione scolastica. Per i giovani le uscite sono riservate alle poche ma sentitissime occasioni festive (festa del patrono, carnevale). Ad Agnola, a quel tempo, la vita scorre lenta: solo negli anni '50 la frazione viene allacciata all'acquedotto, alla corrente elettrica e alla fognatura e ancora per tutti gli anni '60 il borgo non sembra aver risentito del boom economico nazionale: le donne vanno ancora a lavare i panni alla fontana, non ci sono negozi, né tanto meno telefoni, per tutto ciò bisogna recarsi nel comune capoluogo. Per l'intrattenimento esiste un frequentatissimo campo da bocce: dapprima situato nel Canevà, poi eliminato per rifar posto alle colture, venne ricostruito sull'attuale piazza, non ancora asfaltata e poi spostato un po' fuori dal paese, sulla strada comunale; anche quest'ultimo è da tempo scomparso e vi è stato ricavato un posteggio.

Dante e Giulin nel primo campo da bocce, nel "Canevà" (anni '60).

Solo al '58 risale la costruzione della strada che collega Agnola alla provinciale e in questa occasione viene costruita la piazza. E' interessante notare che la strada non viene ottenuta allargando la mulattiera già esistente sotto la proprietà Franceschini ma ex novo, più a monte, in un'area coperta di boschi e pertanto senza compromettere le coltivazioni, molto fitte tutto intorno all'abitato. Fino a questo momento quindi quello che oggi è l'inizio del paese poteva esserne considerato la fine: la vita sociale si svolgeva soprattutto nel carugio, perchè da lì non si andava oltre, ovvero solo nei campi: quella che ora è la piazza principale era un'area in cui vi erano dei capanni a margine dei campi, divisa in due dal corso di un fiumicciatolo che vi scorreva in piano dopo essere passato attraverso uno stretto fossato (ancora esistente al margine della piazza); per andare da una parte all'altra dello spiazzo vi era un ponticello, o meglio un guado, senza ringhiere; sul lato nord vi era una piazzetta ad uso comune con al centro un albero di gelso, dove giocavano i bambini, mentre sul lato sud dell'area vi era una piazzetta privata ("a ciassa du Luigiotto") usata per battere il grano. Il guado, così come il rigagnolo, sono stati interrati per far posto all'asfalto. L'unica abitazione presente sulla piazza prima della sistemazione (la vecchia costruzione in pietra che si vede nella foto conviviale degli anni 30, "a ca da Giuseppin-a") è stata abbattuta nel 64 per far posto alla nuova casa di Amelio e Armando (che intonacata di giallo canarino, dopo una tinteggiatura in bianco, nel 2014 è tornata al colore originale).

1 settembre 1958: fa il suo ingresso ad Agnola la prima ruspa per la costruzione della piazza. Sul retro la chiesa. Dietro, forse, Caterina

Negli anni successivi si assiste ad un vero e proprio esodo dalla campagna verso le località cittadine e rivierasche. Agli inizi degli anni 80, in un quadro di generale spopolamento delle campagne che qualifica la Val di Vara come zona depressa, ad Agnola vive ormai stabilmente una sola famiglia, ancora dedita all'agricoltura, mentre negli anni più recenti si osserva oltre all'uso sempre più frequente delle seconde case, un'inversione di tendenza, con conseguente parziale ripopolamento. La festa del patrono, San Gottardo, è il 4 maggio, ma oggi non si fanno più grandi festeggiamenti, né si può più parlare, in una società dominata dall'individualismo, di una vera comunità. Negli anni '90 nessuna attività agricola è sopravissuta, le piane giacciono pressoché in abbandono, la vegetazione, avanzando, si riprende il coltivato e restituisce ai pendii le proprie rotondità modellate dall'operosa opera dell'uomo. La popolazione è costituita da alcuni "vecchi storici", ormai assunte a icone del luogo, da giovani originari del posto tornati alle radici quando la situazione lavorativa lo ha permesso e che svolgono magari altrove le proprie attività o, ancora, di persone di fuori che hanno scelto di vivere in totale tranquillità. Dal punto di vista architettonico il paese ha conservato solo in minima parte il suo aspetto antico: sono presenti alcuni pregevoli portali in arenaria; le case in pietra, con tetti in "ciappe" d'ardesia, costruite con materiale derivato dallo spietramento dei campi e da più pregiati blocchi calcarei per le pietre d'angolo, i portali e gli architravi, nella loro fisionomia originale sono pressoché scomparse.

Una casa in pietra (oggi ristrutturata)
Portale in arenaria e suoi particolari

Nell'alveo di una tendenza generale alla rivalutazione della campagna e alla valorizzazione dei suoi valori attualmente il nostro borgo sta osservando una ulteriore fase di ripresa dal punto di vista abitativo e delle iniziative di tipo sociale e conviviale: alcune feste in piazza, un nuovo spirito comunitario sembra finalmente riaffermarsi; nuovi bambini, anche se non stabilmente residenti ad Agnola si vedano ruzzolare e baloccarsi nella piazzetta della Noce portando una ventata di allegria e di speranza...

Una tradizione fortunatamente non mai caduta in disuso è quella del tradizionale falò di San Giovanni, il 23 giugno. Gli abitanti di Agnola lo preparano con cura e lo allestiscono ai bordi della strada comunale. Il falò gareggia con quello della vicina Castello, più alto, in posizione frontale. La frazione maggiore perde da sempre la partita, realizzando un falò in genere più consistente ma di assai più breve durata, che compensa però regalando godibili fuochi d'artificio. Il falò, ripetutamente alimentato, brucia assai lentamente; tutto intorno ci si riscalda chiacchierando mentre a cura delle donne del paese vengono serviti dolci e bicchieri di buon vino.

Alcune immagini del falò di S. Giovanni anno 2007. Sullo sfondo, lo spettacolo pirotecnico a Castello