La testimonianza di Plinio rivela un precoce interessamento dei Romani verso il mondo scandinavo, che era socialmente e culturalmente molto diverso da quello che alla sua epoca Roma stava plasmando nell'Europa continentale e nel bacino del Mediterraneo. Il primo uomo mediterraneo a raggiungere ed esplorare la Scandinavia fu Pitea di Marsiglia, geografo greco del IV sec. a.C., il quale si spinse probabilmente fino alla penisola della Jutland e alla Norvegia meridionale annotando le caratteristiche del paesaggio e le risorse di quei territori. Il rigore del clima e i rischi insiti nell'attraversamento del Mar Baltico (che Plinio in Nat. Hist., IV, 96 definisce sinus Codanus) e del Mare del Nord complicarono sin dall'inizio i collegamenti marittimi tra le coste germanico-scitiche e la penisola scandinava, estremo margine settentrionale del mondo allora conosciuto. Descrizioni della Scandinavia si trovano anche nell'opera di Tacito, che ascrisse le genti stanziate nella penisola scandinava (Suioni) al ceppo dei popoli germanici e specificò che le loro strutture politiche ruotavano attorno alla figura di un monarca (Tac., Germ., 44). Sin dal I sec. d.C. l'appartenenza allo stesso ceppo spinse numerose etnie scandinave di stirpe germanica a creare un'estesa rete di contatti diplomatici e commerciali con le popolazioni affini del continente: l'area interessata da questi rapporti si estendeva dal nord della Scandinavia al confine reno-danubiano con l'impero romano.
L'interesse del mondo romano per questi territori si sviluppò soprattutto a partire dalla seconda metà del II sec. d.C. e si intensificò poi in maniera più netta nel V-VI sec. d.C., quando l'attrazione per il pellame e l'ambra spinse intrepidi viaggiatori e commercianti a raggiungere la Scandinavia per esportarne le merci sul continente europeo. Inoltre i Romani cercarono di intrattenere contatti con i capi-tribù delle genti germanico-scandinave più settentrionali al fine di guadagnare preziosi alleati nelle guerre che essi conducevano nell'Europa centrale contro i popoli germanici; questa politica era spesso condotta tramite scambi di doni o pagamenti di tributi ai leader delle genti di cui si desiderava l'appoggio. Frequenti contatti di natura commerciale con le province romane d'Occidente e d'Oriente sono attestati sin dal III e dal IV sec. d.C., ma è soprattutto a partire dal V sec. che sulle coste della Scandinavia meridionale si nota un rapido aumento di scali mercantili e punti di sbarco in grado di facilitare i contatti e di garantire sicuri punti di approdo e di scambio per i mercanti provenienti dall'Europa continentale, principalmente dal mondo germanico. Queste relazioni indussero gradualmente la società scandinava ad adattarsi alla realtà politica del continente, strutturandosi sempre più in potentati e regni, come osservato da Tacito già alla fine del I sec. d.C., e non più secondo forme di associazione tribale o parentale. Le notizie circa la composizione etnica e la conoscenza geografica della Scandinavia si fanno più frequenti soprattutto a partire dall'epoca alto-medievale, quando i popoli stanziati in quella penisola, mettendo a frutto i frequenti scambi (di merci, come di idee e di tecniche) avvenuti con le terre romane in epoca imperiale, raggiunsero un notevole sviluppo per quanto concerne l'organizzazione sociale e politica e la cultura materiale. Da non sottovalutare, tuttavia, le conseguenze negative che nel V e nel VI sec. d.C. ebbe su questi popoli la caduta dell'impero romano seguita alle Völkerwanderungen, le ''migrazioni di genti'', che partirono proprio dai territori posti a nord del Reno: lo spopolamento di grosse porzioni di terra tra il nord della Germania e le fertili aree della Scandinavia meridionale e delle coste orientali del Baltico causò una netta regressione delle civiltà che popolavano queste terre e addirittura la definitiva scomparsa di alcune importanti compagini etniche nell'area nord-orientale dell'Europa. Fino alla metà del VI sec. d.C. persistette comunque una società organizzata attorno ad un limitato numero di centri di insediamento in cui si esercitavano attività di natura commerciale, politica e religiosa. Successivamente, tuttavia, si verificarono un drastico calo demografico e conseguentemente la contrazione del numero dei centri insediativi con il declino dei commerci, mancanze parzialmente bilanciate dall'incremento della lavorazione metallurgica del bronzo. Rimasero attivi soltanto pochi centri baltici, come Helgö e Uppåkra, sulle coste dell'attuale Svezia centro-meridionale, che continuarono a intrattenere intensi scambi con l'Impero bizantino e l'Oriente. La crisi economica venne riassorbita poi soltanto a partire dall'età vichinga (iniziata nell'VIII sec.), quando la ripresa dei commerci e la diffusione della pirateria permisero ai popoli scandinavi di allargare il proprio bacino di insediamento e di colonizzare estesi territori dell'Europa settentrionale, come la Russia occidentale, l'Inghilterra, la Scozia, l'Irlanda e persino l'Islanda.
Sommario tratto da AA. VV., The Cambridge history of Scandinavia, vol. I, a cura di K. Helle, Cambridge 2003; Barbero, Alessandro, I pagani del Nord, in «Storia d'Europa e del Mediterraneo IV. Il Medioevo (secoli V-XV), vol. VIII: Popoli, potere, dinamiche», a cura di Alessandro Barbero, Roma 2006, pp. 325-358; Näsman, Ulf, The Justinianic era of southern Scandinavia: an archaeological review, in «The sixth century. Production, distribution and demand», a cura di Richard Hodges, William Bowden, Leiden-Boston-Köln 1998, pp. 255-278.